Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-10-2011) 02-12-2011, n. 44966

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.V. e P.V. propongono ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d’appello di Roma del 18 giugno 2010, con la quale è stata confermata, salvo per la concessione dei benefici di legge (sospensione condizionale e non menzione), la statuizione del tribunale di Roma di condanna nei confronti di entrambi gli imputati per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Con un unico motivo di ricorso, dopo essersi a lungo soffermati su questioni di merito, gli imputati lamentano la mancanza di motivazione per essere la stessa riproduttiva di parte di quella, più approfondita, che corredava la sentenza di primo grado.

Sostengono i ricorrenti che la riproduzione stereotipata e sgangherata di una minima parte della motivazione della sentenza emessa in primo grado comporti la nullità della sentenza di appello per totale mancanza di motivazione; in particolare si soffermano, sia nelle premesse di merito che dopo le censure di legittimità relative alla motivazione, sulla ritenuta inverosimiglianza della denuncia di furto delle scritture contabili e sulla mancata motivazione in relazione al dolo specifico con riferimento alla contestata bancarotta documentale.

Il Procuratore Generale della corte di cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso, rilevando che la sentenza di appello è molto stringata, ma non inesistente e legittimamente fa riferimento alla sentenza di primo grado che è analiticamente motivata con riferimento ad entrambi i reati contestati. In particolare, la motivazione è specifica e dettagliata in ordine al presunto furto della contabilità, cosi come sulla distrazione di cassa, presunta in forza del suo ingiustificato mancato rinvenimento, secondo gli insegnamenti di legittimità.

L’avv. Murano procede alla discussione, lamentando la totale mancanza di motivazione; ricorda che non vi è stata motivazione con riferimento all’elemento soggettivo di entrambi i reati, dato che il fallimento fu cagionato da un comportamento della banca, per cui in capo agli imputati mancava la volontarietà di un elemento del reato (la dichiarazione di fallimento).

Ribadisce che mai è stata spesa una sola parola con riferimento al dolo specifico richiesto dalla bancarotta documentale ex art. 216, n. 2, prima parte. Per quanto riguarda la bancarotta distrattiva, lamenta che la stessa si fondi su una presunzione, derivante dal mancato rinvenimento delle scritture contabili che potessero giustificare la destinazione della cassa; la presunzione poteva essere vinta dalla considerazione che in quel periodo vi era stata una riduzione del debito societario dovuta al pagamento dei fornitori e dei debiti contratti con le banche.

Motivi della decisione

I ricorsi degli imputati sono infondati. Si deve premettere che "La nozione di mancanza di motivazione di cui all’art. 606 c.p.p., n. 1, lett. e) ha riferimento all’assenza dei necessari passaggi e delle argomentazioni indispensabili al fine di rendere l’intero iter logico seguito comprensibile, verificabile da parte del giudice sovraordinato e completo in ordine alle risposte da dare alle istanze rilevanti e pertinenti avanzate dall’interessato. Ove la sentenza in sè dia comunque contezza adeguata del percorso logico seguito dal giudice e possa desumersi dal documento che le questioni devolute siano state in concreto esaminate, la ripetizione pedissequa nella decisione di appello degli argomenti enunciati dal giudice di primo grado si sottrae ad ogni conseguenza sanzionatoria. (Nella fattispecie, sul rilievo della completa identità testuale della motivazione delle sentenze di primo e secondo grado, si era sostenuto che quest’ultima, meramente ripetitiva, non conteneva un’autonoma esplicitazione delle ragioni della decisione; cfr Sez. 4, Sentenza n. 6499 del 21/04/1994 Rv. 198050); e d’altronde, in tema di sentenza penale di appello, non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonchè della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo giudice. E invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (cfr. Cassazione penale, sez. 2, 15 maggio 2008, n. 19947).

Ciò premesso, si deve rilevare da un lato che non vi è assolutamente identità delle due sentenze, essendo quella di appello molto più succinta; d’altro canto la sentenza di primo grado è motivata in modo sufficientemente approfondito e senza passaggi contraddittori od illogici su tutte le questioni che sono state dedotte in appello, le quali non producono elementi di significativa novità, tali da scardinare la struttura motivazionale del provvedimento.

Nè si deve dimenticare che il giudizio di appello non ha la funzione di consentire un secondo integrale ed autonomo giudizio di merito, ma esclusivamente di controllare la correttezza delle valutazioni compiute in primo grado; ove, pertanto, il giudice dell’appello condivida appieno le motivazioni svolte nel provvedimento impugnato, legittimamente adotta una motivazione che riproduce le argomentazioni assoggettate al suo controllo.

La motivazione che emerge dai provvedimenti di merito, costituenti, lo si ricorda, doppia conforme, affronta in modo specifico sia la problematica relativa all’asserito furto delle scritture contabili, sia, sebbene in modo molto conciso, la questione relativa al dolo specifico della bancarotta documentale; si legge a pagina sette della sentenza di primo grado che la denuncia di furto delle scritture contabili era preordinata a nascondere la sorte delle somme e dei beni esistenti, il che implica inevitabilmente una volontà diretta a procurare a sè un ingiusto profitto ed a recare pregiudizio ai creditori della società.

Analoga motivazione si rinviene nella sentenza della corte d’appello, ove si evidenzia che la sottrazione delle scritture contabili era finalizzata ad occultare la distrazione dei beni sociali.

Analogamente, non si può dire mancante la motivazione sul dolo generico del reato di bancarotta patrimoniale distrattiva, espressamente preso in considerazione alle pagine 7 e 8 della sentenza di primo grado ed alla pagina 3 della sentenza di appello, che richiama le considerazioni del primo giudice, condividendole. Non sussiste, dunque, il difetto di motivazione lamentato; il giudice di secondo grado dimostra di aver preso in esame le doglianze dei ricorrenti e di avere valutato sotto tale profilo la sentenza di primo grado, ritenendola immune da censure.

Per tali motivi, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *