Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-06-2012, n. 10431 Indennità di mancato preavviso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Venezia, parzialmente riformando la sentenza impugnata, ritenendo giustificato – ma non sorretto da giusta causa – il licenziamento intimato a B.M. dalla società SAVE – Aeroporto di Venezia Marco Polo spa- di cui era dipendente, da ultimo, quale dirigente con mansioni di direttore dei Sistemi Informativi, condannava detta società al pagamento in favore del B. della sola indennità di preavviso liquidata nella misura di Euro 86.734,86.

A fondamento del decisum la Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, poneva il rilievo secondo il quale risultava provata la contestata imperizia del B. nella fase di formalizzazione dell’accordo SAVE/Tecnoinformatica e nell’omesso controllo dell’incasso delle royalties.

In particolare, secondo la Corte territoriale, relativamente al primo addebito, che andava inteso riferito non tanto alla giuridica conclusione del contratto quanto piuttosto alla assenza di formalizzazione che poneva la società di fronte ad una situazione poco chiara circa il contenuto degli accordi, non era stata acquisita nessuna copia sottoscritta dai contraenti ed il teste Z. aveva confermato che venne redatta solo una bozza mai sottoscritta.

Nè, precisava la predetta Corte, esisteva alcuna prova, anche indiziaria, della avvenuta sottoscrizione del contratto considerato che il direttore generale non ricordava di averla sottoscritta e che tale prova non poteva essere desunta dalla fatturazione delle royalties pagate dall’aeroporto di Roma.

Circa il secondo addebito la Corte del merito fondava il proprio convincimento sull’esito della verifica condotta dal dott. S. da cui era emerso che non vi era stato il pagamento delle installazioni presso le società Alitalia, Aeroporto di Milano e di Firenze, così come confermato dai testi Z. e S..

Avverso questa sentenza il B. ricorre in cassazione sulla base di tre censure, precisate da memoria.

Resiste con controricorso la società intimata che deposita memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato, nel disattendere l’eccezione sollevata dalla società resistente di violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che dall’intero contesto dell’atto d’impugnazione è possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione (Cass. 24 luglio 2007 n. 16315).

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c., assume che la Corte del merito non si è pronunciata sulla richiesta condanna di controparte anche alla somma di Euro 50.000,00 o la diversa somma di Giustizia per il mancato godimento di benefits oggetto del contratto che "pacificamente incidono sulla determinazione dell’indennità di preavviso".

La censura non è fondata.

Invero deve ritenersi che la Corte del merito nel riconoscere, all’attuale ricorrente, il diritto all’indennità di preavviso ex CCNL e nel procedere alla relativa quantificazione determinando, sulla base dei calcoli sviluppati dallo stesso ricorrente,il dovuto ha implicitamente ritenuto non computabili detti benefits nella predetta indennità.

Nè, del resto, il B. prospetta le ragioni giuridiche poste a base della pretesa incidenza di siffatti benefits sull’indennità di preavviso.

Con la seconda censura il ricorrente, denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, assume che, nonostante fosse stato prospettato che il software, posto a base dell’addebito, fosse stato ceduto alla società controllata N-AITEC e che, quindi, tale società era legittimata a fatturare ed incassare le royalties nei rapporti con Tecnoinformatica, la Corte del merito nulla argomenta in proposito, non considerando che proprio siffatta circostanza era dimostrativa della non fondatezza della contestazione concernente l’omesso controllo dell’incasso delle royalties.

La censura è infondata.

Invero la Corte del merito pone a base del decisum sul punto il rilievo fondante secondo il quale "la riconducibilità dei compiti commerciali nei rapporti con Tecnoinformatica all’appellante – cioè al B. – emerge dalla deposizione del testimone C., che ha riferito di avere avuto nell’appellante un referente per gli aspetti commerciali legati al contratto Z. e S..

Pertanto non ricorre il denunciato vizio di motivazione. Inoltre, va sottolineato che l’attuale ricorrente pur richiamando la testimonianza di C.R., in violazione del principio di autosufficienza, ne riporta solo uno stralcio impedendo in tal modo a questa Corte qualsiasi sindacato di legittimità al riguardo (Cass. 20 febbraio 2007 n. 3920 nonchè Cass. 28 febbraio 2006 n. 4405).

Più in generale, inoltre, va osservato che con la censura scrutinata si finisce per tentare una inammissibile rivisitazione dei fatti di causa.

Con l’ultima critica il ricorrente, allegando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, prospetta che la prova presuntiva della intervenuta formalizzazione del contratto emerge dalle dichiarazioni testimoniali di C.R. il quale riferisce dell’esistenza di una procedura interna secondo la quale ogni fattura emessa doveva essere accompagnata dall’originale del contratto di riferimento, pertanto risultando provato che le royalties relative all’installazione presso l’aeroporto di Roma erano state fatturate ne consegue l’esistenza del contratto.

La critica non è fondata.

Secondo giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

Nella specie la questione inerente la esistenza di una procedura interna non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed il ricorrente, in violazione del richiamato principio di autosufficienza del ricorso, non ha indicato in quale atto del giudizio precedente ha dedotto la questione.

Del resto, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (V. per tutte Cass. 21 ottobre 2003 n. 15737 e Cass. 27 ottobre 2010 n. 21961).

Sul punto la Corte di appello adeguatamente motiva che non esisteva alcuna prova, anche indiziaria, della avvenuta sottoscrizione del contratto considerato che il direttore generale non ricordava di averla sottoscritta e che tale prova non poteva essere desunta dalla fatturazione delle royalties pagate dall’aeroporto di Roma.

Per concludere la sentenza impugnata – per risultare fondata su una motivazione congrua, priva di salti logici e corretta sul versante giuridico – va confermata non potendo incidere su di essa le censure che, per i motivi esposti, non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.

Il ricorso va, quindi, rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2012

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