Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-06-2012, n. 10428

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di C.C., proposta nei confronti dell’Amministrazione della Provincia dei Benevento, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli, nell’agosto del 2003, dalla predetta Amministrazione per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni di operaio addetto a lavori di sistemazione idraulico- forestale.

La Corte territoriale poneva a base del decisum il rilevo fondante secondo il quale l’Amministrazione non aveva provato l’impossibilità di reimpiegare il C. in mansioni compatibili, anche inferiori, con il suo stato di parziale idoneità, emergendo, altresì, dalla formulazione dell’art. 11 del contratto collettivo integrativo regionale, la figura professionale dell’operaio addetto alla guardiania e vigilanza e quindi dell’espletamento di mansioni non comportanti la cura e manutenzione a contatto di sostanze allergizzanti in rapporto alle quali era stato posto il giudizio medico legale di parziale inidoneità.

Avverso questa sentenza la nominata Amministrazione ricorre in cassazione sulla base di due censure.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Con la prima censura parte ricorrente, deducendo violazione dell’art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 3 e di c.c.n.l. nonchè insufficiente motivazione, formula i seguenti quesiti: 1."se vi sia stata o meno violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e L. n. 606 del 1966, art. 3, art. 2697 c.c. e, pertanto, sussista la giusta causa e se l’Ente datore di lavoro ne abbia dato idonea dimostrazione e/o prova"; 2. "se, nella fattispecie, vi sua stata violazione e/o falsa applicazione del CCNL art. 49 e CRI art. 11".

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha chiarito che il quesito di diritto, previsto dalla richiamata norma di rito, ha lo scopo precipuo di porre in condizione la Cassazione, sulla base della lettura del solo quesito, di valutare immediatamente il fondamento della dedotta violazione (Cass. 8 marzo 2007 n. 5353) ed a tal fine è imposto al ricorrente di indicare, nel quesito, anche l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759), in modo tale che dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in maniera univoca l’accoglimento od il rigetto del ricorso (Cass. S.U. 28 settembre 2007 n. 20360).

In tale prospettiva questa Corte ha affermato che, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759 cit.).

Pertanto questa Corte ha rimarcato che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo con la conseguenza che la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. SU 30 settembre 2008 n. 24339 e Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044).

Nella specie rileva la Corte che, relativamente alla dedotta violazione di legge, la formulazione del relativo quesito di diritto o del principio di cui si chiede l’applicazione, prescinde del tutto dall’indicazione, come si desume dalla su riportata trascrizione dello stesso, sia della diversa regola iuris posta a base della sentenza impugnata, sia di quella di cui si chiede l’affermazione, sicchè non è consentito a questa Corte di valutare, sulla base del solo quesito, se dall’accoglimento del motivo possa o meno derivare l’annullamento della sentenza impugnata.

Relativamente al denunciato vizio di motivazione, poi, difetta del tutto la indicazione del fatto controverso, intesa quale sintesi riassuntiva, simile al quesito di diritto, delle ragioni che rendono, in caso d’insufficienza, inidonea la motivazione a giustificare la decisione, in caso di omissione, decisivo il difetto di motivazione e in caso di contraddittorieta, non coerente la motivazione (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063).

Nè del resto può demandarsi a questa Corte di estrapolare dai vari quesiti di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali al violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c.. Tanto, d’altro canto, corrisponde alla regola della specificità dei motivi del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 4. D’ altro canto neppure è consentito a questa Corte di sostituirsi alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura (Cass. 23 marzo 2005 n. 6225).

Con il secondo motivo del ricorso la Provincia di Benevento denuncia violazione di legge e contraddittorietà della motivazione.

Il motivo è inammissibile perchè formulato in modo non conforme al citato art. 366 bis c.p.c..

Nella specie, difatti, difetta del tutto il quesito di diritto nonchè la specifica indicazione del fatto controverso, intesi quale sintesi logico giuridica della censura che s’intende sottoporre al giudice di legittimità (Cass. S.U. 28 settembre 2007 n. 20360).

Il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate Euro 40,00 per esborsi, oltre Euro 3.000,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *