Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-10-2011) 02-12-2011, n. 44917 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 23 maggio 2011 il Tribunale di Bologna, costituito ai sensi dell’art. 310 c.p.p., rigettava l’appello proposto da K.P. – condannato in primo grado in ordine ai delitti previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73, e, in secondo grado, unicamente in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – avverso l’ordinanza con la quale la locale Corte d’appello aveva respinto la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere, disposta il 16 ottobre 2008.

Il Tribunale riteneva ostativi la gravità dei fatti posti in essere, espressivi di un’elevata professionalità nel traffico delle sostanze stupefacenti, l’assenza di leciti mezzi di sostentamento economico e l’irregolare presenza sul territorio dello Stato.

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, K.P., il quale, anche mediante motivi nuovi, lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e carenza della motivazione in ordine alle ragioni legittimanti il mantenimento della custodia cautelare in carcere.

Valorizza, al riguardo, l’intervenuta assoluzione dal delitto associativo, la condanna per il solo delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, l’assenza di precedenti penali, il considerevole lasso di tempo trascorso. Osserva che, in assenza di elementi concreti e obiettivi da cui inferire la permanenza delle esigenze cautelari, la misura disposta non appare rispettosa dei principi di proporzionalità e adeguatezza.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Le ipotesi previste dall’art. 274 c.p.p. alle lettere a), b), c) sono tra loro alternative, nel senso che, una volta indicato un elemento che giustifica la scelta del giudice di merito, quest’ultimo non è tenuto a dimostrare anche l’esistenza delle altre condizioni cui la legittimità della privazione della libertà personale dell’indagato è subordinata (v. Cass. 26.4.1990, ric. Ceruti).

Il parametro della concretezza, cui si richiama l’art. 274, lett. c) del vigente c.p.p., non si identifica con quello di "attualità" del pericolo, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, il predetto requisito essere riconosciuto alla sola condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi "concreti" (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi che il soggetto inquisito possa facilmente, verificandosene l’occasione, commettere reati rientranti fra quelli contemplati dalla suddetta norma processuale (Cass. 5.11.1992, ric. Conti, riv. 192651). Le esigenze connesse alla cosiddetta tutela della collettività devono concretarsi nel pericolo specifico di commissione di delitti collegati sul piano dell’interesse protetto;

trattandosi di valutazione prognostica di carattere presuntivo, il giudice è tenuto a dare concreta e specifica ragione dei criteri logici adottati.

Ai fini del giudizio prognostico previsto dall’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c), deve avere riguardo alle specifiche modalità e circostanze del fatto, indicative dell’inclinazione del soggetto a commettere reati della stessa specie, alla personalità dell’indagato, da valutare alla stregua dei suoi precedenti penali e giudiziari, all’ambiente in cui il delitto è maturato, nonchè alla vita anteatta dell’indagato stesso, come pure di ogni altro elemento compreso fra quelli enunciati nell’art. 133 c.p..

L’espressione "delitti della stessa specie", con la quale il legislatore delimita l’area dei sintomi utilizzabili ai fini di siffatto giudizio, a riguardo della probabilità di ricaduta nel reato, ha valore oggettivo e va riferita ai delitti che offendono lo stesso bene giuridico.

Da tali elementi, di carattere oggettivo, il giudice deve giungere, con motivazione congrua ed adeguata, esente da vizi logici e giuridici, alla formulazione di una prognosi di pericolosità dell’indagato in funzione della salvaguardia della collettività, che deve tradursi nella dichiarazione di una concreta probabilità che egli commetta alcuno dei delitti indicati nel suddetto art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c).

2. L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi sinora illustrati, in quanto, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha enunciato le specifiche ragioni (oggettiva rilevante gravità delle condotte delittuose di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, l’elevata professionalità dimostrata nella consumazione delle stesse, la condizione di irregolarità sul territorio dello Stato, l’assenza di leciti mezzi di sostentamento economico) che fanno ritenere sussistenti i presupposti di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c) e, secondo i principi di proporzionalità ed adeguatezza, fanno ritenere unica misura idonea e proporzionata quella della custodia cautelare in carcere, tenuto conto anche della natura della sistemazione domiciliare prospettata, fondata su non chiari rapporti tra l’imputato e la persona disponibile ad ospitarlo.

Assolutamente inconferente, alla luce dell’intervenuta assoluzione del ricorrente dal delitto previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, appare il richiamo all’art. 275 c.p.p., comma 3.

Il mero dato oggettivo del lasso di tempo trascorso dalla commissione del reato non può di per sè giustificare l’adozione di una misura cautelare meno afflittiva, in assenza di elementi obiettivamente e univocamente espressivi di una diminuita pericolosità sociale.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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