Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-10-2011) 02-12-2011, n. 44915

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 5 luglio 2010 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame proposta da S.D. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 24 maggio 2010 dal giudice per le indagini preliminari in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis c.p..

Il Tribunale, preliminarmente, ripercorreva, sulla base delle sentenze acquisite ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p. e delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia D.D.A. le vicende relative alla sanguinosa faida che aveva visto contrapposte, nel periodo dal 1977 al 1989, le famiglie Gallico e Condello-Bruzzise ai fini del controllo territoriale della zona di Palmi, zona strategica in quanto interessata, tra l’altro, dai lavori del tratto autostradale della A3, della strada statale 18 e la località turistica di (OMISSIS), oltre che snodo fra i territori di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), storico appannaggio della cosca Bruzzise. Nei primi mesi del 1990 si verificavano la morte di tutti gli esponenti del clan Condello, la scomparsa dal territorio degli esponenti di rilievo del gruppo Bruzzise e l’arresto degli affiliati al gruppo Gallico. Dal gennaio 2004 al dicembre 2006, nella zona di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si verificava una serie di omicidi, frutto della rottura dei delicati equilibri raggiunti fra le consorterie operanti in quella zona che coinvolgevano soggetti appartenenti o, comunque, vicini ai due schieramenti dei Gallico- Morgante – Sciglitano da una parte e dei Bruzzise dall’altra. Le ragioni sottese alla riapertura della faida erano descritte in un manoscritto, indirizzato ad un giudice immaginario, rinvenuto il 18 dicembre 2006 nel corso di una perquisizione domiciliare presso l’abitazione dei coniugi C. – D. (rispettivamente cognato e sorella di D.C., ucciso dal gruppo dei fratelli S., in (OMISSIS)). Nello stesso si evidenziava che la rottura dei delicati equilibri era da ricondurre alla scarcerazione di G. B. e al tentativo di costui di riaffermare l’egemonia in territorio di (OMISSIS), approfittando dell’indebolimento della cosca Santaiti di Seminara (conseguente all’arresto del capo, R.S., e alla collaborazione intrapresa dal fratello di costui a nome G.).

La serie degli omicidi iniziava con l’uccisione di A. C. (esattore a (OMISSIS) delle tangenti per conto dei Santaiti) e di S.C., referente per tutto il territorio di (OMISSIS) ed appaltatore dei lavori per la realizzazione del nuovo cimitero. Tali fatti di sangue finivano per coinvolgere la cosca Gallico di Palmi, inizialmente disinteressata alla vicenda, poichè B.G. aveva indirettamente colpito anche gli interessi del gruppo Gallico – Morgante – Sciglitano. I fratelli M. erano, infatti, cugini dei Gallico e M.F. era cognato dei fratelli D., V. e S.C. (per avere sposato la loro sorella) e avevano una forte motivazione a vendicarsi nei confronti dei Bruzzise per la morte dello zio C..

La riapertura della faida trovava il suo fondamento anche nel fatto che nessuno dei gruppi di stampo mafioso dei Bruzzise, dei Morgante e degli Sciglitano intendeva rinunciare al lucroso affare delle tangenti connesse ai lavori di ammodernamento della A3 nella zona territoriale di competenza ((OMISSIS)).

Le vicende oggetto del presente processo si collocano in tale articolato contesto, caratterizzato dalla perdurante operatività della cosca Gallico, radicata nel territorio di Palmi e caratterizzata da una forte connotazione familiare, che vedeva in G. e G.D., storici capi detenuti, e nei fratelli C., R., T. e M.A. gli esponenti di vertice del sodalizio, gerarchicamente sovraordinati rispetti a più rami operativi autonomi e talvolta in concorrenza fra loro (in relazione alla consumazione di svariati reati contro il patrimonio e commessi con l’uso di armi), ma uniti e compatti quanto alle complessive strategie criminali da perseguire e alla consumazione delle condotte illecite coinvolgenti gli interessi generali dell’organizzazione.

Il Tribunale evidenziava che S.D., accusato della partecipazione alla "n’drina Gallico", era, insieme con i suoi fratelli V. e C., al costante servizio dell’organizzazione della quale, unitamente ai fratelli M., costituiva il cosiddetto "braccio armato", dando attuazione agli ordini impartiti dai capi del sodalizio ( G.G., G.D. cl. (OMISSIS), G.C.) e/o dai reggenti ( R. e G.T.), specie con riferimento alla faida in corso con il gruppo avverso dei Bruzzise. Inoltre, secondo la prospettazione accusatoria, recepita dal Tribunale S. D. cooperava con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso perseguito dall’associazione.

I gravi indizi di colpevolezza nei suoi confronti venivano desunti dal contenuto dei colloqui captati all’interno delle case circondariali ove erano ristretti i maggiori esponenti dei gruppi Gallico e Bruzzise, evidenzianti che, secondo le diverse e antitetiche prospettive, comune era il convincimento che gli Sciglitano fossero causa della ripresa della faida. In tale prospettiva, i giudici richiamavano, in particolare, il contenuto delle seguenti conversazioni ambientali:

-5 gennaio 2007, intercorsa, all’interno della casa circondariale di Roma Regina Coeli, tra B.G. e il cognato R. C., nel corso del quale il primo manifestava la convinzione che responsabili della morte del padre ( B.G.) fossero i "(OMISSIS)", soprannome con cui venivano indicati i tre fratelli D., V. e S.C., e che la causa del loro gesto fossero da ricercare nella pregressa uccisione del loro zio, S.G., avvenuta il 28 marzo 2004, in località (OMISSIS) (cfr. anche colloqui intercettati presso la casa circondariale di Secondigliano tra G.G., detenuto, e il figlio A. l’1 febbraio 2007, il 22 febbraio 2007; presso il carcere di Carinola il 22 maggio 2007 e il 24 luglio 2007);

– 21 giugno 2007 intercorsa tra G.G. e il figlio A. nella casa circondariale di Secondigliano nel corso della quale G.G. sollecitava, tramite il figlio, i fratelli M. e S. a prendere provvedimenti contro i fratelli A. e B.F., prima che fossero questi ad eliminare qualcuno dello schieramento Gallico- Morgante – Sciglitano;

nel corso di tale colloquio il detenuto accusava, ancora una volta, i M. e gli S. di avere dato origine alla faida, coinvolgendo l’intera consorteria;

– 3 aprile 2007, svoltasi dentro la casa circondariale di Carinola tra il detenuto G.D. e la sorella T., nel corso della quale il primo, preoccupato per le conseguenze derivanti dalla recrudescenza della faida, inviava agli S. e ai M. l’ordine di non allargare troppo la faida anche per non esporre a rischio G.C., da poco scarcerato;

– 28 giugno 2007, all’interno della casa circondariale di Secondigliano, avvenuta tra G.G., la figlia L. e il genero B.V., nel corso della quale G. G. metteva la figlia al corrente della direttiva impartita tramite G.A. di non allargare troppo l’ambito della rappresaglia, e L. gli riferiva, a sua volta, che i fratelli M. stavano cercando di "prendere provvedimenti" da quando avevano ammazzato S.M. (da identificare in C. S.), così confermando che quest’ultimo era stato ucciso dai B., che la sua eliminazione aveva dato origine alla riapertura della faida promossa dai fratelli M. e S. (in quanto la vittima era zio dei fratelli S.), e che gli omicidi di B.G., V. C., S.A., G.D. (persone tutte appartenenti o vicine alla cosca Bruzzise) avevano costituito la risposta dei Morgante – S. all’omicidio di C. S.; nel corso del medesimo colloquio emergeva, inoltre, che G.C., così come richiesto dal fratello G., si era recato da M.S. per decidere il da farsi;

– 23 agosto 2007, avvenuto all’interno della casa circondariale di Secondigliano e intercorso tra G.G., il figlio A. e la figlia I.A. nel corso del quale il padre faceva riferimento ai fratelli S. come persone "cattive", che sparavano e chiedeva conferma del fatto che effettivamente gli Sciglitano si fossero messi a disposizione di G.R., reggente del gruppo, ricevendo risposta affermativa; nel corso della medesima conversazione i due giovani riferivano al padre che i M. e gli S. attendevano con ansia la sua scarcerazione, prevista all’esito della revisione del processo conclusosi con la sua condanna all’ergastolo.

Ad avviso del Tribunale il contenuto delle predette conversazioni trovava conferma nelle ulteriori indagini svolte dalla polizia giudiziaria e trasfuse in un’annotazione in data 20 giugno 2009, da cui emergeva che i fratelli S. mantenevano rapporti telefonici e di frequentazione con diversi soggetti appartenenti alla cosca Gallico ( C.A., F. e S. M., M.A., G.V.). Ulteriore riscontro alla prospettazione accusatoria veniva individuato nel manoscritto D.- C., nel quale erano illustrati gli interessi sottesi all’eliminazione di S.C. ed erano spiegate le motivazioni della reazione dei nipoti, da porre in correlazione con la volontà di riaffermare la supremazia del gruppo Gallico – Morgante – Sciglitano in relazione all’attività estorsiva.

Le esigenze cautelari venivano ritenute presunte ai sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3. 2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, S.D., il quale denuncia inosservanza dell’art. 273 c.p.p. in relazione alla ritenuta sussistenza del quadro di gravità indiziaria e violazione dei canoni valutazione probatoria, considerato che: a) i colloqui erano intercorsi fra terze persone e che ad essi era rimasto estraneo l’indagato; b) gli stessi non mettevano in luce alcuna concreta condotta illecita, pure a fronte delle direttive impartite da G.G.; c) da essi non poteva inferirsi alcun fattivo contributo alla vita associativa; d) non era comprovato alcun diretto rapporto personale tra G.G. e i fratelli S. che, al momento dell’arresto del primo, erano ancora minorenni; e) i contatti con C.A., G.V., F. e M.S. non erano di per sè dimostrativi di una comunanza di interessi illeciti; f) nessun collaboratore di giustizia aveva reso dichiarazioni a carico di S.D.; g) la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 599 dell’11 febbraio 2011 aveva annullato senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di G.C. che, secondo la prospettazione accusatoria, era sovraordinato a D. S..

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p., contestato al ricorrente, dal contenuto delle intercettazioni ritualmente disposte, dall’esito delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria, dalle risultanze delle perquisizione e dei sequestri operati, dalle sentenze acquisite ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p..

I giudici di merito, con motivazione compiuta e logica, hanno ricostruito l’operatività di un articolato sodalizio di stampo mafioso, dedito, tra l’altro, alla commissione di delitti in materia di estorsioni nel territorio di competenza dell’organizzazione, caratterizzato da un forte radicamento sul territorio calabrese, da un’organizzazione gerarchica, all’interno della quale il ricorrente forniva un pieno e consapevole contributo causale dando attuazione agli ordini impartiti dai capi dell’associazione ( G. G., G.D. cl. (OMISSIS), G.C.) e mettendosi al servizio dei capi della ‘drina per azioni di contrapposizione violenta ai clan avversi in vista dell’affermazione dell’egemonia del gruppo, da tempo aduso ad avvalersi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà, per la commissione di una serie di delitti, tra cui quelli in materia di estorsione, al fine di realizzare il controllo capillare del territorio soprattutto nel settore degli appalti e delle attività economiche e produttive e di realizzare ingenti profitti illeciti.

Il provvedimento impugnato è pervenuto a tale conclusione sulla base di un’attenta e puntuale lettura degli elementi investigativi acquisiti, dando ad essi un logico significato, che non può essere messo in discussione in questa sede, riproponendo una differente e alternativa lettura dei fatti così come ricostruiti coerentemente dai giudici di merito, che hanno fornito una valutazione dei colloqui rispettosa dei criteri della logica e delle massime di esperienza. A prescindere dalla insindacabilità in sede di legittimità dell’interpretazione che il Tribunale del riesame ha dato circa il significato delle conversazioni intercettate, deve ribadirsi che il senso attribuito al linguaggio criptico adoperato nei colloqui registrati risulta del tutto credibile, anche perchè confermato dai riscontri messi in risalto dai giudici, costituiti dall’esito delle indagini di polizia giudiziaria svolte in ordine alle complessive dinamiche criminali e dal contenuto delle sentenze irrevocabili di condanna acquisite (Sez. 6^, n. 15396 dell’11 dicembre 2007; Sez. 6, n. 17619 dell’08 gennaio 2008; Sez. 6, n. 35680 del 10 giugno 2005).

Alla luce della coerente e razionale trama argomentativa che sorregge l’interpretazione delle singole intercettazioni, è irrilevante la circostanza che a nessuna di essere prenda personalmente parte il ricorrente, persona peraltro univocamente indicata come membro del sodalizio, pronta ad attuare gli ordini ricevuti ed esperta in azioni di cruenta rappresaglia. L’intraneità al sodalizio, la sua struttura gerarchica e i comprovati rapporti di S. con esponenti dello stesso rende altresì privo di rilievo il fatto – messo in risalto dalla difesa – che non risultino rapporti diretti tra il ricorrente e G.G..

La gravità e univocità del quadro indiziario autonomamente delineato dal contenuto delle conversazioni captate non richiede ulteriori riscontri (ad esempio, dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, secondo quanto prospettato dalla difesa), considerato che alle indicazioni di reità provenienti da conversazioni intercettate non si applica il canone di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3, non essendo esse assimilabili alle dichiarazioni che il coimputato del medesimo reato o la persona imputata in procedimento connesso rende in sede di interrogatorio dinanzi all’autorità giudiziaria; conseguentemente, per esse vale la regola generale del prudente apprezzamento del giudice.

Tenuto conto della specificità delle singole posizioni e della complessa articolazione del sodalizio prive di pregio appaiono anche le doglianze difensive concernenti l’intervenuto pronunzia di annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale del riesame relativa alla posizione di G.C..

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di S. in ordine al delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso a lui contestato.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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