Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-06-2012, n. 10422 Indennità di buonuscita o di fine rapporto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Genova, confermando la statuizione di primo grado, con cui era stata rigetta la domanda proposta da vari ex dipendenti dell’Enea, che richiedevano somme ulteriori rispetto al trattamento di fine servizio già liquidato, il cui diritto asseritamente discendeva dalla convenzione (n. 52900) stipulata dall’Ente con l’Ina nel 1983, allorquando per detto personale era stato introdotto il TFR di cui alla L. n. 297 del 1982.

In virtù di detta convenzione erano state accese, a favore dei dipendenti, polizze individuali, in cui costoro venivano indicati come assicurati beneficiari. L’Enea aveva provveduto al pagamento dei premi (quello iniziale parametrato al TFR maturato da ciascuno fino al 1983 mentre i successivi venivano commisurati alle quote di TFR maturate ogni anno); la convenzione era stata disdettata ed i premi non erano stati più pagati dal dicembre 1992, allorquando, con il D.M. 16 novembre 1992, era stato reintrodotto, per i dipendenti Enea, il TFS, secondo il precedente sistema pubblicistico. Poichè l’Ina si era opposto alla disdetta per mancanza del consenso dei beneficiari, l’Enea aveva stipulato una nuova polizza (la n. 58572 del 16.12.96) con decorrenza dal 1.1.93, a garanzia del TFS dovuto ai dipendenti, convenzione in cui figurava invece l’Enea come unico beneficiario.

Dal 31 dicembre 1992 la polizza n. (OMISSIS) era rimasta priva di alimentazione, ma gli importi versati avevano continuato a produrre rendimenti, che non erano stati comunicati ai dipendenti se non all’insorgere del contenzioso. I dipendenti chiedevano quindi, oltre al TFS già versato, la condanna dell’Enea, al pagamento dei premi versati e dei rendimenti prodotti, in subordine dei soli rendimenti, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e morali subiti.

La Corte territoriale osservava: la convenzione, pur definendo i dipendenti come beneficiari della polizza (OMISSIS), escludeva ogni rapporto tra questi e l’Ina, stabilendo che la liquidazione delle prestazioni dovesse avvenire per il tramite dell’Enea; la comune volontà delle parti era stata quella (artt. 1 e 6 della convenzione) che l’Enea si costituisse disponibilità economiche occorrenti per far fronte al pagamento del TFR; nella medesima convenzione non emergeva che l’Enea avesse voluto predisporre la provvista per erogare ai dipendenti un emolumento ulteriore rispetto al TFR;

riteneva la Corte adita che la convenzione aveva natura mista: da una parte intesa ad assicurare ai dipendenti le somme dovute per il TFR e, dall’altra, come contratto funzionale all’interesse proprio dell’Enea di perseguire una gestione efficiente e remunerativa del proprio patrimonio, nel caso di maturazione di un plusvalore degli investimenti rispetto alle somme versate. In ogni caso, soggiungeva la Corte adita che il diritto a somme ulteriori rispetto al TFR o al TFS sarebbe stato sicuramente precluso, nel regime privatistico, dalla L. n. 297 del 1982, art. 4, penultimo comma nonchè, per i dipendenti pubblici, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3 e art. 45, comma 1.

Avverso detta sentenza i soccombenti ricorrono con quattro motivi.

Resiste l’Enea con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunziando violazione del R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4 in relazione agli artt. 1325 e 1411 cod. civ., sostengono i ricorrenti che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non sarebbe preclusa la erogazione dei premi versati, degli adeguamenti garantiti e delle integrazioni costituite dai rendimenti della gestione di cui alla convenzione n. (OMISSIS), dal momento che la L. n. 297 del 1982 non ha abrogato il R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4 ossia ha pur sempre facoltizzato il datore di lavoro di stipulare contratti assicurativi a capitalizzazione a favore dei propri dipendenti per garantire, alla fine del rapporto, una indennità non inferiore a quella garantita per legge. Lamentano altresì i ricorrenti che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato la convenzione, perchè beneficiari della polizza, al verificarsi della cessazione del rapporto, erano essi dipendenti, sia in relazione ai premi versati, sia agli adeguamenti garantiti, sia dai rendimenti, per cui sarebbe da escludere l’esistenza di una doppia causa del contratto, ravvisata dalla sentenza impugnata.

Con il secondo motivo si denunzia difetto di motivazione ex art. 1362 c.c. sul fatto che Enea era beneficiario di utili. Con il quesito si reitera la doglianza sulla doppia funzione della convenzione. Con il terzo motivo si denunzia violazione L. n. 297 del 1982 Con il quarto motivo si lamenta difetto di motivazione.

Il ricorso non merita accoglimento, come già deciso dalla sentenza di questa Corte Sentenza n. 4696/2012.21553 del 2009 con cui si è affermato:

"2. I suddetti motivi vanno esaminati congiuntamente, essendo tutti finalizzati a censurare l’interpretazione del contratto assicurativo resa dalla Corte territoriale.

2.1 Quanto in particolare al primo, deve rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di puntualizzare, con espresso riferimento a un contratto di assicurazione stipulato ai sensi del R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4, convenuto in L. n. 1251 del 1942, che nelle somme liquidate al dipendente all’atto della cessazione del rapporto di lavoro possono distinguersi una posta (cosiddetta capitale), rappresentata dai premi versati dal datore di lavoro in corrispondenza dell’ammontare dell’indennità di anzianità via via maturata dal dipendente, ed un ammontare ulteriore (cosiddetto rendimento di polizza), costituente il risultato dell’operazione assicurativa propriamente detta, implicante un’eccedenza rispetto ai premi medesimi, ed, in effetti, rispetto a quanto attribuito al dipendente in forza di legge; che la funzione della stipulazione di una speciale polizza assicurativa era quella di assicurare agli impiegati la corresponsione dell’indennità di anzianità nella misura di legge; che, pertanto, l’opzione datoriale per la suddetta forma di provvidenza sostitutiva non comportava l’automatica attribuzione in favore dei dipendenti della parte del rendimento di polizza, consistente negli interessi sui versamenti o sui premi corrisposti, eccedente rispetto all’ammontare di legge dell’indennità di anzianità; che tale supplementare erogazione poteva trovare titolo soltanto in una eventuale pattuizione aggiuntiva o in specifiche clausole della polizza assicurativa, intese ad assicurare ai dipendenti stessi condizioni di miglior favore rispetto a quelle previste dalla legge (cfr, Cass., nn. 11718/1991; 3088/2002).

Le argomentazioni svolte dai ricorrenti a sostegno del motivo sono dunque inficiate in radice dall’errore prospettico di ritenere che i contratti assicurativi conclusi ai sensi del ridetto R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4, (nell’ambito dei quali, secondo il loro assunto, dovrebbe rientrare anche quello della cui interpretazione qui si controverte) fossero contraddistinti da una causa tipica implicante l’attribuzione ai dipendenti anche delle somme derivanti dalla capitalizzazione ulteriori rispetto all’indennità di fine rapporto spettante.

Con il che deve convenirsi che il riconoscimento della fondatezza delle pretese azionate non può prescindere dall’individuazione della reale portata del documento contrattuale su cui tali pretese si fondano.

2.2 Al riguardo deve considerarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la parte che denuncia l’erronea interpretazione di un atto di autonomia privata deve riportarlo integralmente, non essendo consentito alla Corte di legittimità, per i limiti propri della funzione ad essa attribuita, procedere alla ricerca e all’esame del contenuto dei fascicoli di parte, al di fuori dell’ipotesi di denuncia di error in procedendo (cfr, ex plurimis, Cass., n. 4948/2003).

Sotto questo aspetto il ricorso, con particolare riferimento alle doglianze inerenti ai pretesi vizi motivazionali e di inosservanza delle regole ermeneutiche, presenta dei profili di inammissibilità, posto che non tutte le clausole della polizza di cui si lamenta l’erronea interpretazione e anche, in parte, quelle che si invocano a pretesa dimostrazione degli errori in cui il Giudice a quo sarebbe incorso, sono state trascritte integralmente in ricorso (così, fra queste ultime, l’art. 6, punto 2, e l’art. 12).

2.3 Deve inoltre considerarsi che, sempre in base al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e ss., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione; pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8994/2001; 4948/2003; 14850/2004; 18375/2006; 7500/2007;

22536/2007; 23569/2007).

2.4 Le censure svolte non corrispondono a tali principi. Quanto al preteso vizio di motivazione, poichè le argomentazioni poste dalla Corte territoriale a sostegno della decisione assunta e diffusamente ricordate nello storico di lite sono obiettivamente perfettamente comprensibili ed idonee a dimostrare l’iter logico seguito nella ricostruzione della portata del documento contrattuale esaminato.

Quanto alla pretesa violazione dei canoni ermeneutici, perchè i ricorrenti, al di là di apodittiche affermazioni in tal senso, non dimostrano l’effettiva asserita devianza dai canoni suddetti, indicando a tal fine talune pretesamente erronee o parziali o semplicemente non condivise letture, da parte della Corte territoriale, di talune clausole contrattuali ed asserendo, contrariamente al vero, che il Giudice del merito abbia ritenuto la sufficienza del dato testuale di cui all’art. 1, 1 cpv., della polizza al fine di interpretare e qualificare l’intero contratto.

Viceversa, come palesemente emerge dall’esame del percorso motivazionale quale già ampiamente ricordato, la Corte territoriale ha proceduto alla disamina contrattuale facendo corretta applicazione dei fondamentali canoni ermeneutici, partendo dalla disamina degli elementi testuali delle singole clausole, collegandoli fra loro al fine di ricostruirne l’effettiva portata e non trascurando di considerare il comportamento delle parti contraenti sia precedente che successivo alla stipulazione della polizza all’esame. Per contro del tutto inidonee allo scopo, alla luce dei surricordati principi, si rilevano le argomentazioni attraverso le quali i ricorrenti si diffondono ad illustrare una diversa interpretazione, confacente alle loro tesi, delle varie clausole contrattuali e della polizza nel suo complesso.

2.5 il risultato a cui la Corte territoriale è pervenuta si presenta altresì aderente ai principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte in un’analoga controversia, secondo i quali, in materia di indennità di fine rapporto, la normativa di cui alla L. n. 297 del 1982, non preclude che, in generale, possano essere corrisposte, alla cessazione del rapporto, erogazioni integrative aventi natura e funzioni diverse dal trattamento di fine rapporto, purchè esse siano ricollegate al contratto di lavoro, nel quale devono trovare una giustificazione causale idonea ad escludere una disposizione derogatoria alla disciplina legale; cosicchè deve escludersi che siano da corrispondere ai lavoratori le maggiori somme maturate per l’effetto di una polizza assicurativa stipulata dal datore di lavoro, allorchè, in ragione della struttura della provvista e dalla modalità di erogazione degli importi, risulti che essa sia stata costituita a beneficio della gestione e delle finalità proprie del datore di lavoro, al fine di assicurare la corresponsione dell’indennità di fine rapporto ai dipendenti, e non preveda in favore di questi ultimi utilità economiche ulteriori rispetto alle somme a garanzia del trattamento di fine rapporto (cfr, Cass., SU, n. 21553/2009; Cass., 6599/2011). 2.6 Nè potrebbe configurarsi, nella conclusione ermeneutica del Giudice di merito, la violazione dell’art. 1411 c.c., posto che, una volta escluso che i benefici ulteriori siano effettivamente previsti nella convenzione assicurativa, non si verifica alcuna alterazione causale del contratto a favore di terzi, che mantiene la sua funzione di arrecare a questi ultimi tutti i vantaggi previsti dalle parti, consistenti nella specie, in via esclusiva, nella garanzia del trattamento di fine rapporto.

3 – Non vi sono motivi per discostarsi da questi menzionati procedimenti onde il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 50.00 per esborsi, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre spese generali Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 21 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2012

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