Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-06-2012, n. 10585

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Svolgimento del processo

Con citazione del 1997, S.A. esponeva che M.L. aveva ceduto alla Termodinamica srl un terreno in (OMISSIS) con atto del 1973; che, con altro atto dello stresso anno, G.M. aveva venduto alla stessa Società altro terreno confinante con il primo; che i detti terreni, pur se liberi da trascrizioni ed iscrizioni, risultavano di fatto occupati, con altri di maggiore superficie, da P.A., a titolo di soccida in base ad un contratto del 1972. Successivamente, con scrittura privata del 1977, detto accordo era stato sciolto consensualmente tra gli eredi M. ed il P.; che peraltro, la Azienda agricola Due srl (così era mutata la denominazione della Termodinamica srl), venuta a conoscenza di una nuova occupazione dei detti terreni da parte dello stesso P., aveva proposto nei di lui confronti azione possessoria, senza peraltro invocare l’accordo del 1977 e la relativa domanda era stata respinta.

Con atto del 1995, la predetta Società aveva venduto i detti terreni ad S.A., la quale, perdurando occupazione degli stessi da parte del P., aveva esplicato azione di rivendica di fronte al Tribunale di Avezzano, assumendo che la prova della proprietà in suo favore dei detti terreni emergeva dai titoli di acquisto, che coprivano il ventennio anteriore alla domanda, sostenendo che il P. aveva riconosciuto, con la scrittura del 1977, di essere mero detentore degli stessi, non potendo quindi invocare alcun tipo di usucapione. Il convenuto, resisteva alla domanda attorea e proponeva domanda riconvenzionale di usucapione dei terreni de quibus.

Con sentenza del 2001, l’adito Tribunale rigettava la domanda di revindica della particella 280, siccome non era ravvisabile il possesso ultraventennale della S., e rigettava altresì la riconvenzionale di usucapione della stessa.

Quanto alla particella 128, il P. non risultava aver mai assunto rispetto alla stessa la veste di detentore e l’aveva sempre posseduta, di talchè andava accolta la riconvenzionale di usucapione.

Avverso tale decisione proponeva appello la S., cui resisteva il P., che proponeva a sua volta appello incidentale.

Con sentenza in data 28.2/30.3.2006, la Corte di appello de L’Aquila rigettava entrambe le impugnazioni e compensava le spese.

Osserva la Corte distrettuale che le risultanze processuali portavano ad escludere che la part. 128 fosse stata oggetto del rapporto di soccida, nè potevano considerarsi conclusive in senso contrario le asserzioni del difensore del P. nel corso del giudizio possessorio di fronte al pretore di Tagliacozzo, nè il diverso tenore della sentenza rispetto alle ordinanze adottate nel corso del giudizio.

Quanto alla part. 280, l’onere probatorio gravante sulla parte non poteva ritenersi attenuato, non risultando elementi idonei a far venir meno la sussistenza della necessità della probatio diabolica, non offerta dalla S..

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi, la S.; resiste con controricorso il P., il quale ha anche proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.

Motivi della decisione

I due ricorsi, principale ed incidentale, sono rivolti avverso la stessa sentenza e vanno pertanto riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Ratione temporis, va preliminarmente rilevato che il ricorso principale doveva contenere, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto con D.Lgs. 2 febbraio 2006, n 40, entrato in vigore il 3.2 dello stesso anno, la formulazione dei quesiti; infatti la sentenza impugnata era stata pubblicata il 30.3.2006 e la successiva abrogazione della norma de qua non esplica efficacia relativamente alle sentenze pronunciate prima della abrogazione di essa (L. 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 4.7.2009).

Stante che i quesiti esulano totalmente dal ricorso principale, lo stesso, ai sensi della norma sopracitata, deve essere dichiarato inammissibile.

Il ricorso incidentale contiene invece i quesiti richiesti, ma lo stesso è completamente carente della esposizione dei fatti di causa;

è appena il caso di ricordare che non è consentito, come si è fatto nella specie, di fare riferimento ai fatti esposti nella sentenza impugnata.

Ricordato che ai fini della sussistenza del requisito de quo, prescritto, a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti od atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata (cfr. Cass. 12.6.2008, n. 15808), va rilevato che nella specie non è possibile, neppure attraverso la lettura del ricorso incidentale, risalire alla cognizione di tutti gli elementi processuali e sostanziali, utili al fine suddetto.

In conseguenza di ciò, anche il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.

La declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi giustifica la compensazione delle spese relative al presente procedimento per cassazione.

P.Q.M.

riuniti i ricorsi, la Corte li dichiara inammissibili e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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