Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-10-2011) 02-12-2011, n. 44992

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.N.P. ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso l’ordinanza 16.12.10 del Tribunale del riesame di Reggio Calabria che ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal locale g.i.p. per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., per aver fatto parte di un’associazione a delinquere di tipo mafioso, denominata ‘ndrangheta, in particolare del sodalizio denominato "cosca Rosmini" operante nei quartieri di (OMISSIS), con il compito, quale dirigente- organizzatore, di gestire gli interessi della cosca in materia edilizia.

Deduce la difesa del ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnato provvedimento, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), apparendo equivoci ed insufficienti gli elementi desumibili sul punto dai contenuti delle intercettazioni indicate, non riconducibili all’ A., nei termini di cui all’art. 273 c.p.p., in difetto di stabile e permanente inserimento del medesimo nella detta associazione con i cui sodali egli aveva soltanto delle semplici frequentazioni, essendosi il prevenuto definitivamente allontanato da qualsiasi contesto illecito, svolgendo uno stabile lavoro e non avendo rivestito alcun ruolo da protagonista nella presunta consorteria mafiosa. Nell’ordinanza impugnata – prosegue la difesa – non erano state indicate concrete e specifiche manifestazioni tipiche di un potere mafioso, laddove i contatti tra R.D. e l’ A. erano giustificati dal rapporto di parentela (cognati) ed era ormai un dato assodato che l’ A. gestisse in maniera disastrosa un’impresa edile di proprietà della moglie, fosse una persona piena di debiti e che in più di un’occasione i suoi creditori erano stati costretti ad adire le vie legali al fine di vedersi riconosciuto il credito che egli aveva poi onorato senza far valere il suo presunto carisma di partecipe alla cosca Rosmini.

Nelle conversazioni intercettate i colloqui vertevano su chiamate di lavoro (conversazione del 10.10.08, h 10,10); su discorsi intercorsi tra soggetti terzi (conversazione del 2.10.08, h 17,32); su presunti risentimenti avuti dal cognato con tale " G.", identificato in P.M. senza alcun riscontro (conversazione del 3.4.09, h 19,19); ovvero mere millanterie in un momento d’ira, come la conversazione del 21.4.09, h 17,41, esternate dall’ A. verso una terza persona, ma non seguite dal alcun atto, mentre quella del 19.5.09, h 6,25 era stata apoditticamente interpretata nel senso che si parlava di denaro da estorcere su un imprecisato cantiere da parte di tale " B.", come pure quella del 17.5.09, h 18,29 era stata ritenuta indiziante per la richiesta rivolta a S.G., ma questi, sentito in sede di investigazioni difensive, ex art. 391 c.p.p., aveva dichiarato di conoscere M.O.S. (coindagato nel reato ascritto all’ A.), con il quale aveva un buon rapporto, che intratteneva in ambito lavorativo anche con l’ A., e di non aver mai ricevuto dal M. richieste di saldo delle spettanze per l’attività lavorativa svolta dall’ A., nè per conto del R. nè di altri soggetti.

Si era quindi trattato – concludeva il ricorrente – di conversazioni prive di qualsivoglia gravità indiziaria, non riscontrate e non riscontrabili, non idonee pertanto a sorreggere quel giudizio ex art. 273 c.p.p. formulato invece dal g.i.p. e dal tribunale del riesame.

Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Ricordato come il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), legittima il ricorso per cassazione in tema di misure cautelari personali deve risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato, il che significa che solo l’assoluta carenza sul piano logico dell’iter argomentativo seguito dal giudice può avere rilievo in sede di legittimità, senza che lo possa la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul piano logico (v. Sez. un., 15 febbraio 1996, n. 41), per cui alla Corte di cassazione, allorchè sia denunciato il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza (v. Sez. un., 22 marzo 2000, n. 11), oltre che all’esigenza di completezza espositiva (v. Cass., sez. 6, 1 ottobre 2008, n. 40609), rileva questa Corte che nell’ordinanza impugnata non si evidenziano profili di incongruenza della motivazione in tema di gravità indiziaria concernente l’ipotesi criminosa di partecipazione ad associazione mafiosa di A.N. P., come invece dedotto dalla difesa. Ha in esordio evidenziato il tribunale del riesame come la complessa attività investigativa abbia avuto per oggetto l’accertamento dell’esistenza ed operatività di un’articolata compagine mafiosa attiva principalmente nei quartieri Ciccarello, S. Giorgio Extra e Modena di Reggio Calabria, costituita dalla cosca Borghetto-Caridi-Zindato, che – riconducibile alla "famiglia Libri" il cui spessore criminale era stato accertato con sentenza divenuta irrevocabile a conclusione di processi noti con il nome di "(OMISSIS)" – in tale area operava uno stretto controllo ad eccezione del quartiere di S. Giorgio Extra, cogestito invece tra detta consorteria e quella facente capo alla "famiglia Rosmini".

In una situazione non più caratterizzata da tensioni – hanno sottolineato i giudici del riesame – tra i diversi gruppi che negli anni precedenti si erano sanguinosamente contrapposti, le indagini avevano appurato l’attività di soggetti inseriti nel circuito criminale, nel settore economico e imprenditoriale, che agivano da un lato imponendo una tassa sulle attività economiche e di rilievo svolte nel territorio controllato, dall’altro partecipando direttamente ad esse con capacità di falsare le regole della libera concorrenza a detrimento di concorrenti estranei ai gruppi.

In tale ambito la cosca Rosmini – la cui esistenza quale gruppo mafioso era risultata da plurime sentenze passate in giudicato – si era rivelata ancora vitale ed operativa nello stesso territorio controllato dalla cosca Borghetto-Caridi-Zindato, in un quadro indiziario che il tribunale ha indicato come caratterizzato dai significativi risultati delle intercettazioni ambientali disposte, corroborate dalle propalazione di diversi collaboratori di giustizia.

Le conversazioni evidenziate dai giudici, lungi dal poter essere lette nella chiave riduttiva proposta dalla difesa dell’odierno ricorrente, si caratterizzano nel delineare il ruolo di A. N.P., cognato di R.D., come persona in grado di esercitare un controllo sul "locale" di propria competenza, con particolare attenzione ai lavori edilizi avviati nella zona di S. Giorgio (v. conversazione del 2.10.08 tra M.G. e Ma.Do. in cui il secondo riferiva di come l’ A. gli avesse partecipato il malcontento del cognato R.D. in ordine ai lavori che l’impresa del Ma. stava eseguendo e per i quali il Ma. si era detto "sempre a disposizione per chiarimenti", pur specificando con il suo interlocutore di avere al riguardo, prima cioè di iniziare i lavori, mandato Z. F. (" C.") dai Rosmini per offrire la sua disponibilità a cedere parte dei lavori da effettuare ad una impresa di loro gradimento nonostante in precedenza avesse ottenuto dagli stessi Rosmini la facoltà di scegliere liberamente una impresa a lui vicina), lavori ai quali A. era interessato per conto della cosca Rosmini in quanto da eseguirsi nel territorio di loro competenza, tanto che gli esiti delle successive intercettazioni ambientali a bordo della Fiat Panda in uso all’ A. avevano consentito di registrare conversazioni di sicuro rilievo indiziario.

Tra quelle analiticamente indicate dai giudici del riesame, significative sono apparse quella del 3.4.09, h 19,19, in cui l’ A. riferiva alla moglie e al suocero del forte rimprovero che il R. aveva rivolto a C. (identificato per M. C.) per una telefonata fattagli che, inserita evidentemente in un più ampio contesto investigativo, avrebbe potuto portare ad una accusa di associazione mafiosa, potendo in quel momento essere attivo un servizio di intercettazione telefonica da parte delle Forze dell’Ordine; quella del 21.4.09, in cui l’ A. rivendicava il ruolo determinante ed esclusivo che aveva nella scelta delle imprese che potevano lavorare nel territorio di Modena e S. Giorgio ("Ancora per lui è giorno, poi glielo dico io a lui se lo devo stabilire io dove deve lavorare o meno, nei cazzi miei lo stabilisco io, a casa mia Hai capito?…Ma tu lo sai quando fai lavori a S. Giorgio e a Modena? Quando muoio io e nemmeno, perchè quando muoio io ci sono i miei figli che ti fanno ballare la samba…"); quella del 12.5.09, sempre a bordo della propria vettura allorchè l’ A., incontrati Ma.Do. e Q.V., al rimprovero del primo di non avergli reso noto il contenuto del "vertice" tenutosi il giorno precedente, aveva risposto: "Si, certo, io stavo venendo a dirtelo…è venuto pure B. ( C.) però non gli è uscito…gli hanno mandato l’imbasciata", per poi concludere nel senso che, con riferimento alla parte di tangente spettante "…dalla nostra andiamo sul cantiere e ce la prendiamo la nostra parte ha detto B.".

Da altre conversazioni erano poi emersi ulteriori elementi indiziari, significativi dell’attuale operatività della cosca Rosmini e del ruolo che in essa svolgeva l’ A., assieme al cognato R. D., come in quella – evidenziata ancora dai giudici – in cui si faceva riferimento a condotte estorsive da porre in essere in danno di S.G. (conversazione del 17.5.09 tra l’ A. e la moglie C.D.: "Gli ha detto ( R.D.) a O. ( M.): per favore, si deve chiamare a questo S.P., gli deve dare i soldi a mio cognato"). Dal canto suo – ha evidenziato il tribunale – S.G. ha ammesso di conoscere A. (come pure M. e R.) al quale si era rivolto 4-5 anni prima per eseguire dei lavori in un condominio dove già stava installando degli impianti idrici e termici, ma poi erano insorti dei contrasti ritenendo ciascuno di essere creditore e non debitore verso l’altro, tanto che il R. gli aveva chiesto di risolvere i contrasti con il cognato, versione edulcorata che i giudici del riesame hanno attribuito, non certo illogicamente, proprio alla situazione di assoggettamento e di intimidazione in cui il S. versava, tanto che – è stato perspicuamente osservato – degli asseriti rapporti di lavoro tra A. e S. non era stata fornita alcuna traccia documentale, nè il presunto credito era stato quantificato da alcuno, tanto meno dall’ A. – soggetto già condannato, con sentenza divenuta definitiva il 29.9.04, per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. – che nel suo interrogatorio si era limitato a generiche negazioni.

Da ultimo, a corroborare il già esauriente compendio indiziario, il tribunale del riesame ha indicato le propalazioni dei collaboranti Mo.Ro. – che ha riferito come la zona di S. Giorgio rientri anche sotto il controllo della famiglia Rosmini – e L.G. A., dichiaratosi personalmente a conoscenza dell’affiliazione alla ‘ndrangheta di R.D. e del controllo degli appalti nella zona di S. Giorgio, di Pio XI e di Modena da parte delle famiglie Rosmini, Zindato e Caridi.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94-ter disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli avvisi di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
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