Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-06-2012, n. 10579

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – I ricorrenti impugnano la sentenza numero 30 del 2010 della Corte di appello di Brescia per la parte in cui ha rigettato il loro appello avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo, che aveva accolto soltanto in minima parte la loro opposizione al decreto ingiuntivo col quale era stato richiesto il pagamento di L. 44 milioni a saldo dei lavori di ristrutturazione eseguiti in un loro immobile di (OMISSIS). L’opposizione era stata proposta da O. C. e E.R., al quale, deceduto durante il giudizio, erano succeduti gli eredi oggi ricorrenti.

Il decreto ingiuntivo era stato richiesto dalla CO.ED snc di F. D. e A., poi trasformata nella FRATUS EDILE Srl, oggi resistente.

I committenti, oltre a ritenere non dovuta la somma richiesta, avevano avanzato domanda per il risarcimento del danno subito per l’esistenza di vizi e difetti nei lavori eseguiti.

2. – Il Tribunale di Bergamo, ritenuta la legittimazione dell’opposta in quanto non era mai esistita la ditta individuale F. D., ritenuta la tardività della denuncia dei modesti vizi pur rilevati dalla c.t.u., revocato il decreto ingiuntivo, riteneva dovuta dai committenti la residua somma di L. 54 milioni e dedotti gli acconti versati li condannava al pagamento di Euro 20.141,82 oltre interessi legali sulla somma rivalutata di anno in anno.

3. – La Corte di Brescia accoglieva l’appello dei committenti soltanto quanto alla disposta rivalutazione del debito di valuta, rigettandolo nel resto, così come respingeva l’appello incidentale della società. La Corte territoriale, per quanto ancora interessa in questa sede, rigettava l’eccezione di nullità della sentenza per la dedotta violazione dell’art. 190 c.p.c. con conseguente violazione del diritto di difesa per avere il GOA, cui la causa era transitata per effetto dell’entrata in vigore delle sezioni stralcio, deciso la causa senza aver assegnato i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle note conclusionali. Al riguardo, la Corte rilevava che la violazione dedotta non aveva determinato la nullità della sentenza, posto che "nel silenzio del giudice sui termini a difesa, si devono ritenere implicitamente concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c." con la conseguenza che "la sentenza non è nulla, purchè depositata dopo la scadenza dei termini ordinari per il deposito di memorie conclusionali e replica". Nel caso in questione la precisazione delle conclusioni era stata effettuata all’udienza del 10 giugno 2005, i termini ex art. 190 c.p.c. scadevano il 15 ottobre 2005 e la sentenza era stata depositata l’8 febbraio 2006, ben oltre i termini indicati.

La Corte bresciana rigettava anche il secondo motivo di appello relativo alla carenza di legittimazione attiva della snc CO.ED. in quanto, pur risultando che "il contratto d’appalto…, la successiva scrittura integrativa e i pagamenti erano tutti intervenuti con F.D., persona fisicà ciò nonostante i committenti non solo non avevano sollevato nel giudizio di primo grado l’eccezione circa l’effettiva "titolarità del rapporto giuridico dedotto in causa,.. non rilevabile d’ufficio ", ma non avevano mai contestato che F.D., firmatario del contratto, ‘fosse un soggetto giuridico diverso dalla SNC CO. Ed", accettando "il contraddittorio e difendendosi in merito ai pagamenti effettuati …ed opponendo alla società vizi e difetti dell’opera da lei eseguiti, affermando espressamente che F.D. era il legale rappresentante della CO.Ed SNC (cfr memoria istruttoria del 23 gennaio 1995)". Di qui la ritenuta infondatezza nel merito della sollevata eccezione in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c. "in quanto è provato, o meglio è una circostanza non controversa, che il contratto di appalto e i lavori eseguiti, fossero riconducigli alla SNC Co.Ed., oggi trasformata in FRATUS edile S.r.L., rappresentata dalla persona di F.D.".

La Corte rigettava anche il motivo d’appello col quale era denunciata l’improponibilità della domanda per l’esistenza di una clausola compromissoria, dovendosi interpretare la clausola 10 del contratto, che prevedeva che "in caso di controversia, competente alla soluzione sarà il Tribunale di Bergamo con il perito che nominerà da affiancare al tecnico delle parti" nel senso della volontà delle parti di rivolgersi all’autorità giudiziaria competente, Tribunale di Bergamo, e non ad un arbitro.

La Corte poi riteneva tardivamente denunciati vizi e difetti visibili e riconoscibili e qualificava come ricognizione di debito la scrittura inter partes intervenuta il 6 giugno 1994, posta a base del decreto ingiuntivo, con la quale veniva effettuata una ricognizione dei lavori effettuati ed operata una loro quantificazione con la precisa indicazione della somma residua ancora da pagare, rateizzata in cinque rate e con un saldo da corrispondersi al 31 dicembre 1995.

4. – I ricorrenti avanzano cinque motivi di ricorso. Resiste con controricorso la parte intimata.

Motivi della decisione

1. I motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 190 c.p.c., rilevante agli effetti delle norme di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4:

per aver la Corte d’appello rigettato l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, nonostante essa fosse stata deliberata prima della decorrenda del termine, non assegnato, previsto per il deposito di comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Osservano che la decisione fu assunta, come risultava dalla stessa sentenza, il 15 luglio 2005, quando i termini ex art. 190 c.p.c. non erano ancora decorsi. La motivazione sul punto della Corte d’appello che ha preso in considerazione non già la data della decisione, ma quella della pubblicazione della sentenza, non poteva essere condivisa. In ogni caso tale violazione aveva inciso sul diritto di difesa, perchè non era stato possibile svolgere le deduzioni in ordine alle carenze della c.t.u..

1.2 – Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 345 c.p.c., nel testo ratione temporis vigente, e di cui all’art. 2697 c.c., rilevante agli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; insufficiente e contraddittoria motivazione, rilevante agli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per aver la corte d’appello ritenuto incontroverso tra le parti il fatto che i lavori eseguiti fossero riconducibili alla CO.ED SNC; per avere la corte d’appello ritenuto onere dei ricorrenti dimostrare la titolarità attiva del rapporto in F.D., ancorchè egli risultasse in proprio firmatario del contratto d’appalto da loro prodotto in giudizio; per aver la Corte di appello contraddittoriamente ritenuto F.D. firmatario in proprio del contratto d’appalto e tuttavia Co.Ed SNC titolare del rapporto giuridico.

Osservano che tali eccezioni erano state sollevate fin dalla comparsa conclusionale in primo grado e che esse erano comunque proponibili anche in appello. La Corte ha ritenuto che l’eccezione, in quanto di parte, doveva essere avanzata tempestivamente. Ed in ciò erra perchè l’eccezione di merito era sollevatale anche in appello.

1.3. – Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 806 c.p.c. e segg. e art. 1367 c.c., rilevante agli effetti della norma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: perchè la corte d’appello ha interpretato la clausola n. 10 del contratto di appalto in data 15 luglio 1983 così da escluderne la qualità di clausola compromissoria.

1.4.- Con il quarto motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1667 e 2697 c.c., rilevante agli effetti della norma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, rilevante agli effetti della norma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: per aver la corte d’appello desunto la tardività della denuncia dei vizi dalla data delle dimissioni del direttore dei lavori, senza che diversamente risultasse l’anteriorità della scoperta; per avere la corte d’appello ritenuto onere dei ricorrenti dimostrare la tempestività della denunzia e tuttavia non ammesso i capitoli di prova orale all’uopo richiesti d’ammissione.

1.5. – Con il quinto motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1363 e 1988 c.c., rilevante agli effetti della norma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; insufficiente e contraddittoria motivazione, rilevante agli effetti della norma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: per avere la corte di appello ritenuto che la scrittura privata in data 6 giugno 1984 avesse ad oggetto lavori dell’appaltatore già interamente compiuti e portasse perciò il riconoscimento del debito relativo al loro pagamento, nonostante il suo contenuto negoziale, riferito a lavori a compiersi.

2. Il ricorso è infondato e va respinto.

2.1 – Il primo motivo è infondato. Al riguardo la Corte di appello ha affermato che: trattandosi di causa di vecchio rito, affidata alla sezione stralcio, il GOA. non doveva fissare l’udienza di spedizione, ma soltanto udienza di precisazione delle conclusioni con concessione di termini per le difese finali, ai sensi degli artt. 189 e 190 c.p.c.. Il giudice onorario aggregato, dopo aver invitato le parti a precisare le conclusioni all’udienza fissata per il tentativo di conciliazione, che non era andato a buon fine, comportamento pienamente corretto, esaurito l’incombente, ha trattenuto la causa in decisione senza nulla dire in ordine ai termini di cui all’art. 190 c.p.c.. Ciò non comporta la nullità della sentenza, in quanto nel silenzio del giudice sui termini a difesa, si devono ritenere implicitamente concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c., e la sentenza non è nulla, perchè depositata dopo la scadenza dei termini ordinari per il deposito di memorie conclusionali e repliche…. Nel caso di specie, la sentenza è stata depositata l’8 febbraio 2006, ben oltre la scadenza degli ottanta giorni prevista dall’art. 190 c.p.c. che scadevano il 15 ottobre 2005, stante la precisazione conclusioni al 10 giugno 2005, onde nessuna nullità si è verificata.

Tale conclusione appare condivisibile ove si consideri la specificità del caso in esame nel quale: a) la causa era transitata al GOA, che doveva disporre la comparizione delle parti, prima di procedere la decisione; b) le parti, invitate a precisare le conclusioni, lo hanno fatto senza chiedere termini di nessun genere;

c) il giudice nulla ha detto nel suo provvedimento con riguardo al termine ex art. 190 c.p.c.; d) le parti nulla hanno fatto successivamente e in particolare non hanno depositato memorie; e) la decisione reca la data del 15 luglio 2005, ma risulta depositata in data 8 febbraio 2006, a termini di deposito conclusionali e repliche ampiamente scaduti.

Al riguardo occorre in primo luogo considerare che, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, la decisione è stata assunta dal tribunale in composizione monocratica ex art. 281 bis c.p.c. e segg. e quindi difetta di un momento deliberativo che assuma autonoma rilevanza, come nel caso della deliberazione collegiale disciplinato dall’art. 276 c.p.c.. Di conseguenza, essendo la sentenza formata solo con la sua pubblicazione a seguito del deposito in cancelleria ex articolo 133 cod. proc. civ., esclusivamente a tale data, e non anche a quella diversa e anteriore eventualmente indicata in calce all’atto come data della decisione, può farsi riferimento per stabilire se la causa sia stata decisa primo o dopo la scadenza dei termini previsti dall’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e delle memorie di replica e se, dunque, vi sia stata o no violazione dei diritti di difesa (Cass. 2009 n. 6239; Cass. 2003 n. 9698; Cass. 2004 n. 4356).

Occorre poi rilevare che non avendo il giudice monocratico detto alcunchè in ordine ai termini per il deposito delle conclusionali e di replica ai sensi dell’art. 190 c.p.c., tali termini dovevano ritenersi implicitamente concessi (vedi in motivazione Cass. n. 6293 del 10/03/2008), con la conseguenza che le parti avrebbero potuto procedere al loro deposito, cosa che non è accaduta.

In definitiva, nel caso in questione non vi è stata alcuna violazione dei diritti di difesa, sicchè non sussiste la dedotta nullità.

2.2 – E’ infondato anche il secondo motivo. Occorre osservare in primo luogo che la Corte territoriale ha affermato che è "infondata nel merito l’eccezione sollevata nel presente grado di giudico" (pagina 11), ed, esaminandola, non l’ha ritenuta tardiva, ma infondata.

La Corte al riguardo ha osservato che i committenti mai avevano contestato che F.D., firmatario del contratto, "fosse un soggetto giuridico diverso dalla SNC CO.Ed", accettando "il contraddittorio e difendendosi in merito ai pagamenti effettuati …ed opponendo alla società vizi e difetti dell’opera da lei eseguiti, affermando espressamente che F.D. era il legale rappresentante della CO.Ed SNC (cfr memoria istruttoria del 23 gennaio 1995)".

Gli odierni ricorrenti avevano eccepito che vi sarebbe stato un subappalto tra il F. e la società, al quale essi committenti erano estranei e ciò in mancanza di una prova su tale rapporto con la società. La Corte d’appello ha correttamente ritenuto infondata tale eccezione, osservando che mancava la prova che il " F. fosse titolare di un’impresa individuale, diversa e distinta dalla snc Co.Ed" e che tale prova "incombeva agli appellanti in quanto actores in eccipiendo".

Tale decisione è corretta. Il decreto ingiuntivo fu chiesto dalla società e gli odierni ricorrenti hanno proposto opposizione senza eccepire alcunchè, formulando poi l’eccezione in questione senza fornire alcuna prova in ordine alla titolarità in capo al F. di un’autonoma ditta individuale, diversa e distinta dalla società che aveva chiesto il decreto ingiuntivo e che si è dichiarata titolare del relativo rapporto, prova che su di loro incombeva in virtù della loro veste di actores in eccipiendo in sede di opposizione al decreto aggiuntivo. Il motivo di ricorso quindi è infondato anche sotto il profilo della dedotta violazione di legge.

2.3 – Pure infondato è il terzo motivo di ricorso relativo alla errata interpretazione dell’art. 10 del contratto intercorso tra le parti. L’interpretazione data a tale articolo dalla Corte territoriale è stata la seguente: "La clausola 10 del contratto di appalto reca testualmente: "in caso di controversia, competente alla soluzione sarà il tribunale di Bergamo, con il perito che nominerà da affiancare al tecnico delle parti". La volontà delle parti è evidentemente quella di indicare come territorialmente competente il tribunale di Bergamo, cioè l’autorità giudiziaria ordinaria e non un arbitro, mentre il riferimento al perito e ai tecnici di parte può essere letta come rinvio ad una eventuale c.t.u. con nomina di cip ai fini della soluzione delle questioni tecniche. In ogni caso non ricorre un’ipotesi di deferimento ad arbitri di eventuali controversie derivate dal rapporto contrattuale".

Si tratta di un’interpretazione che appare logica, sufficiente e immune da vizi denunciati, come tale incensurabile in questa sede. Le critiche avanzate appaiono volte a richiedere a questa Corte una inammissibile rivalutazione della volontà delle parti espressa in sede contrattuale.

2.4 – Infine, è infondato anche il quarto motivo che riguarda la tempestiva denuncia dei vizi. Al riguardo la corte territoriale, affrontando il relativo motivo di appello, ha rilevato quanto segue.

"Nessuna motivazione si rinviene in sentenza a sostegno della pretesa tardività della denuncia dei vizi, mentre è agli atti la raccomandata in data 11 gennaio 1986, con la quale i committenti contestano specificamente determinati vizi dell’opera, e fin dall’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo i coniugi E. – C. avevano chiesto di provare che i vizi erano stati denunciati e riconosciuti. Inoltre, nessuna rinuncia a far valere i pretesi difetti, può rinvenirsi nella scrittura privata 6 giugno 1984, che riguarda soltanto i lavori eseguiti in più, rispetto a quelli previsti nel contratto d’appalto, e definisce pagamenti ulteriori e i relativi termini. Tuttavia, la tardività della denuncia dei vizi può essere desunta dalla circostanza che i lavori pretesamente viziati, erano stati eseguiti prima della rinuncia all’incarico da parte del direttore dei lavori, architetto En., in data 28 giugno 1984, onde è irrilevante la prova dedotta avente ad oggetto la scoperta dei vizi di momento, non meglio definito, della ripresa dei lavori, e non al momento dell’esecuzione dei lavori, trattandosi oltretutto, di vizi apparenti (pilastri circolari storti, solai inclinati, arricciatura degli intonaci eseguita male, soglie storte, fioriere irregolari, davanzali in contropendenza), e che comunque non potevano sfuggire al direttore dei lavori nominato dal committente. Analogamente è inammissibile capitolo di prova n. 2: "vero che l’ingegner F. riconobbe l’esistenza di vizi e difetti…" per la sua genericità, non essendo indicate le circostanze temporali e nemmeno quali difetti l’ingegner F. avrebbe riconosciuto, mentre i successivi capitoli di prova hanno per oggetto lavori eseguiti direttamente dai figli dei committenti e contengono valutazioni inammissibili sulla funzione di tali lavori (confronta capitolo 5 "vero che i figli E. provvidero ad eliminare per quanto possibile i difetti"). Ne deriva che risultando documentalmente una denuncia dei vizi nel gennaio 1986, mentre i lavori viziati risalivano ad epoca anteriore al giugno 1984, o se successiva, ad epoca non precisata, la denuncia è tardiva o comunque non è valutabile la sua tempestività, secondo l’onere che incombeva agli opponenti, mentre nessun riconoscimento dei vizi risulta provato in causa.

I ricorrenti osservano che la corte territoriale è pervenuta ad affermare la tardività della denuncia seguendo un percorso argomentativo, autonomamente individuato al di fuori della legazione delle parti, ha contenuto essenzialmente deduttivo. Tale percorso argomentativo sarebbe inficiato da contraddittorietà e insufficienza motivazionale, oltre che da violazione degli artt. 1667 e 2697, non essendo indicata la fonte del convincimento secondo il quale le opere viziate sarebbero state completate prima delle dimissioni del direttore dei lavori, affermazione questa che costituisce premessa necessaria per giungere poi alla rilevata tardività della denuncia.

I ricorrenti poi lamentano la mancata ammissione della prova che tendeva invece a provare che la denuncia era stata avanzata contestualmente alla scoperta dei vizi e che comunque l’appaltatore aveva riconosciuto la sussistenza dei vizi denunciati, mettendo a disposizione un proprio operaio per completare i lavori insieme ai figli dei committenti.

Al riguardo occorre immediatamente osservare, quanto alla tardività della denuncia ex art. 1667 c.c., che i vizi in questione, come descritti nella sentenza della corte d’appello e sostanzialmente non contestati dai ricorrenti, sono da qualificare come riconoscibili e non occulti. Sotto tale profilo occorre rilevare in primo luogo che, avendo l’appaltatore eccepito la decadenza del committente dalla garanzia disposta dall’art. 1667 cod. civ. per i vizi dell’opera, incombe su questi l’onere di dimostrare di averli, invece, tempestivamente denunziati (Cass. n. 10412 del 1997 rv. 509155), ciò perchè tale denuncia è una condizione dell’azione di responsabilità esercitabile nei confronti dell’appaltatore (vedi Cass. 2000 n. 8187). La prova della tempestività della denuncia deve essere correlata all’esecuzione dei lavori e, nel caso in questione, anche alla presenza di un direttore degli stessi.

Al riguardo, quindi, i ricorrenti avrebbero dovuto provare il momento dell’esecuzione dei lavori e della conoscenza dei vizi riconoscibili, che non poteva non essere intervenuta che a breve distanza dalla loro esecuzione, anche per l’indicata presenza di un direttore dei lavori.

I ricorrenti non hanno assolto il loro onere e correttamente la Corte territoriale ha ritenuto generici ed ininfluenti i capitoli di prova articolati al riguardo, perchè carenti proprio di questa specifica indicazione, riportandosi anzi in uno dei capitoli di prova, indicato dai ricorrenti a pagina 59 del loro ricorso, un lasso di tempo talmente ampio da rendere del tutto ininfluente la prova al riguardo (il capitolo è così riportato dai ricorrenti: "vero che dopo pochi giorni dalla rinuncia da parte dell’architetto Es.

dell’incarico di direttore dei lavori, e comunque non appena riscontrati al momento della ripresa dei lavori, vennero contestati……"). Infatti, la denuncia dei vizi per iscritto risale al gennaio del 1986, mentre le dimissioni dell’architetto direttore dei lavori risalgono al 28 giugno 1984, cosicchè risulta un lasso di tempo talmente ampio da rendere il capitolo di prova così come dedotto del tutto ininfluente ai fini della verifica del momento iniziale della decorrenza del termine per la denuncia. Inoltre, correttamente, la Corte territoriale ha ancorato la sua decisione sulla tardività della denuncia non solo all’epoca delle dimissioni dell’architetto, ma anche alla circostanza che la scoperta dei vizi, se anche successiva al giugno 1984 (epoca delle dimissioni del direttore dei lavori) non risultava precisata, con la conseguenza che la denuncia era tardiva o comunque di essa non era valutabile la tempestività (pagina 14 la sentenza). Sotto tale profilo quindi correttamente la Corte ha ritenuto che i committenti, cui il relativo onere incombeva per quanto su riportato, non hanno fornito, nè chiesto di fornire una prova adeguata al riguardo.

Quanto all’altra argomentazione, oggetto di censura da parte dei ricorrenti, circa l’avvenuto riconoscimento dei vizi da parte della società appaltatrice con conseguente venir meno dell’onere della tempestiva denuncia, la Corte territoriale ha escluso l’ammissione dei relativi capitoli di prova, perchè generici (quanto ai vizi che sarebbero stati riconosciuti) e non temporalmente ancorati a dati certi, capitoli di prova dedotti proprio al fine di provare l’avvenuto riconoscimento. Non solo, ma la Corte ha ritenuto che non fossero neanche ammissibili i capitoli di prova relativi all’esecuzione dei lavori effettuati ad opera dei figli dei committenti, perchè contenenti "valutazioni inammissibili sulla funzione dai lavori", capitoli di prova nei quali, per come riportato dai ricorrenti, si indicava un riconoscimento dei vizi per il fatto che la società avrebbe messo a disposizione un operaio per aiutare i figli dei committenti ad eseguire alcuni lavori.

La decisione della Corte appare corretta sotto entrambi i profili. Un riconoscimento generico di vizi denunciati non è ammissibile e comunque non sarebbe rilevante ai fini della tempestività della denuncia. Parimenti l’eventuale messa a disposizione da parte della appaltatrice di un operaio per provvedere a dei lavori eseguiti direttamente dal committente (sia pure attraverso i propri figli) non costituisce di per sè solo prova del riconoscimento della responsabilità in ordine ai vizi denunciati sui lavori eseguiti, potendo integrare altre e diverse ipotesi. Nè, come correttamente ha osservato la Corte, potevano essere ammessi capitoli che contenevano dei giudizi in ordine all’esistenza stessa dei vizi.

2.5 – Anche l’ultimo motivo di ricorso è infondato e va respinto. In questo caso si tratta di valutare il contenuto della scrittura privata del 6 giugno 1984. I ricorrenti denunciano la violazione dei criteri di interpretazione dei contratti di cui all’art. 1363 c.c. e segg., ma al riguardo la motivazione fornita dalla Corte appare esaustiva, convincente ed esente dai vizi denunciati. La Corte territoriale ha sintetizzato il contenuto di tale scrittura con riguardo sia alle premesse, relative ai lavori eseguiti in più rispetto a quanto previsto dal contratto di appalto del 17 luglio 1983, ai costi in aumento per l’appalto nel suo complesso (da L. 124 milioni a L. 210 milioni), allo sconto dal riconoscersi a conclusione dei lavori, sia con riguardo agli accordi sul pagamento, avendo le parti chiarito che l’importo già versato era pari a L. 135.000.000 e la quota restante era pari a L. 54.000.000. La corte ha quindi riportato la parte della scrittura relativa al pagamento della restante parte del dovuto pari a L. 54.000.000 e alle relative modalità e scadenze, come segue: "i signori E. – C. trattengono da L. 54.000.000 dovute in via preventiva per saldo lavori, alla ditta Fratus Domenico L. 10.000.000, a garanzia della buona esecuzione dei lavori in attesa del consuntivo finale lavori, e versano i rimanenti L. 44.000.000 con le seguenti modalità… ". La Corte ha quindi riconosciuto a tale documento la natura di un vero e proprio riconoscimento di debito, avendo le parti dato atto "che a quella data erano già stati eseguiti lavori per circa L. 210.000.000 al lordo dello sconto, onde avevano già valutato il valore globale dell’appalto, salvi alcuni aggiustamenti, in più o in meno, in sede di consuntivo finale, avevano anche già previsto un margine per eventuali vizi dell’opera, e fatte quindi le detrazioni di garanzia, avevano pattuito la somma sicuramente dovuta quella data, pari a L. 44.000.000.

Non sussistono, quindi, i denunciati vizi, posto che la Corte territoriale si è attenuta ai criteri di interprelazione del contratto stabiliti dal codice civile e di questi ha fatto applicazione coerente, con una motivazione che appare logica e non contraddittoria. Anche in questo caso parte ricorrente intende, attraverso il vizio denunciato, riproporre questioni di merito, ed in particolare una rivalutazione della volontà delle parti, non consentite in questa sede.

3. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 1.500,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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