Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-06-2012, n. 10576

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il 6 giugno del 2000 la Milano ass.ni recedeva per giusta causa dal rapporto di agenzia con la Ponzoni ass.ni in conseguenza della illegittima emissione da parte di quest’ultima di circa 386 polizze in favore di soggetti diversi dal Comune di Peschiera Borromeo, applicando le condizioni economiche solo a tale ente riservate e contraddistinte dal codice convenzione 8250, così eludendo il monte sconti informatizzato che tra 1998 e il 1989 impediva di emettere polizze oltre il limite fissato, salvo appunto i codici in convenzione.

Sempre con la stessa missiva, ma in subordine, la società Milano ass.ni comunicava il suo recesso ad nutum con conseguente cessazione di ogni rapporto, al quale non era seguita la consegna della documentazione.

All’esito del giudizio cautelare iniziato dalla Ponzoni, la Milano ass.ni iniziava il giudizio di merito chiedendo accertarsi la sussistenza della giusta causa del recesso con condanna alla restituzione la somma di L. 282.429.185, indebitamente trattenute, salve le opportune compensazioni, nonchè la condanna al risarcimento dei danni.

La Ponzoni contestava la domanda, rilevando che non risultava alcuna prova in ordine alle modalità con cui avrebbe dovuto utilizzare il codice 8250, osservando che l’impiego del detto codice anche per altri soggetti era a conoscenza della Milano ass.ni perchè sempre informata in tempo reale della emissione delle polizze, senza vi fosse mai stata alcuna obiezione al riguardo. In via riconvenzionale la società Ponzoni chiedeva dichiararsi che il rapporto di agenzia si era risolto a seguito di recesso avvenuto, ai sensi dell’art. 12, comma 2, convenzione ANA 1994 con condanna della Milano ass.ni alla corresponsione dell’indennità di fine rapporto, nonchè delle provvigioni maturate.

2. – L’adito tribunale di Lodi con sentenza del 2008 dichiarava che il rapporto di agenzia fra le parti si era estinto per effetto del recesso per giusta causa comunicato in data 6 giugno 2000 dalla Milano ass.ni, condannando la Ponzoni al pagamento della complessiva somma di Euro 355.041,13 (così suddivisi Euro 55.035 per sconti indebiti; Euro 272.713,00 per premi incassati non versati; Euro 12.291,00 per storno provvigioni; Euro 15.000,00 equitativamente determinate per ritardata consegna della documentazione).

3. – Il gravame della Ponzoni veniva respinto dalla Corte di Milano, la quale rilevava che l’assunto dell’appellante circa l’assenza di disposizioni sull’utilizzo del codice convenzione 8250 era risultato smentito dal complessivo quadro probatorio (prove testimoniali, documentali, comportamento della Ponzoni).

La Corte di appello riteneva, quindi, fondato il recesso per giusta causa, e valutava anche gli elementi relativi al comportamento successivo tenuto dalla Ponzoni dopo aver ricevuto la comunicazione del recesso in virtù della ritenuta ammissibilità della domanda in appello avanzata dalla Milano ass.ni. Il comportamento preso in considerazione aveva avuto riguardo all’incasso di polizze in coassicurazione senza registrazione e senza trasmissione alla compagnia, nonchè la mancata tempestiva riconsegna del materiale agenziale.

La Corte d’appello rigettava poi la domanda relativa al riconoscimento delle indennità ANA prevista per le ipotesi di recesso per giusta causa, posto che tale domanda non era stata espressamente avanzata in primo grado e doveva quindi considerarsi inammissibile. Rigettava, altresì, le domande relative alla errata determinazione del dovuto, posto che la domanda quantificata inizialmente in Euro 145.862,50 e riconosciuta nella maggiore entità pari a Euro 272.713,99, era sì stata formulata inizialmente in tale più limitata misura, ma era considerata dalla parte attrice variabile in relazione agli accertamenti da svolgersi (in tal senso la richiesta testuale "di quell’altra maggiore o minore accertata").

Nel corso del giudizio, esperite le indagini, l’importo dovuto per tale titolo era risultato pari appunto a Euro 272.713,99. Non risultava neanche fondato il rilievo relativo al preteso errato conteggio del dovuto avendo l’appellante "dimenticato" di conteggiare la voce di danno che aggiunta agli altri importi rendeva corretta l’impugnata decisione.

Non sussisteva per la Corte territoriale neanche il dedotto vizio di ultrapetizione quanto all’entità della condanna al pagamento dei premi corrisposti dai clienti e non versati. Infine, risultava corretta anche la decisione relativa al danno liquidato in via equitativa per ritardata consegna dell’agenzia, posto che ai sensi dell’art. 23, comma 1, ANA la riconsegna doveva essere immediata, mentre invece intervenne ben 17 mesi dopo in conseguenza del comportamento ostruzionistico della Ponzoni, così come confermato dei testi.

Impugna tale sentenza la Ponzoni ass.ni con sei motivi. Resiste la Milano ass.ni, che ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. I motivi del ricorso.

1.1 – Col primo motivo di ricorso la Ponzoni ass.ni denuncia:

"violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 99 e 100 c.p.c. Motivazione omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria".

Osserva la ricorrente di aver sempre contestato di aver ricevuto specifiche istruzioni quanto all’utilizzo del codice convenzione che consentiva lo sconto; di aver sempre emesso polizze con il codice di sconto 8250 senza rilievi dalla società e di aver praticato tale sconto a tutti i clienti ritenuti meritevoli. Gli affermati limiti nell’utilizzo del codice sconto non risultavano da alcuna documentazione e nessuna prova era stata fornita al riguardo dalla società Milano sulla quale tale onere incombeva. I giudici di merito non avevano indagato tale aspetto. La Corte territoriale aveva poi male interpretato le prove testimoniali, giungendo a conclusioni in contrasto con le stesse. In particolare nessuno dei testi citati dalla Corte aveva potuto affermare, per conoscenza diretta, che alla Ponzoni fosse stata comunicata l’istruzione contenuta nella lettera del 27 maggio 1997. La Corte non aveva considerato la testimonianza del teste Mi..

1.2 – Con il secondo motivo di ricorso la Ponzoni ass.ni denuncia "violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione". Lamenta la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto ch’ella fosse a conoscenza dei limiti di utilizzabilità del codice con vizio di motivazione al riguardo. I testi della Milano ass.ni non erano stati in grado di confermare, per scienza diretta, che la Ponzoni fosse al corrente delle istruzioni. Al massimo avevano dedotto tale conclusione da una serie di circostanze. L’aver la Corte posto a fondamento della sua decisione tali conclusioni (e quindi un giudizio e non un’affermazione in fatto) determina una violazione dell’art. 116 e 115 cod. proc. civ. Inoltre la Corte territoriale aveva considerato "priva di valore la testimonianza di Ca.

M…. che invece aveva sostenuto che quel codice 8250 non serviva ad individuare soltanto le polizze del Comune di Peschiera, bensì tutte le polizze stipulate in forma scontata". La motivazione della Corte territoriale sull’inattendibilità del teste non erano quindi pertinenti (vedi pagina 27 del ricorso).

1.3 – Col terzo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c.. Motivazione omessa, insufficiente, contraddittoria". Osserva la ricorrente che il presupposto dell’accoglimento della domanda di recesso per giusta causa è la non dimostrata violazione delle istruzioni impartite. Sul punto sussiste anche il vizio di motivazione per la contraddittorietà esistente tra la mancata prova della ricezione della lettera 27 maggio 1997 e l’affermazione della conoscenza delle istruzioni, non essendo al riguardo sufficienti le deduzioni testimoniali. Non è in discussione l’emissione di polizze scontate, la questione è se la Ponzoni abbia o meno violato le istruzioni. La Corte territoriale non aveva considerato che la Milano veniva messa quotidianamente al corrente delle polizze emesse e che non ebbe nulla da ridire sul punto per circa tre anni. Non vi fu nemmeno un’immediata contestazione che costituisce uno degli elementi del recesso. Al riguardo, la motivazione dalla Corte appare incongrua. La Corte aveva poi posto a fondamento della ritenuta giusta causa anche il comportamento tenuto dall’agente successivamente alla data della comunicazione del recesso. Inoltre la Corte territoriale non aveva valutato tutti gli aspetti della ritenuta giusta causa, non motivando l’affermata grave, ripetuta e consistente violazione, considerando anche l’art. 2119 c.c. che richiede solo "inadempimenti dell’agente tali da rivestire i caratteri della gravità oggettiva", comportamenti cioè tali da minare la fiducia reciproca e non consentire la prosecuzione del rapporto, essendo comunque necessaria una proporzionalità tra fatto addebitato e recesso in una valutazione complessiva. In particolare la Corte territoriale non aveva tenuto conto della durata complessiva del rapporto di agenzia e del danno non subito dalla compagnia, che aveva anzi beneficiato di un ulteriore numero di polizze che non sarebbero state stipulate ove non fosse stato applicato lo sconto in questione. Inoltre la Corte territoriale non aveva considerato la mancanza di procedimenti disciplinari, di richiami o lamentele.

1.4- Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente denuncia:

"violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183, 112 c.p.c. Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione". La ricorrente lamenta l’erronea pronuncia di inammissibilità adottata dalla Corte territoriale in ordine alla domanda subordinata relativa al riconoscimento dell’indennità prevista dal contratto ANA anche in caso di recesso per giusta causa. Nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ. la ricorrente aveva così concluso: "in via riconvenzionale accertare e dichiarare che il rapporto di agenzia si è risolto a seguito di revoca ad nutum ai sensi dell’art. 12, comma 2, ANA 1994; conseguentemente condannare la Milano al pagamento della "indennità di risoluzione … dovute ai sensi e per gli effetti degli artt. da 25 a 32 ANA 1994, nonchè dell’indennità sostitutiva del preavviso dovuta ai sensi e per gli effetti dell’art. 13". Il giudice di primo grado non aveva provveduto su tali domande e la Corte d’appello, su specifico motivo di impugnazione, aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda non avendo la Ponzoni espressamente richiesto l’indennità dovuta in caso di recesso per giusta causa. Tale domanda invece era stata avanzata essendo state richieste l’indennità dovute per risoluzione del rapporto agenziale per gli effetti di cui agli artt. da 25 a 33 ANA 1994 posto che le indennità che spettano nel caso di recesso per giusta causa sono ricomprese tra quelle domandate espressamente.

1.5 – Col quinto motivo di ricorso la ricorrente denuncia "omessa, insufficiente contraddittoria motivazione sulla quantificazione delle somme dovute dalla Pontoni alla Milano in virtù delle risultante della c.t.u.". Lamenta la ricorrente che la c.t.u. era piena di affermazioni illogiche ed errate in relazione alla quantificazione delle somme dovute. Il c.t.u. aveva riconosciuto un importo pressochè doppio rispetto a quello richiesto dalla Milano e tale conclusione era stata acriticamente accolta dalla Corte territoriale.

Al riguardo la ricorrente richiama le note critiche alla c.t.u.

relative ad alcuni conteggi, criticando i chiarimenti del c.t.u. in particolare quanto all’addebito di L. 24 milioni circa. Da tale comportamento la ricorrente deduce che il c.t.u. aveva commesso una serie di gravi errori con ciò giustificando l’errato addebito del doppio del richiesto.

1.6 – Infine, col sesto motivo di ricorso la ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 1753 c.c. e dell’art. 23, commi 6 e 13, ANA 1994. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione". A giudizio della ricorrente la Corte territoriale avrebbe anche errato nel riconoscere in via equitativa il danno per la ritardata consegna della documentazione. Non vi fu un atteggiamento colpevole della Ponzoni nella riconsegna dell’agenzia perchè ella esercitò il suo legittimo diritto in pendenza dell’impugnazione proposta. Inoltre secondo l’accordo ANA per le agenzie con portafoglio superiore ai 775.000 Euro l’anno i termini per la esecuzione della riconsegna sono fissati in 120 giorni. Di qui l’esclusione del risarcimento riconosciuto.

2. Il ricorso è infondato e va respinto.

2.1-2 – I primi due motivi, tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Essi attengono alla valutazione delle prove (115 e 116 cod. proc. civ.) e all’applicazione della norma di cui all’art. 2697 cod. civ., anche sotto il profilo del vizio di motivazione, e riguardano la conclusione raggiunta dalla Corte territoriale quanto alla conoscenza da parte della Ponzoni delle istruzioni della Milano circa l’utilizzo del codice sconto 8250, riservato al solo Comune di Peschiera. Osserva la ricorrente che non era stata fornita la prova dell’avvenuta comunicazione della lettera del 27 maggio 1997, contenente tale istruzione, posto che essa non era indirizzata alla Ponzoni e, comunque, il suo contenuto non era univoco, specie considerando il contenuto di altra missiva del 24 novembre 97, inviata invece alla Ponzoni e relativa alle "flessibilità assuntive". Viene criticata la valutazione delle prove testimoniali al riguardo e in particolare la mancata adeguata considerazione delle dichiarazioni del teste Mi.. Entrambi i motivi sono infondati.

Appare opportuno premettere i principi affermati da questa Corte in materia di valutazione e onere della prova.

Il sindacato in sede di legittimità per violazione dell’art. 115 c.p.c. è ammissibile solo se il giudice abbia: a) omesso di valutare, facendo uso del suo potere discrezionale di scelta e valutazione degli elementi probatori, quelle risultanze indicate dalla parte come decisive, salvo ad escluderne la rilevanza in concreto indicando le ragioni del suo convincimento; b) posto a base della decisione la propria scienza personale o fatti ai quali erroneamente attribuisca il carattere della notorietà, così dando ingresso a prove non fornite dalle parti e dalle stesse non vagliati, in violazione dei principi di disponibilità e del contraddittorio delle parti sulle prove.

Diverso è il caso in cui in cui si lamenti l’apprezzamento espresso dal giudice del merito in esito alla valutazione delle prove ritualmente acquisite, regolato dall’art. 116 c.p.c., comma 1.

Come è noto, l’art. 116 c.p.c., comma 1, sancisce la fine del sistema fondato sulla predeterminazione legale dell’efficacia della prova, conservando solo specifiche ipotesi di fattispecie di prova legale. Con la formula del "prudente appressamento" si allude alla ragionevole discrezionalità del giudice nella valutazione della prova, che va compiuta tramite l’impiego di massime d’esperienza. Di conseguenza, la doglianza con la quale si denunzi che il giudice abbia fatto un cattivo uso del suo "prudente appressamento" nella valutazione della prova si risolve in una doglianza non sulla violazione della norma de qua ma sulla motivazione della sentenza, che può trovare ingresso in sede di legittimità solo nei limiti entro i quali è ammissibile il sindacato da parte della cassazione sulle ragioni giustificatrici allegate dal giudice a supporto dell’adottata decisione.

A tal fine va osservato che è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, lo sono anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua giustificazione del criterio adottato.

Conseguentemente, ai fini d’una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettategli dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi, onde pervenire alle assunte conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Pertanto, vizi motivazionali in tema di valutazione delle risultanze istruttorie non possono essere utilmente dedotti ove la censura si limiti alla contestazione d’una valutazione delle prove effettuata in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè, proprio a norma dell’art. 116 c.p.c., comma 1, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito l’individuare le fonti del proprio convincimento, il valutare all’uopo le prove, il controllarne l’attendibilità e la concludenza e lo scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti.

Tanto premesso, occorre osservare che, sul punto specifico, la Corte territoriale è giunta alla conclusione che viene oggi criticata (e che cioè la Ponzoni era a conoscenza dell’essere il codice sconto 8250 riservato al solo Comune di Peschiera) sulla base di un’ampia ed articolata motivazione, che ha riconsiderato le prove documentali, quelle testimoniali e il comportamento delle parti. Al riguardo, la Corte territoriale ha ritenuto provato, attraverso la deposizione dei testi Ma., B., m., Z., l’esistenza della convenzione e la conoscenza dei suoi limiti di utilizzo da parte della Ponzoni, anche alla luce della circostanza incontroversa dell’avvenuta emissione di polizze in favore del Comune di Peschiera Borromeo proprio con il codice in questione. Di tanto esisteva riscontro documentale nella lettera del 27 maggio 97 ricevuta dall’ispettore della Milano, che aveva l’onere di comunicarla all’agente (così come affermato dal teste Z.). In tale contesto, la Corte territoriale ha valutato le deposizioni dei testi ma., Fu. e S. la cui omessa valutazione era stata lamentata dall’appellante, giungendo alle medesime conclusioni del giudice di primo grado sulla base di un’ampia e articolata motivazione. La Corte poi ha ritenuto non significativa la affermata mancata tempestiva contestazione da parte della Milano sull’uso del codice, posto che "nessun valore negoziale può essere…

attribuito… a meccaniche e automatiche operazioni" (pagina 21 in fondo) che venivano eseguite per l’incasso dei premi e l’emissione delle quietanze, posto che "i testi escussi avevano concordemente affermato che il controllo sul regolare utilizzo dei codici non avveniva subito dopo l’emissione della polizza, non era compiuto nè dall’ufficio contabilità nè era demandato alla direzione commerciale o agli ispettori, ma era affidato ad uno specifico ufficio che effettuava l’operazione con scadenza all’incirca biennale". Inoltre era risultato provato che la verifica che aveva riguardato l’odierna vicenda era stata effettuata soltanto nel 2000 (teste R.). Quanto al teste M., la Corte ha specificamente riesaminato le sue dichiarazioni osservando che egli non aveva affatto escluso l’esistenza della convenzione 8250 (tesi sostenuta dalla Ponzoni), concludendo che "il contenuto delle sue dichiarazioni, ndr… non è contrastante con le concordi dettagliate precise dichiarazioni di numerosi altri testi sopra citati", ritenendolo comunque non attendibile "sia perchè si tratta di soggetto licenziato nel 1997 (mentre le polizze abusivamente emesse dalla Ponzoni con il codice 8250 erano relative agli anni 1998-1999 e 2000), sia perchè lo stesso fu licenziato dalla Milano" con un lungo contenzioso giudiziario con la stessa. Il riferimento temporale all’uscita del teste dalla Milano (e di conseguenza alla sua non conoscenza delle vicende successive), nonchè la valutazione complessiva della sua attendibilità non appaiono illogiche.

La Corte poi non manca di ricostruire le modalità con le quali la Ponzoni aveva operato al fine di emettere un alto numero di polizze con il codice sconto in questione, esteso a numerosi soggetti privati, compreso lo stesso agente P.L., così da superare il limite costituito dal monte sconti annuo normalmente concesso al singolo agente.

In definitiva, con i due motivi di ricorso esaminati, la ricorrente non deduce vizi rilevabili in questa sede, attesa l’indicata logicità e coerenza motivazionale, ma tende a richiedere a questa Corte una rivalutazione delle prove, specie testimoniali, prospettando una diversa – e personale – ricostruzione del materiale probatorio al fine di dimostrare che la ricorrente non aveva conoscenza delle istruzioni della Milano relative all’autorizzazione codice sconto riservato al solo Comune, codice che aveva regolarmente utilizzato per tale Comune ed anche per soggetti diversi, proprio allo scopo di superare il vincolo che il sistema informatico prevedeva per non consentire il superamento del monte sconti annuale concesso dalla Milano ai singoli agenti.

2.3 – Parimenti è infondato il terzo motivo, che deduce violazione dell’art. 2119 cod. civ. e vizi di motivazione circa la ritenuta violazione dei doveri imposti all’agente dalla legge e dal contratto e ritenuta sussistente dalla Corte territoriale, in particolare in relazione all’utilizzo del codice sconto 8250. Tale ultima questione resta assorbita dal rigetto dei due precedenti motivi. La ricorrente rileva ancora che per tre anni la mandante non aveva reagito all’abuso del codice e non aveva contestato immediatamente la violazione; rileva ancora che l’abuso era meramente formale e consisteva nell’aver utilizzato per gli sconti sempre il codice 8250, invece che altro codice pertinente; rileva poi che la sentenza non ha motivato sulla proporzionalità tra il fatto addebitato, in particolare il venir meno del rapporto fiduciario, e il recesso.

Occorre al riguardo ulteriormente rilevare che la sentenza ha affermato che l’incasso dei premi e l’emissione delle polizze avveniva in modo automatico e che il controllo sul regolare utilizzo di codici veniva effettuato con scadenza all’incirca biennale e che il teste Ma. aveva affermato che la scoperta degli sconti abusivamente praticati era avvenuta soltanto nel 2000. Occorre ancora aggiungere che ad ogni codice corrispondeva un diverso massimo sconto praticabile e che, quanto alla gravità del fatto, la Corte territoriale ha evidenziato che l’ammontare del premio pieno che la proponente avrebbe percepito secondo le polizze regolari rappresentava il 17,3% del portafoglio e che il danno subito era di circa Euro 55.000,00; che gli sconti avevano raggiunto il 70% ed erano stati concessi non solo ad enti, come sostenuto dall’agente, ma anche a privati ed in particolare anche allo stesso P.L..

Non solo, ma la sentenza ha anche rilevato che era stato omesso il versamento di premi in coassicurazione, circostanza questa non impugnata. Infine, occorre ancora osservare, quanto all’indicata tardività della contestazione da parte della Milano, che il motivo appare in parte qua anche inammissibile, posto che non viene censurata l’affermazione, contenuta in sentenza, circa la ritenuta tardività dell’eccezione di non immediata contestazione in quanto formulata solo nella memoria di replica.

In definitiva, la Corte ha ampiamente ed adeguatamente motivato sulla legittimità del recesso, operando un giudizio di merito, insindacabile in questo sede (vedi tra le più recenti, Cass. n. 3869 del 17/02/2011, rv. 616093, che ha tra l’altro precisato che "Alfine di stabilire se lo scioglimento del contratto di agenda sia avvenuto per fatto imputabile al preponente o all’agente può essere utilizzato per analogia il concetto di giusta causa previsto per il lavoro subordinato, pur nella diversità delle rispettive prestazioni e della configurazione giuridica, e il relativo giudico costituisce valutazione rimessa al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità ove sonetto da adeguata e logica motivazione").

2.4 -Anche il quarto motivo di ricorso è infondato. Con tale motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 183 e 112 c.p.c., nonchè vizi di motivazione. Lamenta che sia stata dichiarata inammissibile la sua domanda relativa al riconoscimento dell’indennità previste per il recesso per giusta causa, motivato dalla Corte territoriale perchè proposta per la prima volta in appello. Rileva che in primo grado nella memoria ex art. 183 c.p.c. la ricorrente aveva così concluso: "in via riconvenzionale accertare e dichiarare che il rapporto di agenzia si è risolto a seguito di revoca ad nutum ai sensi dell’art. 12, comma 2, ANA 1994; conseguentemente condannare la Milano al pagamento della "indennità di risoluzione… dovute ai sensi e per gli effetti degli artt. da 25 a 32 ANA 1994, nonchè dell’indennità sostitutiva del preavviso dovuta ai sensi e per gli effetti dell’art. 13". La Corte d’appello, su specifico motivo di impugnazione, aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda non avendo la Ponzoni espressamente richiesto l’indennità dovuta in caso di recesso per giusta causa. Secondo la ricorrente la domanda invece era stata avanzata, essendo state richieste l’indennità dovute per risoluzione del rapporto agenziale per gli effetti di cui agli artt. da 25 a 33 ANA 1994. Al riguardo la Corte territoriale ha affermato "in primo grado tale domanda non è stata formulata… Nella comparsa di costituzione la Pontoni si è limitata a chiedere che il recesso della Milano fosse considerato ad nutum e che le venissero corrisposte le relative indennità, ma non ha formulato la domanda subordinata relativa alle indennità previste anche in caso di recesso per giusta causa". Sia pure sinteticamente, quindi, la corte territoriale ha preso in esame lo specifico motivo di appello relativo all’omessa pronuncia e ha valutato le domande formulate dalla Ponzoni, giungendo alla conclusione che tale domanda non fosse stata avanzata in primo grado. Così operando la Corte territoriale non è certamente incorsa nel vizio denunciato di omessa pronuncia, ma semmai ha sinteticamente motivato in ordine alla complessiva interpretazione data alle domande avanzate dalla parte, giungendo però a una conclusione che si deve ritenere corretta, posto che la Ponzoni, anche con riguardo alle conclusioni assunte con la memoria ex art. 183 c.p.c, non ha specificamente richiesto tale pronuncia, essendosi limitata a richiamare del tutto genericamente la normativa del contratto ANA 1994 che comprenderebbe anche tali indennità.

2.5 – Anche il quinto motivo di ricorso è infondato e va rigettato.

La parte ricorrente denuncia vizi di motivazione sulle somme che la c.t.u. ha ritenuto dovute. Al riguardo il motivo presenta anche profili inammissibilità, posto che la parte ricorrente omette di riportare le pertinenti considerazioni del c.t.u. relative alle singole poste considerate e contestate. Occorre al riguardo considerare che il c.t.u. risulta aver fornito i chiarimenti richiesti in relazione alle osservazioni e della parte.

Occorre osservare, in generale, che non si può fondatamente rimproverare al giudice del merito, come fa parte ricorrente, di non aver operato valutazioni e raggiunto convincimenti autonomi sugli accertamenti effettuati dal consulente tecnico d’ufficio e d’aver recepito le argomentazioni sviluppate e le conclusioni rassegnate da quest’ultimo disattendendo quelle di parte: in materia che richiede un elevato livello di cognizioni tecniche specifiche, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito, nella cui esclusiva competenza rientra pervenire a tale determinazione, incensurabile in questa sede, astenersi dall’effettuare considerazioni personali determinanti e valutazioni comparative che mancherebbero del supporto di un’appropriata preparazione scientifica, tanto più ove le argomentazioni dell’esperto nominato dall’ufficio, assistite dalla presunzione d’imparzialità, si contrappongano, con supplementi di consulenza e/o relazioni a chiarimento, a quelle degli esperti di parte, comunque meno attendibili se non altro in quanto influenzate dall’esigenza di sostenere le ragioni del preponente.

Di conseguenza, ove parte ricorrente ritenga di dover denunziare l’omesso od insufficiente esame di fatti, di circostanze, di rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento pure tecnico seguito dal consulente d’ufficio, il motivo non può essere limitato a censure d’erroneità e/o di inadeguatezza della motivazione od anche d’omesso approfondimento di determinati temi d’indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il consulente d’ufficio poi recepite dal giudice. E’ invece necessario che parte ricorrente non solo precisi e specifichi, svolgendo concrete e puntuali critiche, le risultanze e gli elementi di causa dei quali lamenta la mancata od insufficiente valutazione, ma, soprattutto, indichi, in particolare, le esatte controdeduzioni alla consulenza d’ufficio che abbia effettivamente svolte nel giudizio di merito e dimostri come le stesse siano state neglette e come tale negligenza abbia comportato l’erroneità della decisione impugnata.

Orbene, esaminando il caso di specie, si deve rilevare come, anzi tutto, nelle deduzioni di parte ricorrente non risulti adeguatamente esplicìtato se, in quali termini, in quali occasioni e con quali atti, al giudice del merito fossero stati segnalati errori del consulente d’ufficio, così nel rilievo e nell’elaborazione dei dati posti a base della relazione commessagli come nello svolgimento dell’iter logico iniziato con l’analisi di quei dati e terminato con le rassegnate conclusioni, ed, in secondo luogo, non risulta se, in quali esatti termini e con quali precise finalità, al giudice stesso fossero stati richiesti una nuova consulenza od un ulteriore supplemento di quella già espletata e del suo supplemento, tanto più necessari attese le critiche che si assume fossero state rivolte all’opera svolta dal consulente d’ufficio.

Parte ricorrente si limita a fare riferimento ad alcuni elementi di giudizio ed a trame le proprie personali conclusioni per dimostrare l’assunta erroneità delle argomentazioni del consulente d’ufficio e del giudice a quo, così traducendosi il motivo non in una specifica censura ma in una semplice prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice stesso, del tutto irrilevante in questa sede attenendo all’ambito della discrezionalità del giudice del merito nella valutazione dei fatti e nella formazione del proprio convincimento, dei quali si finisce per chiedere una revisione inammissibile in questa sede, e non ai vizi dell’iter di detta formazione rilevanti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

2.6 – Infine va respinto anche l’ultimo motivo di ricorso che lamenta violazione dell’art. 1753 c.c. e dell’art. 23, comma 6 e art. 13 convenzione ANA, nonchè vizi di motivazione sul danno per ritardata consegna. Al riguardo la Corte territoriale ha ritenuto corretta la decisione del primo giudice relativa al danno liquidato in via equitativa per ritardata consegna dell’agenzia, posto che ai sensi dell’art. 23 ANA la riconsegna doveva essere immediata, mentre invece intervenne ben 17 mesi dopo, in conseguenza del comportamento ostruzionistico della Ponzoni, così come confermato dei testi. Non sussiste, quindi, il denunciato vizio di motivazione, posto che la Corte territoriale ha rilevato che il ritardo nella consegna aveva superato ampiamente i 120 giorni previsti dalla normativa richiamata dalla stessa parte ricorrente. Non sussiste neanche la denunciata violazione di legge e delle richiamate norme del contratto ANA, posto che esse furono interpretate nel senso indicato chiaramente dalla Corte territoriale, interpretazione che appare corretta, non prevedendosi espressamente una sorta di diritto di ritenzione in attesa di un accertamento sul recesso.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 10.000,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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