Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-10-2011) 02-12-2011, n. 44958Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Treviso in data 19.2.2006, G.P. veniva condannato alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione per il reato continuato di cui all’art. 216, Legge Fall. e art. 640 cod. pen., commesso nell’ambito dell’attività della s.r.l. MLB Arredamenti, dichiarata fallita il (OMISSIS), distraendo materiali informatici, attrezzature agricole e da giardinaggio, carrelli elevatori, attrezzature per rimuovere moquettes, caldaie, recinzioni metalliche, una stufa, staffe a muro, gruppi elettrogeni, mobili per ufficio, materiali per edilizia, un distributore automatico e lamiere metalliche, beni acquistati senza onorarne i pagamenti da varie ditte, in particolare la s.r.l. Tre Ci di Ponte nelle Alpi per acquisti effettuati il (OMISSIS) per Euro 9.931,58, la s.r.l. Vecar Tre di Lovadina di Spresiano per acquisti effettuati il (OMISSIS) per Euro 17.400, la s.r.l. Ormia Diesel di Susegana per acquisti effettuati il (OMISSIS) per Euro 21.840, la ditta Sutto Ugo di San Quirino per acquisti effettuati il (OMISSIS) per complessivi Euro 47.366,40, la s.r.l. ABC Informatica di Villorba per acquisti effettuati il (OMISSIS) per Euro 9.534,22, la s.a.s. Soda Bevande di Vittorio Veneto per acquisti effettuati alla fine del (OMISSIS) per Euro 800 e la s.a.s. Computer Line di Treviso per acquisti effettuati il (OMISSIS) per Euro 7.474,20.

Il G. era ritenuto responsabile in quanto concorrente, con altri collaboratori coimputati, dell’amministratore unico della fallita R.L. nella sua specifica qualità di responsabile degli acquisti e dei contatti con i fornitori di clienti.

2. L’imputato ricorrente deduce:

2.1. vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta, osservando che il G. si limitava ad operare come impiegato secondo le indicazioni dell’amministratore e che la sentenza impugnata non argomentava adeguatamente sulla prova della consapevolezza delle distrazioni in capo all’imputato ed affermava apoditticamente che lo stesso non poteva essere all’oscuro dei fatti;

2.2. violazione di legge in ordine all’eccepita nullità della sentenza relativamente alla condanna per il reato di truffa, in luogo del reato di insolvenza fraudolenta originariamente contestato, in mancanza di una formale modifica dell’imputazione da parte del pubblico ministero;

2.3. violazione di legge in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7, mai formalmente contestata all’imputato, ed alla conseguente procedibilità d’ufficio dei reati di truffa o insolvenza fraudolenta in mancanza di querele;

2.4. carenza di motivazione sulla determinazione della pena a fronte di un motivo di appello che ne lamentava specificamente l’eccessività;

2.5. estinzione per prescrizione dei reati di truffa o insolvenza fraudolenta in considerazione del decorso per tutti i reati del termine massimo di anni sette e mesi sei.

Motivi della decisione

1. Il motivo di ricorso relativo all’affermazione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta è inammissibile.

Il concorso dell’imputato nelle distrazioni contestate era invero oggetto, nella sentenza impugnata, di un’articolata motivazione fondata sulle dichiarazioni di responsabili e addetti delle società venditrici, della dipendente della fallita C.A. e del proprietario dell’immobile nel quale aveva sede la società, testimoni i quali non solo indicavano nel G. una persona costantemente presente nelle attività della ditta, ma riferivano che lo stesso si presentava a clienti e fornitori con il falso nome di Ca., utilizzato anche da altri imputati collaboratori dell’amministratore R., operava ed in pieno accordo con quest’ultimo; elementi in base ai quali i giudici di merito, tenuto conto dell’accertata circostanza per la quale i beni acquistati dalla società erano subito rivenduti o comunque sottratti, desumevano coerentemente la cosciente partecipazione dell’imputato alle operazioni distrattive, la consapevolezza della cui illiceità era evidenziata dall’uso del falso nominativo e dall’immediata sparizione delle merci acquistate. A queste argomentazioni il ricorrente si limita ad opporre una generica censura di apoditticità delle conclusioni acquisite ed una altrettanto generica riproposizione della tesi difensiva dell’aver l’imputato agito come mero impiegato esecutivo.

2. Inammissibile è altresì il motivo di ricorso relativo alla condanna per il reato di truffa in luogo del reato di insolvenza fraudolenta. Nell’imputazione contestata compare un testuale riferimento all’art. 649 cod. pen., non riconducibile alla norma incriminatrice della truffa, ma neppure a quella dell’insolvenza fraudolenta richiamata dal ricorrente. E’ del tutto evidente che l’inserimento del predetto numero di articolo è il risultato di un mero errore materiale, rispetto ad un’imputazione inequivocabilmente formulata nei termini descrittivi propri della fattispecie della truffa. La ravvisabilità di quest’ultima ipotesi era comunque specificamente motivata nella sentenza impugnata individuandone i caratteri tipici degli artifici e dei raggiri nella rappresentazione offerta ai terzi di un’impresa in solide condizioni economiche, nell’uso di titoli di credito emessi su conti correnti non più operativi e nelle rassicurazioni date ai venditori; non senza considerare che il punto non era per il vero oggetto neppure dei motivi di appello. Il motivo è pertanto manifestamente infondato.

3. Parimenti inammissibile è il motivo di ricorso relativo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7. Il lamentato difetto di procedibilità, peraltro addotto nell’atto di appello limitatamente ai fatti commessi in danno della ditta Tre Ci per essere stata la querela presentata da soggetto non legittimato ed ai fatti commessi in danno della ditta ABC per essere stata la querela rimessa, veniva infatti motivatamente superato nella sentenza impugnata con riferimento alla contestazione in fatto dell’aggravante in esame, in conseguenza della testuale indicazione nelle imputazioni dei valori dei beni illecitamente acquisiti, tali da configurare senz’altro danni di rilevante gravità; ed a fronte di ciò il motivo di ricorso è generico nel lamentare la mancanza di una formale contestazione dell’aggravante.

4. Inammissibile è ancora il motivo di ricorso relativo alla determinazione della pena. Anche la censura di omessa motivazione sul punto risulta invero generica laddove la sentenza di primo grado, implicitamente richiamata sul punto dalla decisione oggi impugnata, giustificava adeguatamente la determinazione della sanzione con il richiamo alla congruità della stessa rispetto ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., essendo la pena-base individuata in misura non superiore alla media della pena edittale (Sez. 2, n. 36245 del 26.6.2009, imp. Denaro, Rv. 245596).

5. Alle considerazioni che precedono consegue infine l’inammissibilità del motivo di ricorso relativo alla lamentata estinzione per prescrizione dei reati di truffa o insolvenza fraudolenta. Il termine prescrizionale subiva sospensioni per la durata di mesi otto e giorni ventuno; e per effetto di ciò detto termine risulta decorso al più presto al 6.8.2001 per i fatti commessi in danno della Vecar Tre, e quindi successivamente alla sentenza di secondo grado. L’inammissibilità degli altri motivi di ricorso preclude di conseguenza l’esame della questione in sede di legittimità.

All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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