Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-10-2011) 02-12-2011, n. 45024

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.G., ha proposto appello avverso la sentenza in epigrafe con la quale il tribunale di Gorizia lo aveva condannato alla pena dell’ammenda per la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 18, comma 5 bis. La contestazione trae origine dal fatto che l’imputato, nella qualità di legale rappresentante della Regal Villa Costruzioni Srl, usufruiva illecitamente di prestazione di manodopera mediante l’occupazione di lavoratori dipendenti di società avente sede legale in (OMISSIS), impiegati presso il cantiere edile in (OMISSIS).

In questa sede deduce il ricorrente l’errata ritenzione della responsabilità dell’imputato nonchè l’errato apprezzamento nel merito delle circostanze di fatto emerse dall’istruttoria dibattimentale. Si fa rilevare al riguardo che la società della quale l’appellante era il legale rappresentante, previa gara, aveva acquisito un lavoro di demolizione parziale degli interni di un edificio; lavoro che per le sue caratteristiche doveva essere eseguito manualmente, di bassissimo contenuto tecnologico, che non richiedeva alcuna attrezzatura. Si aggiunge che appare sfornita di prova la circostanza che la società non abbia percorso la strada tracciata dalla normativa per ottenere lavoratori in maniera legale e che non vi fosse autorizzazione dell’autorità competente, essendosi l’appellante uniformato a quanto affermato dall’amministrazione cui si era rivolto per conoscere la strada per impiegare legalmente i lavoratori. Manca inoltre alcun accertamento sulla riconducibilità della condotta illecita all’imputato. Si lamenta poi l’ingiustizia dell’ordinanza dibattimentale reietti va delle istanze difensive di ammissione di prove testimoniali. Si fa rilevare al riguardo che trattavasi di richieste già autorizzate e che senza alcuna motivazione l’ordinanza ammissiva era stata revocata ritenendosi il processo sufficientemente istruito.

Si deduce inoltre – con il secondo motivo – il contrasto dell’art. 593 c.p.p., comma 3 con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui limita al ricorso per cassazione i mezzi di impugnazione avverso la sentenza di condanna alla pena dell’ammenda, chiedendo l’eventuale conversione in ricorso per cassazione ove non accolta la deduzione di illegittimità costituzionale.

Con il terzo ed ultimo motivo viene dedotta, infine, l’eccessività della pena sul rilievo che trattandosi di pena proporzionale all’effettivo utilizzo dei lavoratori illegalmente occupati, indebitamente il tribunale aveva fatto ricorso a un conteggio sulla base di un prospetto formato dalla direzione provinciale del lavoro del quale non era dato conoscere le modalità ed i criteri di stesura e che, comunque, era rimasto privo di conferma testimoniale.

Motivi della decisione

L’appello va anzitutto convertito in ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 593 c.p.p., posto che l’impugnazione viene esperita avverso sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda.

Manifestamente infondata è, infatti, la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 593 c.p.p., comma 3 dedotta con il secondo motivo di ricorso.

In relazione a quest’ultima questione, che assume carattere necessariamente pregiudiziale, occorre anzitutto rilevare come la Corte Costituzionale, esaminando la questione della inappellabilità di alcune sentenze, abbia in più occasioni ribadito che il principio del doppio grado di giurisdizione non e1 coperto da garanzia costituzionale (ex plurimis sent. 288/97 in relazione all’art. 443 c.p.p., comma 2, successivamente abrogato).

Si deve inoltre ritenere che l’art. 593 c.p.p., comma 3 non determina alcun irragionevole sacrificio dell’interesse dell’imputato a proporre appello, tenuto conto che le pene pecuniarie hanno certamente natura meno afflittiva delle pene detentive e che la disposizione opera già con riguardo a reati di minore gravità.

Tali considerazioni non solo escludono vizi di irragionevolezza ma consentono senz’altro di affermare che la disciplina rientra negli spazi di discrezionalità legittimamente perseguiti dal legislatore e, soprattutto, vengono incontro all’esigenza – anch’essa costituzionalmente indicata dall’art. 111 – di realizzare l’obbiettivo di facilitare la rapida definizione del giudizio in relazione alle condanne di minore gravità.

Peraltro la stessa Corte Costituzionale, anche nella sentenza numero 85 del 2008, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 1 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), sostitutivo dell’art. 593 c.p.p., e della citata Legge, art. 10, ha ritenuto che dovesse rimanere comunque ferma la scelta del legislatore di rendere inappellabili le condanne alla pena dell’ammenda.

E, dunque, la questione prospettata va ritenuta manifestamente infondata. Per il resto il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato ed articolato su censure di merito.

Ciò vale anzitutto per i rilievi circa il mancato accertamento sotto il profilo fattuale della regolarità dell’iter seguito dalla società per ottenere lavoratori in modo legale ed in ordine alle esistenza dell’autorizzazione dell’Autorità competente; profili in relazione ai quali correttamente e logicamente la sentenza impugnata ha argomentato facendo riferimento alle risultanze degli accertamenti dell’Ispettorato del Lavoro il quale, oltre ad acquisire ed esaminare il contenuto dei contratti di appalto, aveva rilevato come l’attrezzatura in cantiere più significativa era tutta della ditta del ricorrente. Inoltre il giudice di merito correttamente motiva evidenziando ulteriori elementi quali la circostanza che un rappresentante di quest’ultima ditta operava il controllo sulle presenze dei lavoratori della ditta Caleidos – apparentemente appaltatrice ed alla quale facevano capo i lavoratori stranieri impiegati – e gestiva il cantiere indicando al capocantiere le necessità e formando le squadre di operai -spesso miste e, cioè, con lavoratori italiani della Regal Villa e stranieri della Caleidos -destinati ai singoli incombenti; ed inoltre che anche le fatture della Caleidos avevano importi diversi esclusivamente in ragione del numero di ore lavorate dai singoli operai stranieri nonostante il contratto di appalto prevedesse che i lavori fossero remunerati "a misura".

La qualifica di legale rappresentante della società Regal Villa correttamente ha indotto il giudice di merito a ritenere sussistente la responsabilità dell’imputato e, a fronte di quanto sin qui detto, appare del tutto generica l’affermazione secondo cui il ricorrente avrebbe agito su indicazione dell’autorità competente, senza precisare peraltro il contesto e le modalità delle indicazioni, le quali, peraltro, all’evidenza non avrebbero potuto comunque rilevare se contrarie alla legge.

Infine, per quanto concerne e la revoca dei testimoni ammessi, trattasi di nullità relativa, che andava immediatamente dedotta (Ex plurimis Sez. 3,n. 8159 del 26/11/2009 Rv. 246255) ed il difensore del ricorrente, ancorchè presente in udienza, non documenta in questa sede di avere proceduto a tale deduzione, come sarebbe stato suo onere per il principio di autosufficienza del ricorso.

Anche le doglianze sul trattamento sanzionatorio si incentrano su profili di merito contestandosi la validità probatoria del prospetto redatto dall’amministrazione. provinciale del lavoro per definire l’entità della sanzione.

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale e dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1000.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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