Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-09-2011) 02-12-2011, n. 45020

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma con sentenza del 3 Febbraio 2009 ha giudicato i Sigg. M.P. e D.A.F. in ordine a plurime violazioni del D.P.R. 6 gennaio 2001, n. 380 e al reato di violazione dei sigilli. Assolta la Sig.ra D.A. per non avere commesso i fatti, il Tribunale ha assolto con formula ampia il Sig. D.A. dai reati contestati ai capi C) ed E) e lo ha ritenuto responsabile delle altre ipotesi, ivi compresa quella prevista dalla prima parte dell’art. 349 c.p., condannandolo alla pena di undici mesi di reclusione e Euro 500,00 di multa oltre a quella di Euro 150,00 di ammenda (capo D).

La Corte di Appello decidendo sull’impugnazione del Sig. D.A. ha respinto i motivi di appello relativi al giudizio di responsabilità penale ed ha ritenuto maturata la prescrizione per il solo capo D), dichiarando di conseguenza estinto il reato ed eliminando la corrispondente pena di Euro 150,00 di ammenda.

Quanto ai restanti reati, la Corte territoriale ha accolto la censura relativa alla eccessività della sanzione inflitta e rideterminato la pena finale in sei mesi di reclusione e Euro 400,00 di multa.

Avverso tale decisione il Sig. D.A. ha proposto ricorso personalmente.

Il ricorrente lamenta errata applicazione della legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito erroneamente respinto la censura con cui ci si doleva della nullità del capo di imputazione sub F) per assoluta genericità della contestazione. Ancora più evidente, secondo il ricorrente, è l’assoluta carenza di motivazione con riferimento alle censure mosse alla prima sentenza in ordine alla sussistenza delle violazioni: censure superate con una formula del tutto generica e senza alcuno specifico riferimento ai profili in contestazione.

Motivi della decisione

Va in primo luogo escluso che sussista la nullità del capo di imputazione con riferimento al capo F), posto che la complessiva lettura della contestazione rende evidente che la violazione dei sigilli va posta in relazione alla prosecuzione dei lavori abusivi e alla data di accertamento di queste ultime violazioni. Il ricorrente è stato, così, messo in condizione di difendersi nel contesto della complessiva contestazione, che non lascia alcun margine di incertezza circa i presupposti in fatto e le ragioni dell’ipotesi di accusa.

Quanto alla censura mossa alla sentenza impugnata per essere del tutto carente la motivazione con riferimento agli specifici motivi di appello proposti avverso la sentenza del Tribunale, la Corte rileva che con detti motivi il Sig. D.A. ha contestato la correttezza del capo d’imputazione e l’esistenza di prove con riferimento all’ipotesi di violazione dei sigilli; ha contestato che le opere realizzate e contestate al capo A) comportassero un’alterazione dei luoghi rispetto alla situazione da lui rinvenuta; ha contestato la sussistenza delle violazioni edilizie minori relative ai manufatti amovibili in materiale ligneo; ha, infine, contestato il trattamento sanzionarono. A fronte di tali motivi la Corte di Appello ha rilevato che per l’ipotesi di violazione dei sigilli non sussiste alcun vizio della contestazione e ha affermato che per ciascuno dei reati l’appellante ha riproposto, senza introdurre nuovi profili di censura, le medesime argomentazioni che erano state prospettate in primo grado e fatte oggetto di esame puntuale nel corso della motivazione adottata dal Tribunale. Si tratta di argomentazione che avrebbe potuto giustificare una dichiarazione di inammissibilità di tutti i profili dell’appello, con esclusione delle censure per il reato sub D) che la Corte territoriale ha dichiarato estinto per prescrizione.

Detta inammissibilità deve essere oggi dichiarata da questa Corte, posto che il ricorrente è tornato a prospettare in sede di ricorso di legittimità le medesime censure proposte in sede di merito, che così si caratterizzano per evidente genericità alla luce dei principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte; si veda, da ultimo, la sentenza della Sesta Sezione Penale, n. 22445 del 2009, P.M. in proc. Candita e altri, rv 244181, secondo la quale "è inammissibile per genericità il ricorso per cassazione, ì cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato".

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *