T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, Sent., 10-01-2012, n. 3 Amministrazione pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 28 luglio 2001 e depositato il successivo 2 agosto l’ente di formazione " ARISTEAS" ha impugnato il decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale prot. n. 4781 SEU/2 del 30.3.2001, con il quale è stato disposto " di non autorizzare l’erogazione del saldo pari a L. 49.405.120 del finanziamento di cui all’art. 2, primo comma. della L. 10 aprile 1991, n. 125, concesso con D.M. 30 dicembre 1996 all’ente di formazione ARISTEAS , con sede in via dei Ligustri, 7 -85100 Potenza", nonché ogni altro atto preordinato, connesso e conseguente.

L’ente riferisce

– che con decreto del 30.12.1996 il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale ammetteva al finanziamento il progetto di azione positiva " Domina via cavo", finalizzato all’imprenditoria femminile, proposto dall’ente ARISTEAS, per la complessiva somma di L. 170.000.000;

– che successivamente veniva erogata la prima quota per un ammontare di L. 68.000.000 ( pari al 40%) ed ancora la seconda quota di L. 51.000.000 ( pari al 30%) a seguito della verifica sul conseguimento degli obiettivi intermedi e di corretto utilizzo della quota già corrisposta;

– che al termine delle attività progettuali, veniva disposta la verifica amministrativa-contabile prevista dall’art. 3 D.I. 22 luglio 1991, dalla quale risultava che la realizzazione del progetto aveva comportato costi ammissibili pari a L. 168.405.120;

– che a seguito di verifica il Comitato Nazionale di Parità , riteneva necessario " sospendere" il saldo, per un " supplemento di riflessione sugli esiti del progetto", e procedere all’audizione dei responsabili dell’Ente attuatore;

– che a seguito di tale audizione, il Comitato, non ritenendo conseguiti gli obiettivi programmati, ha deliberato a maggioranza di non erogare il saldo;

– con il decreto in epigrafe citato il Ministero, quindi, disponeva di non autorizzare l’erogazione del saldo del finanziamento per la somma di L. 49.405.120.

Avverso tale ultima determinazione è insorto l’Ente di formazione ARISTEAS che ha affidato il ricorso ad un unico motivo di violazione dell’art.3 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

A seguito della trasmissione della copia del verbale contenente la deliberazione del Comitato Nazionale di Parità e di Pari opportunità nel lavoro, l’ente ha proposto motivi aggiunti affidandoli ad una unica censura di violazione dell’art. 3 L. n. 241 del 1990 ; eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità, contraddittorietà manifesta, omessa e/o erronea valutazione dei presupposti di fatto.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata che ha depositato documentazione e memoria difensiva per contrastare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2011 la causa è stata chiamata ed introitata per la decisione.

Motivi della decisione

In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sollevata dall’Avvocatura erariale nella memoria di costituzione. A tal fine, occorre individuare la fase procedimentale nella quale si inserisce il provvedimento impugnato, le ragioni che hanno indotto l’amministrazione a non erogare parte del contributo e la situazione giuridica soggettiva vantata dal privato.

Sulla questione oggetto di controversia sia il Consiglio di Stato che la Corte di Cassazione, in materia di provvedimenti a contenuto revocatorio ( o anche di decadenza) incidenti su contributi, finanziamenti e sovvenzioni erogate da pubbliche amministrazioni adottano un criterio generale in tema di riparto di giurisdizione basato sulla individuazione del segmento procedimentale interessato e sulle ragioni della iniziativa revocatoria.

Sotto il primo profilo, anche con riferimento ai provvedimenti di revoca, occorre distinguere il momento "statico" della concessione del contributo, rispetto a quello "dinamico", individuabile nell’impiego del contributo medesimo. Al riguardo, è stato osservato che il primo segmento procedimentale, nel quale si collocano i provvedimenti, comunque denominati (revoca, decadenza, etc.) di ritiro del contributo, anche se successivi alla erogazione, ove costituiscano manifestazione del potere di autotutela amministrativa, in presenza di ragioni di interesse pubblico, spettano alla giurisdizione del Giudice amministrativo. Viceversa, ogni altra fattispecie, concernente le modalità di utilizzazione del contributo e il rispetto degli impegni assunti, involge posizioni di diritto soggettivo, relative alla conservazione del finanziamento, spettanti alla giurisdizione ordinaria (Consiglio di stato, sez. VI, 29 ottobre 2008 , n. 5415; in senso conforme ex plurimis: Consiglio Stato , sez. VI, 09 settembre 2008 , n. 4298; Consiglio Stato , sez. VI, 14 giugno 2005 , n. 2767).

Nel caso di specie, il provvedimento impugnato trova il suo presupposto normativo nell’art. 3 del D.I. 22 luglio 1991, che stabilisce che il saldo è corrisposto a conclusione di tutte le azioni programmate, previa verifica amministrativa – contabile svolta dagli ispettori del lavoro, competenti per territorio, e sulla base di una relazione finale redatta dal Comitato Nazionale di Parità , attestante la corretta utilizzazione dei contributi concessi e gli obiettivi conseguiti in rapporto a quelli programmati; nonché dell’art. 5 del suddetto decreto che stabilisce che la mancata attuazione del progetto o parti di esso, comporta rispettivamente la decadenza totale o parziale dei contributi concessi.

L’atto impugnato si incardina, dunque, nella fase procedimentale successiva al provvedimento di concessione del contributo pubblico, nell’ambito della quale l’autorità amministrativa, accertati i presupposti previsti dalla legge, dispone la mancata erogazione del saldo del contributo, qualora accerti un inadempimento del privato beneficiario agli impegni assunti imposti dalla legge. Il caso si inquadra, dunque, nella fattispecie di decadenza per violazione degli obblighi incombenti sul beneficiario dei contributi, espressione di poteri autoritativi del contraente pubblico, ma di natura privatistica, secondo un modello piuttosto frequente nei contratti e nei rapporti negoziali della pubblica amministrazione in genere.

La situazione giuridica soggettiva vantata dal privato, in relazione alle modalità di utilizzazione del contributo e al rispetto degli impegni assunti involge posizioni di diritto soggettivo, relative alla conservazione del finanziamento, la cui cognizione spetta alla giurisdizione ordinaria. E’ stato, infatti, già chiarito da questo Tribunale, in conformità al sopra richiamato orientamento del Consiglio di Stato, che "il destinatario di finanziamenti o contributi pubblici nella fase procedimentale successiva al provvedimento di concessione del contributo pubblico vanta, nei confronti dell’Autorità concedente, una posizione di diritto soggettivo relativamente alla conservazione degli importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere, per cui il giudice ordinario è competente a conoscere delle controversie instaurate per contrastare l’Amministrazione che, servendosi impropriamente degli istituti amministrativi della revoca o dell’annullamento, ha in realtà utilizzato gli istituti civilistici della decadenza o della risoluzione, poiché ha ritirato il finanziamento di pubblico denaro sulla scorta di un preteso inadempimento da parte del beneficiario degli obblighi imposti dalla legge o dall’atto concessivo del contributo" (T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 06 febbraio 2009 , n. 20; T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 27 giugno 2008 , n. 342; T.A.R. Basilicata Potenza, 10 maggio 2005 , n. 300; T.A.R. Basilicata Potenza, 15 novembre 2004 , n. 750).

Nel caso in esame, la ragione posta a fondamento della mancata erogazione del saldo richiama la presunta non attuazione di parte del progetto, che determina il venir meno dei requisiti per la concessione del saldo del contributo. Né può applicarsi la giurisdizione esclusiva in materia di concessione di beni, stante l’espressa riserva alla giurisdizione ordinaria delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi (art. 5, L. 6 dicembre 1971, n. 1034).

Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, con conseguente "translatio" del giudizio (Corte Cost. 12 marzo 2007, n. 77) davanti all’Autorità giurisdizionale ordinaria, che ai sensi dell’art. 59 della L. 18 giugno 2009, n. 69, si indica quale giudice munito di giurisdizione, fermo restando che sono fatti salvi gli effetti della domanda originaria.

In considerazione della complessità della questione inerente la giurisdizione, sussistono eccezionali ragioni per la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile e indica il Giudice Ordinario, quale giudice munito di giurisdizione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Michele Perrelli, Presidente

Antonio Ferone, Consigliere, Estensore

Giancarlo Pennetti, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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