Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-09-2011) 02-12-2011, n. 44939 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CdA di Catania, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale C.M. fu condannato alla pena di giustizia, in quanto riconosciuto colpevole di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione al fallimento della società IBA (17.12.1991), della quale era stato, prima amministratore delegato e, poi, presidente.

Secondo quanto si legge in sentenza, la distrazione sarebbe stata portata ad esecuzione con due modalità: 1) versando una caparra penitenziale di L. 760 milioni per l’acquisto di terreni, acquisto non perfezionatosi per la mancata erogazione del prestito bancario, 2) mediante pagamento per un totale di L. 1.002.268.726, fittiziamente destinati al pagamento di provvigioni ai propri agenti.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale. In mancanza di elementi materiali, i giudici del merito si sono fondati su presunzioni, ipotesi e congetture, trascurando che le somme di cui ai pagamenti oggetto di imputazione non sono state, in sede civile, oggetto di azione revocatola, trascurando anche il fatto che, quanto al versamento della caparra, i promittenti venditori hanno confermato l’esistenza del rapporto. La somma di L. 760 milioni equivale a un terzo del prezzo pattuito e dunque essa non può considerarsi sproporzionata. Nè è rilevante che la relativa scrittura privata non sia stata registrata, atteso che le scritture contabili contengono menzione della operazione e dunque conferiscono alla stessa data certa. D’altra parte, se fosse fondata la tesi dei giudici del merito avrebbero dovuto essere incriminati anche i percettori della somma, come agevolatori della ipotizzata condotta fraudolenta. Neanche può condividersi l’osservazione in base alla quale sospetto sarebbe stato il termine previsto per il versamento del saldo (90) giorni, trattandosi di valutazione del tutto opinabile. Nè rileva che il C. non abbia richiesto proroga, atteso che la perdita effettiva della caparra è avvenuta solo a distanza di mesi, tanto da essere contabilizzata solo nell’esercizio del 1991. La CdA poi giudica anomalo che la IBA avesse una elevata disponibilità di cassa, trascurando il fatto che per "cassa" devono intendersi anche i titoli e che la ditta era ancora in attività, di talchè, appunto, proprio la cassa era continuamente alimentata.

Non diversamente deve dirsi con riferimento al pagamento delle provvigioni, atteso che di tali esborsi è regolare traccia nelle scritture contabili della IBA e che esse erano relative agli anni anteatti (vale a dire sino al 1984), ma sono state saldate, in varie soluzioni, nel corso del 1990.

E’ poi assurdo ritenere che il C. si sia reso responsabile di esposizione di passività inesistenti, atteso che esistono almeno nove bilanci (dal 1981 al 1989) trascritti nei libri sociali e depositati presso l’Ufficio del registro delle imprese. Al C., per altro, avrebbe dovuto essere contestato il falso in bilancio, ma, lo stesso in quattro mesi versò nelle casse sociali ben L. 1.500.000.000.

Il ricorrente deduce infine carenza di motivazione in ordine alla mancata ritenuta prevalenza delle concesse attenuanti generiche, negata con vuota formula di stile.

Motivi della decisione

L’ultima censura è infondata; le altre sono inammissibili in quanto articolate in fatto e tendenti a una rilettura (per altro con approccio "atomistico") delle risultanze processuali, pur in presenza di compiuta e congrua motivazione.

Va innanzitutto chiarito che, come emerge pacificamente dalla lettura della sentenza impugnata, le non veritiere appostazioni contabili nei bilanci furono strumentali alla condotta di distrazione. Ovviamente nessun rilievo può avere il fatto per anni i bilanci siano stati redatti e depositati, atteso che ciò non è certo garanzia della natura veritiera del loro contenuto.

La Corte catanese, per altro, giunge al suo convincimento esaminando congiuntamente e ponendo in relazione una serie di elementi che, isolatamente considerati (come vorrebbe il ricorrente) potrebbero anche avere scarso significato, ma che, come si diceva, considerati nel loro insieme, hanno, non illogicamente, orientato il convincimento dei giudici del merito.

Invero, quanto alla somma di 760 milioni, la CdA ha considerato; 1) le modalità di pagamento, atteso che esso risulta regolato per cassa, cosa anomala per una somma di tal rilievo, 2) la sproporzione tra la caparra e l’intero prezzo, 3) il fatto che il promittente acquirente si sia vincolato a un termine breve per il perfezionamento del contratto, 4) la inerzia del C. che, nella imminenza della scadenza del termine (che avrebbe privato la sua ditta di ben L. 760 milioni), non si attivò in alcun modo per ottenere in tempi brevi il finanziamento, 5) la anomala situazione documentale, atteso che gli atti di una così importante transazione non risultano nemmeno registrati.

Ovviamente, nessun rilievo può avere il fatto che la operazione de qua risulti registrata nei libri contabili, atteso che si tratta di documenti provenienti dallo stesso imputato.

Quanto alla somma di L. 1.002.268.726, la CdA ha rilevato innanzitutto che la IBA, in procinto del fallimento e senza tentare soluzioni transattive, ha ritenuto di onorare debiti che sarebbero stati, in gran parte, prescritti (sul punto il ricorrente nulla ha osservato). In secondo luogo, ha considerato che, singolarmente, i creditori, a prestar fede alla tesi del C., per anni non si sarebbero attivati per richiedere il dovuto, in terzo luogo, ha rilevato che, anche in tal caso, i pagamenti sarebbero avvenuti per cassa.

Dalla congerie di tali circostanze, la Corte territoriale ha tratto il non illogico convincimento in base al quale le postazioni contabili erano false e, attraverso esse, si intendeva giustificare una attività distrattiva.

Quanto al trattamento sanzionatorio, esso deve ritenersi adeguatamente, sia pur molto sinteticamente, giustificato. Invero la Corte siciliana chiarisce che le attenuanti generiche furono concesse all’unico scopo di attenuare il quantum sanzionatorio e non in correlazione alla condotta processuale dell’imputato. Sulla base di tale premessa, i giudicanti hanno ritenuto che le predette attenuanti avessero ampiamente adempiuto alla loro funzione mitigatrice, ma che non apparisse congruo determinarne la prevalenza. La valutazione globale della condotta del C. (modalità di commissione del reato ed entità delle somme sottratte) hanno ragionevolmente "trattenuto" i giudici del merito da un più favorevole trattamento sanzionatorio.

Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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