Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 14 giugno 2000 Lo.Co.An., unitamente ai figli F., D.L., A. e M., comproprietari di un fondo coltivato a noccioleto di proprietà di L.A. e della moglie deceduta, cui erano succeduti i predetti come eredi, in agro di (OMISSIS), nonchè S. G., proprietaria di altro fondo, dopo aver esposto di aver ricevuto indennità di esproprio parziale, "con rinunzia a proporre opposizione alla stima ed ogni altra impugnazione giudiziaria che abbia attinenza all’espropriazione e/occupazione", convenivano davanti al tribunale regionale delle acque presso la corte di appello di Napoli il Consorzio GOI, concessionario dell’opera di realizzazione di un tratto dell’acquedotto del Serino per il riconoscimento dell’indennità di espropriazione per ulteriori mq. 60 della part. 174 e dei danni derivanti dall’inutilizzabilità della residua parte della detta particella e di altre particelle contigue, nonchè per l’occupazione con materiale di risulta abbandonato dalla impresa.
Il TRAP, dopo aver espletato CTU e dichiarato la legittimazione passiva della s.p.a. Arin, subentrata al Consorzio GOI, con sentenza depositata il 2.2.2007 condannava l’Arin al pagamento dell’indennità di occupazione relativamente alle aree già indennizzate con l’indennità di espropriazione.
Rigettava la domanda di risarcimento del danno per l’inutilizzabilità delle aree oggetto di occupazione non espropriate.
Il Tribunale Superiore delle acque pubbliche, adito dagli attori, con sentenza depositata il 2.10.2009, confermava la sentenza di I grado, che aveva escluso la risarcibilità dei danni, affermando che il deprezzamento, che subivano le parti residue di un fondo espropriato, era da considerare compreso nell’indennità di espropriazione, che riguardava l’intera depauperazione patrimoniale.
Riteneva, altresì, il TSAP che in relazione alle aree oggetto di accordo sull’indennità di esproprio l’indennità di occupazione temporanea era stata correttamente calcolata in un dodicesimo dell’indennità di esproprio virtuale.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Lo.An. (senior), F., D., L., A. (iunior) e M.. Resiste con controricorso l’Arin s.p.a..
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va dichiarata inammissibile l’eccezione della resistente ARIN di improcedibilità del ricorso per non essere stato lo stesso proposto anche contro GOI scrl.
Il TRAP aveva dichiarato la legittimazione passiva della S.P.A. Arin, in quanto subentrata a GOI in questo rapporto; nel giudizio di appello l’appellata ARIN aveva richiesto che fosse disposta l’estromissione dal presente giudizio della società GOI; il TSAP, con la sentenza attualmente impugnata, ha dichiarato inammissibile l’appello nei confronti di GOI scrl, sia pure senza una specifica motivazione.
Ne consegue che, prima ancora dell’infondatezza dell’eccezione, deve rilevarsi che l’Arin non è legittimata a far valere una pretesa inammissibilità o improcedibilità del ricorso sul solo rilievo della mancata proposizione dello stesso anche nei confronti della GOI scrl, non vertendosi (nè essendo stata neppure allegata) in ipotesi di litisconsorzio necessario.
2. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 9, 22 e 40.
I ricorrenti censurano l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’indennità di esproprio copre anche il danno subito dall’espropriato alle zone attigue. Secondo i ricorrenti il risarcimento spetta, allorchè dette zone risultano intercluse, poichè esse non hanno formato oggetto di dichiarazione di pubblica utilità, come invece avrebbero potuto esserlo a norma della L. n. 2359 del 1865, art. 22.
Secondo i ricorrenti la tesi del TSAP viola anche le norme di cui alla L. n. 2359 del 1865, artt. 23 e 40 poichè se l’indennità di espropriazione comprendesse sempre il deprezzamento delle aree residue, tali norme in tema di occupazione parziale sarebbero inutili.
Inoltre, ed in ogni caso, nella fattispecie non si verserebbe in ipotesi di occupazione parziale, essendo le zone predette estranee al provvedimento espropriativo.
3.1. Il motivo è infondato.
Correttamente il TSAP ha ritenuto che va esclusa la risarcibilità del danno alle particelle rese inagibili o inutilizzabili a seguito dell’opera pubblica, poichè trattasi di voce ricompresa nell’indennità di espropriazione, che per definizione riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo.
Il deprezzamento, che abbiano subito le parti residue del bene espropriato, è da considerare voce ricompresa nell’indennità di espropriazione, che per definizione riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo, ivi compresa la perdita di valore della porzione residua derivata dalla parziale ablazione del fondo (Cass. 21.11.2001, n. 14640;
6.6.2003, n. 9096), sia essa agricola o edificabile (Cass. 5.6.2001, n. 7590), non essendo concepibili, in presenza di un’unica vicenda espropriativa, due distinte somme, imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e l’altra a titolo di risarcimento del danno per il deprezzamento subito dai residui terreni (Cass. 10.3.2000, n. 2737).
3.2. Ne consegue che qualora il giudice accerti, anche d’ufficio, che la parte residua del fondo sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed oggettivo (tale, cioè, da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale), e che il distacco di parte di esso influisca oggettivamente (con esclusione, dunque, di ogni valutazione soggettiva) in modo negativo sulla parte residua – e tale indagine resta nell’ambito della determinazione dell’indennità, venendo in considerazione il pregiudizio di quella porzione residua non a fini risarcitori, ma come parametro indennitario, e dunque non soggetto a particolare onere di allegazione – deve, per l’effetto, riconoscere al proprietario il diritto ad un’unica indennità, consistente nella differenza tra il giusto prezzo dell’immobile prima dell’occupazione ed il giusto prezzo (potenziale) della parte residua dopo l’occupazione dell’espropriante (Cass. 27.9.2002, n. 14007).
3.3. Di nessun rilievo, ai fini dell’affermazione di un diverso principio, è la circostanza che detti effetti negativi si siano realizzati su zone comunque estranee alla dichiarazione di pubblica utilità, una volta ritenuto che le opere accessorie eseguite, che determinarono il fatto dell’interclusione dei terreni residui degli attori, erano previste e conformi al progetto dell’opera pubblica.
Come hanno rilevato le S.U. di questa Corte (n. 9041 del 08/04/2008 ), nell’espropriazione parziale regolata dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40 va compresa ogni ipotesi di diminuzione di valore (nella specie interclusione) della parte non interessata dall’espropriazione, con necessario riferimento al concetto unitario di proprietà ed al nesso di funzionalità tra ciò che è stato oggetto del provvedimento ablativo e ciò che è rimasto nella disponibilità dell’espropriato, tanto più ove si tratti di suoli a destinazione agricola, in cui rileva l’unitarietà costituita dalla destinazione a servizio dell’azienda agricola.
3.4. I profili irreversibili di danno subiti dalla parte residua della proprietà, a causa dell’interclusione della medesima dopo l’espropriazione, non possono che trovare riconoscimento nei concetti di espropriazione ed occupazione parziale. Nella fattispecie regolata dall’art. 40, va ricompresa ogni ipotesi di diminuzione di valore della parte non interessata dall’espropriazione, per cui, contrariamente a quanto rilevato dai ricorrenti, è inlnfluente che la parte residua danneggiata non sia compresa nella dichiarazione di pubblica utilità, ai fini dell’espropriazione. Infatti nella valutazione del danno da espropriazione parziale ex art. 40 cit. si prescinde dal dato catastale della particella, dovendocisi riferire al concetto di proprietà e al nesso funzionale tra ciò che è stato oggetto del provvedimento ablativo e ciò che è rimasto nella disponibilità dell’espropriato (Cass. 24.9.2007, n. 19570), tanto più ove si tratti di suoli a destinazione agricola, in cui rileva l’unitarietà costituita dalla destinazione a servizio dell’azienda agricola (Cass. 14.5.1998, n. 4848; 15.7.1977, n. 4404).
4.1. Nella specie i ricorrenti lamentano l’interclusione anche di particelle che sarebbero attigue a quelle su cui sono state realizzate le opere accessorie previste in progetto, le quali come tali erano rimaste fuori dalla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e come tali non potevano entrare negli espropri.
Sennonchè proprio perchè si tratta di un compendio a destinazione unitaria agricola, il danno alla residua proprietà può trovare riconoscimento solo nel quadro della perdita di valore della parte non interessata dal provvedimento ablativo, secondo il metodo tracciato dall’art. 40, con le regole di competenza e i termini di proponibilità dell’azione che gli sono propri, ed i cui principi sono applicabili anche nella vigenza di successivi criteri di calcolo dell’indennità di espropriazione (Cass. 23.11.2004, n. 22110;
25.10.2000, n. 14031; 18.2.2000, n. 1806).
4.2.Contrariamente a quanto paiono ritenere i ricorrenti, poichè la disciplina della L. n. 2359 del 1865, art. 40 (come anche quella dell’art. 23 in relazione ai relitti ridotti, privi di utile destinazione) ha ad oggetto i danni da espropriazione parziale cagionati all’immobile nella sua unitarietà, quindi anche allorchè alcune particelle dell’unico bene; non siano state considerate nella dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, il criterio di stima differenziale, previsto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 40 (recepito dal D.Lgs. n. 327 del 2001), è rivolto a garantire che l’indennità di espropriazione riguardi l’intera diminuzione patrimoniale subita dal soggetto passivo del provvedimento ablativo e, quindi, anche il deprezzamento subito dalle parti residue del bene espropriato(Sentenza n. 24304 del 18/11/2011).
4.3. Ne consegue che nella fattispecie l’accettazione dell’indennità di esproprio comporta il rigetto della domanda dei ricorrenti in ordine ai danni lamentati alle particelle strettamente contigue a quelle espropriate, e facenti parte del complessivo fondo, sul quale è stata realizzata l’opera.
5. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, artt. 12, 16, 17 e 20.
I ricorrenti censurano l’impugnata sentenza per aver ritenuto che fosse giuridicamente corretto l’operato del Trap, che aveva determinato l’indennità annuale da occupazione provvisoria legittima in un dodicesimo dell’indennità di esproprio, senza tener conto della maggiorazione per il consenso alla determinazione di tale indennità.
6. Il motivo è fondato.
Queste S.U. (n. 24303 del 01/12/2010) hanno statuito che l’indennità di occupazione legittima, che, in base alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, comma 3 è pari, per ciascun anno di occupazione, ad un dodicesimo dell’indennità che sarebbe dovuta per l’espropriazione dell’area da occupare, "calcolata a norma dell’art. 16" della stessa legge, va commisurata alla definitiva indennità di espropriazione effettivamente dovuta, dovendo ad essa attribuirsi quella stessa qualificazione di indennità provvisoria che si rinviene nella cit.
L. n. 865, art. 12, comma 1, il quale rinvia, per la relativa determinazione, proprio all’art. 16 anzidetto. Siffatta determinazione non trova deroga nell’ambito della disciplina indennitaria posta dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 80 il cui carattere speciale non è elemento sufficiente a spezzare il nesso logico ed economico che, per legge, lega tutte le indennità, sia di espropriazione che di occupazione legittima, posto che la anzidetta normativa di riferimento, fissa l’entità delle indennità di occupazione in misura strettamente percentuale all’indennità di espropriazione parimenti dovuta.
Il suddetto principio è stato affermato tanto per l’indennità di occupazione legittima del suolo destinato all’esproprio quanto per quello utilizzato quale per le fasce laterali occupate per le necessità del "cantiere" e transito. Esso è da condividere, poichè si fonda sulla considerazione che – in presenza di legittimo procedimento di occupazione e di esproprio – il sistema prevede un nesso (logico e, soprattutto, economico) che, per la legge, lega, sempre e comunque, tutte le indennità (sia di espropriazione che di occupazione legittima), con la conseguenza che le disposizioni attinenti alle indennità da occupazione provvisoria legittima, perchè tendono al ristoro del reddito perduto durante l’occupazione del bene, non possono che fissare l’entità delle indennità di occupazione in misura strettamente percentuale all’indennità di espropriazione parimenti dovuta: quella annuale di "un dodicesimo" corrisponde, infatti e comunque, ad una redditività predeterminata in misura percentuale fissa (8,33% all’anno) dallo stesso legislatore, a cui va aggiunto l’aumento del 50% per il concordamento bonario di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 12.
Tale principio va qui ribadito, dovendosi solo specificare che qui non rileva se il decreto di esproprio sia stato tempestivamente emesso (rilevante – invece – in relazione alla tematica affrontata da Corte cost. n. 24/2009), ma solo se l’indennità di espropriazione sia stata effettivamente accettata e quindi sia dovuta con l’aumento nella misura corrisposta per il concordamento bonario.
Rimane, invece, fuori da questa regolamentazione; il caso di imposizione di fatto di servitù pubblica di acquedotto, a seguito di realizzazione dell’opera idraulica senza una procedura ablatoria, in cui, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte trova applicazione analogica l’art. 1038 cod. civ., che distingue, ai fini della determinazione dell’indennità, tra le parti fisicamente occupate; dall’opera idraulica e quelle costituenti le cosiddette fasce di rispetto necessarie per lo spurgo e per la manutenzione delle condotte, stabilendo che per le prime sia corrisposto al proprietario l’intero valore e per le altre soltanto la metà di tale valore (Cass.S.U. n. 51 del 13/02/2001).
7. Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 219 del 1981, art. 80 con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Lamentano i ricorrenti che il C.T.U. in primo grado, in ottemperanza al mandato conferitogli, aveva erroneamente determinato l’indennità di esproprio a norma della L. n. 218 del 1981, art. 80, comma 6 mentre essa doveva già essere calcolata ai sensi della prima parte di tale disposizione, anche con la maggiorazione prevista dalla L. n. 86 del 1971, art. 12.
8. Il motivo è inammissibile poichè, non essendo stato trattato dalla sentenza di appello, risulta costituire questione nuova.
Infatti è giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 6989/2004; Cass. n. 5561/2004; Cass. n. 1915/2004).
Pertanto il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 20518 del 28/07/2008).
9. In definitiva vanno rigettati i motivi primo e terzo del ricorso;
va accolto il secondo motivo e va cassata, in relazione al motivo accolto, l’impugnata sentenza e, decidendo la causa nel merito, va condannata l’ARIN a corrispondere ai ricorrenti l’indennità di occupazione per ciascun anno, in misura pari ad un dodicesimo dell’indennità dovuta per l’espropriazione, comprensiva della maggiorazione corrisposta nella fattispecie per la cessione volontaria.
La resistente va condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore dei ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta i motivi primo e terzo del ricorso; accoglie il secondo motivo. Cassa, in relazione al motivo accolto, l’impugnata sentenza e, decidendo la causa nel merito, condanna l’ARIN s.p.a. a corrispondere ai ricorrenti l’indennità di occupazione per ciascun anno, in misura pari ad un dodicesimo dell’indennità dovuta per l’espropriazione, comprensiva della maggiorazione corrisposta per la cessione volontaria. Condanna l’Arin s.p.a. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dai ricorrenti e liquidate in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.