Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-09-2011) 02-12-2011, n. 44936

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CdA di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale F.D. e la moglie, C.J. furono condannati alla pena di giustizia in quanto ritenuti responsabili dei reati di cui all’art. 110 c.p., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5 (capo A), artt. 81-110-605 c.p. (capo B) e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma 12 (capo C).

Gli imputati, con separati, ma identici, ricorsi, deducono: 1) errata applicazione di norme di legge ed errata valutazione di prove determinanti quanto al delitto di sequestro di persona. E’ vero che in sede di perquisizione, furono trovati chiusi a chiave nel capannone quattro cittadini cinesi, ma è anche vero che la chiave della porta antipanico era in possesso di Y.L.Y. e rappresenta una mera illazione dei giudicanti quella in base alla quale detta chiave sarebbe stata furtivamente consegnata in Questura al predetto proprio dell’imputato F.D.. Secondo i verbalizzanti, si sarebbe trattato della chiave di pertinenza della moglie, ma ciò è impossibile perchè, dopo l’intervento dei poliziotti, non vi fu contatto tra F.D. e C.J..

E’ anche vero che all’interno del capannone fu trovato un quaderno che riportava note grammaticali in lingua italiana e conteggi relativi alla produzione con riferimento ai singoli operai, ma si trattava di appunti riferibili al precedente inquilino dell’immobile che aveva lasciato in loco il quaderno in quanto utile, proprio per gli appunti di grammatica che conteneva. Le annotazioni relative alle lavorazioni per altro si riferiscono al periodo gennaio-marzo, mentre l’imputato ha iniziato la sua attività solo in aprile.

E’ poi risultato che Q.M.B. era solito frequentare liberamente un bar nei pressi del capannone.

E’ inoltre da notare che la perquisizione ha avuto luogo alle ore 6.30 della mattina. E’ dunque del tutto logico che il capannone fosse chiuso, ma il teste Z.G. ha chiarito che egli e i suoi compagni non erano sorvegliati da chicchessia e che i responsabili della produzione si limitavano a dare "un occhio al capannone". Lo stesso teste precisa che il capannone veniva chiuso solo di notte per paura dei ladri; gli operai che pernottavano all’interno dello stesso, tuttavia, erano in possesso del recapito telefonico degli imputati e dunque potevano chiamarli in qualsiasi ora della notte.

Sempre Z. ha avuto modo di precisare che, dopo il lavoro, gli operai erano liberi di uscire e di andare al bar, di talchè non rimangono, a carico dei ricorrenti che le parole di Q.M.B., che tuttavia è persona poco attendibile per avere in altre occasione mentito alle FFOO (è destinatario di un provvedimento di espulsione con altre generalità).

Motivi della decisione

I ricorsi sono completamente articolati in fatto e, pertanto inammissibili.

La sentenza da atto delle seguenti circostanze: 1) la porta del capannone era chiusa a chiave, 2)il portone era chiuso con catena e lucchetto 3) all’interno del capannone erano stati ricavati veri e propri cubicoli per gli operai che pernottavano all’interno, muniti di wc e cucina, 4) gli inquirenti trovarono quattro operai che dormivano nel capannone, 5) furono anche trovati documenti di identità e ben cinque fotocopie del medesimo permesso di soggiorno, con foto di persone differenti, 6) fu trovato anche un quaderno con annotazioni relative a prestazioni a cottimo 7) i Carabinieri operanti affermarono che F.D. ha "passato" la chiave a Y. L., 8) gli imputati hanno ammesso di non aver mai pagato gli operai 9) C.J. ha dichiarato di essere l’unica in possesso delle chiavi, 10) Q.M.B. ha chiarito che ha frequentato il bar fino ad aprile, vale a dire fin quando non cominciò a lavorare per gli imputati; da quel momento in poi non ha più frequentato il predetto esercizio.

Sulla base di tali emergenze processuali, congiuntamente considerate e logicamente interconnesse, i giudici di entrambi i gradi di appello hanno, ragionevolmente, ritenuto fondata la tesi di accusa.

Con i ricorsi, detta tesi viene contraddetta, tentando i ricorrenti di accreditare una diversa versione dei fatti e una alternativa "lettura" di dati processuali, lettura che, tuttavia, risponde a un’ottica di tipo atomistico, quasi che le singole evidenze probatorie possano essere isolate e considerate scollegate dall’intero contesto fattuale.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue condanna di ciascun ricorrente alle spese del grado e al pagamento di somma a favore della Cassa ammende. Si stima equo determinare detta somma in Euro 1000 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e ciascuno al versamento della somma di mille Euro a favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *