Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 26-06-2012, n. 10681 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 22 marzo 2001 presso la Corte d’appello di Firenze, A.F. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe, hanno chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dal loro dante causa dinnanzi al TAR del Lazio con ricorso depositato il 22 marzo 2001 e deciso con sentenza di rigetto del ricorso depositata il 26 settembre 2008.

L’adita Corte d’appello ha ritenuto violata la durata ragionevole del processo per quattro anni e sei mesi, liquidando in favore di ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 2.250,00, computata sulla base di un importo di Euro 500,00 per anno di ritardo, oltre agli interessi legali dalla data del decreto al saldo, e ha compensato le spese del procedimento.

Per la cassazione di questo decreto A.F. e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe propongono ricorso sulla base di quattro motivi; l’intimata amministrazione ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 par.

1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in relazione all’art. 2056 cod. civ., dolendosi della esiguità della somma riconosciuta quale riparazione per il danno morale e sostenendo che l’indennizzo avrebbe dovuto essere determinato sulla base di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, quanto meno per gli anni di ritardo successivi al terzo, come statuito da questa Corte in più occasioni.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono vizio di motivazione in ordine alla determinazione del quantum dell’indennizzo, avendo la Corte valorizzato la circostanza che il ricorso nel giudizio presupposto era stato proposto collettivamente.

Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta violazione dell’art. 2056 cod. civ., in relazione agli artt. 1173 e 1224 cod. civ., dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia omesso di liquidare gli interessi legali con decorrenza dalla data della pronuncia.

Con l’ultimo motivo, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 91 c.p.c., e dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e all’art. 6, par. 1, della CEDU. Il primo e il secondo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai principio acquisito quello per cui il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel giudizio presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2 009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, "a condizione che le decisioni pertinenti" siano "coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato", e purchè detti importi non risultino irragionevoli , reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. n. 16086 del 2009; Cass. n. 819 del 2010).

Fondato è altresì il terzo motivo di ricorso, atteso che gli interessi sulla somma liquidata, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 a titolo di equa riparazione per superamento della ragionevole durata del processo, vanno riconosciuti dal momento della domanda e non già dalla data del decreto dell’adita sorte d’appello, tenuto conto della natura indennitaria e non meramente compensativa della predetta equa riparazione (v., da ultimo, Cass. 22611 del 2011).

L’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso comporta l’assorbimento del quarto, concernente il regime delle spese processuali.

Alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, i primi tre motivi di ricorso devono essere accolti, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. In particolare non è contestata la durata irragionevole, accertata dalla Corte d’appello in quattro anni e sei mesi, sicchè, nel caso di specie, in applicazione del criterio quantitativo prima affermato, si deve, di conseguenza, riconoscere a ciascuno dei ricorrenti l’indennizzo di Euro 3.750,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Ai ricorrenti compete altresì il rimborso delle spese dell’intero giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, con la precisazione che sulle somme dovute a titolo di onorari – Euro 445,00 per il giudizio di merito; Euro 425,00 per il giudizio di cassazione – si applica, ai sensi del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 4, un aumento del 20% per ciascuna delle parti ulteriori rispetto alla prima e sino alla decima e del 5% per le ulteriori parti sino alla ventesima.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 3.750,00, oltre agli interessi legali dalla domanda; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.965,50 per onorari, Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 2.047,00, di cui Euro 1.947,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2012

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