Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-09-2011) 02-12-2011, n. 44980

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di annullamento, per vizi di motivazione, di una precedente ordinanza di rigetto, il Tribunale distrettuale di Cagliari è stato nuovamente investito, quale giudice di rinvio, della richiesta di riesame proposta da D.D. avverso il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lanusei l’aveva sottoposta alla misura della custodia cautelare in carcere, quale indagata per il delitto di concorso nell’omicidio pluriaggravato di F.R..

Riesaminato il materiale investigativo il Tribunale, con ordinanza in data 14 febbraio 2011, ha revocato la misura per insussistenza delle esigenze cautelari, pur confermando il giudizio di gravità del compendio indiziario a carico della D.. Gli elementi valorizzati a tal fine sono consistiti, innanzi tutto, nelle dichiarazioni rese da S.M.: costui, pur negando di avere commesso l’omicidio, aveva riferito di essere stato istigato dalla D. affinchè sparasse alla F.; in ciò si è ravvisata una chiamata in correità, atteso che il S. è stato sottoposto a procedimento penale sotto l’imputazione di avere materialmente eseguito l’omicidio. Valutata positivamente l’attendibilità intrinseca del S., il Tribunale ha poi rilevato l’esistenza di riscontri esterni, individuati: in una conversazione intercettata tra la di lui zia S.M.A. ed altre persone, cui aveva confidato di aver saputo dal nipote dell’invito rivoltogli dalla D. affinchè sparasse alla F.; nel comportamento della stessa D. e dell’uomo a lei legato, S.F., nell’immediatezza dell’omicidio; nelle numerose lettere sequestrate alla stessa indagata, contenenti manifestazioni di rancore nei confronti della F. e dell’intenzione di "sbrigarsela" con lei; nelle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia D.E.V., il quale aveva riferito della necessità, per un suo sodale di nome L.M., di vendicare i torti subiti dalla sorella del suo amico G., individuato per D.G.L., fratello per l’appunto di D.D..

Ha proposto ricorso per cassazione l’indagata, affidandolo a due motivi.

Premesso il proprio interesse ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza impugnata, malgrado questa abbia disposto la sua scarcerazione, ai fini di una successiva richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, col primo motivo la ricorrente denuncia l’inosservanza dell’obbligo di trasmissione degli atti al giudice del riesame nel termine di cinque giorni, di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5, con riferimento al mancato inoltro degli atti relativi al faldone C3, 6, 7.

Col secondo motivo denuncia vizi di motivazione per inosservanza dei precetti dettati dalla sentenza di annullamento, per utilizzo degli elementi investigativi raccolti sull’ipotesi di estorsione, invece esclusa con statuizione coperta da giudicato cautelare, e per errata valutazione degli elementi indiziari, singolarmente sottoposti nel ricorso a rinnovata disamina critica.

Motivi della decisione

Per quanto l’ordinanza impugnata abbia disposto la revoca della misura cautelare e la conseguente liberazione della D., non può nondimeno negarsi l’interesse dell’indagata a impugnare il provvedimento; infatti la motivazione ivi addotta, facente perno sulla ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari, ma confermativa al contempo del giudizio di gravità indiziaria, è produttiva di conseguenze pregiudizievoli in vista della futura domanda di riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, di cui all’art. 314 c.p.p., che la ricorrente ha preannunciato di voler proporre. Sono, perciò, soddisfatte le condizioni cui la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Sez. Un. 16 dicembre 2010 n. 7931/11) subordina il perdurare dell’interesse a coltivare il ricorso de liberiate pur dopo la disposta scarcerazione.

Quanto testè osservato, peraltro, non può valere con riferimento all’eccezione di rito formulata col primo motivo di ricorso.

Trattandosi, invero, della denunciata violazione di una norma estranea al novero delle condizioni di applicabilità della misura coercitiva di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p., richiamati dall’art. 314 c.p.p., non vi è interesse della D. a farla valere come motivo di annullamento per i fini dianzi indicati. Ciò va rimarcato anche a prescindere dall’ulteriore causa di inammissibilità dipendente dalla preclusione che, nel giudizio di rinvio, opera nei confronti di tutte le questioni processuali dedotte – o deducibili – nel giudizio di legittimità e non attinte dalla pronuncia di annullamento.

E’ invece fondato il secondo motivo.

L’ordinanza di rinvio, infatti, è nuovamente caduta nello stesso errore che aveva inficiato il precedente deliberato, colpito da annullamento per vizi di motivazione, essendosi prodotta nel rinnovato sforzo di attribuire un costrutto logico al coordinamento di elementi fattuali che, invece, non sono in grado di esprimere un quadro indiziario idoneo a sorreggere razionalmente l’adozione della misura cautelare.

In ordine alle dichiarazioni rese da S.M., corre l’obbligo innanzi tutto di rilevare come in esse non siano ravvisabili gli estremi di una chiamata in correità, per la semplice ragione che il propalante non si è confessato autore dell’omicidio (ma soltanto della separata condotta di redazione di un cartello minatorio, al quale la D. è stata riconosciuta estranea): sicchè, ove pure gli si presti fede incondizionata, la condotta ascrivibile alla ricorrente in base al di lui narrato non può che restare confinata entro l’ambito di una mera istigazione a commettere un delitto, la cui punibilità è esclusa dal disposto dell’art. 115 c.p..

Nè giova alla tesi accusatoria ricorrere al principio della c.d. frazionabilità delle dichiarazioni: sia in considerazione dell’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa (cioè quella in cui il S. ha negato di aver commesso il delitto) e quella in cui ha riferito dell’istigazione ricevuta; sia perchè negar credito alla protesta di innocenza del propalante non equivale a dimostrare che l’istigazione sia stata effettivamente accolta e che ne sia seguita la consumazione del reato. Sicchè, pur dopo l’operazione logica di frazionamento delle dichiarazioni del S., ciò che resta è soltanto la descrizione di una condotta istigatrice della D., di per sè inidonea ad apprestare un valido presupposto per l’emissione del titolo cautelare.

Quanto fin qui osservato rende ragione della inanità degli sforzi indirizzati a individuare l’esistenza di riscontri esterni a supporto delle dichiarazioni del S.; riscontri che, del resto, si dimostrano inficiati da circolarità, in quanto la relativa fonte d’informazione è invariabilmente riconducibile allo stesso S..

Così è a dirsi per la conversazione captata il giorno 1 giugno 2009 tra S.M.A. e gli amici F.F. e F. L.; ed ancora così è per le informazioni trasmesse dalla stessa S. alla madre della vittima nella conversazione telefonica intercettata il 27 novembre 2001.

La deduzione tratta dalla Corte di merito, che S.M.A. fosse in possesso di conoscenze circa l’identità degli autori dell’omicidio e le modalità di questo, è adeguatamente argomentata in rapporto agli elementi indiziari raccolti: così come può ben ritenersi, alla stregua di quanto affermato dalla stessa S. ("lo sa"), che il medesimo patrimonio di conoscenze appartenesse al di lei nipote. Ma ben altro compendio indiziario sarebbe richiesto per poter sostenere che l’omicidio sia stato commesso proprio da S.M., in esecuzione di un mandato ricevuto dalla D..

In ordine ad ambedue i temi da ultimo menzionati, riguardanti il mandato ad uccidere e la sua esecuzione, la sentenza di annullamento pronunciata da questa Corte in data 11 novembre 2010 ha chiaramente additato l’incongruità della motivazione basata sull’individuazione di un movente in capo alla D.; sul contenuto della conversazione intercettata il 18 marzo 2010 e, in particolare, sull’affermazione di S.M. "fu soltanto una fucilata"; sul contenuto della missiva – mai spedita – in data 1 ottobre 2001, riferita alla D., ed in particolare sull’espressione "tanto per iniziare devo sbrigarmela con la tua padrona"; sul già citato dialogo intercettato il giorno 1 giugno 2009 tra S.M.A., F.L. e F.F., avente ad oggetto la confidenza fatta alla prima dal nipote S.M. in merito all’invito a sparare alla "signora", assertivamente rivoltogli dall’odierna indagata.

Non avendo l’ordinanza impugnata focalizzato altri e più significativi elementi in aggiunta a quelli or ora indicati, intorno alla cui valorizzazione tuttora ruota la linea argomentativa volta a delineare la gravità indiziaria a carico della D., è giocoforza riconoscere che il compendio investigativo resosi fin qui disponibile è inidoneo a supportare l’emissione della misura cautelare: onde s’impone l’annullamento senza rinvio per tale ragione dell’ordinanza impugnata, così come dell’ordinanza genetica datata 26 aprile 2010.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e quella applicativa della misura cautelare personale coercitiva del 26 aprile 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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