Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-09-2011) 02-12-2011, n. 44977

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il tribunale del riesame di Salerno ha accolto l’appello del Pubblico Ministero avverso il provvedimento di rigetto di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di V. A., Vi.An., V.E., V.G. ed altri indagati per ipotesi di bancarotta documentale e per distrazione in relazione al fallimento ALVIspa e Superalvi spa.

Il GIP, pur riconoscendo la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, aveva ritenuto insussistenti le esigenze cautelari connesse al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.

Diversamente il tribunale, ribadita la sussistenza della gravità indiziaria, aveva ravvisato il pericolo di reiterazione nelle modalità della condotta posta in essere dagli indagati, i quali avevano posto in essere condotte imprenditoriali infedeli aventi come unico obiettivo quello di riuscire ad occultare al fine di distrarre l’ingente patrimonio delle società fallite.

Il tribunale rilevava che ancora molte società erano riconducibili ai V. e che le intervenute dimissioni dalle cariche non apparivano determinanti ai fini della decisione sia perchè provvisorie, sia perchè le stesse non potevano escludere una gestione di fatto delle società.

Con il ricorso per cassazione V.A., Vi.An., V.E. e V.G. deducevano:

1) la violazione di legge in relazione agli artt. 125, 581, 591, 310 e 274 c.p.p. per omessa declaratoria di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, non avendo lo stesso indicato elementi concreti del pericolo di recidivanza, tenuto conto dei comportamenti corretti successivi al fatto degli indagati, del sequestro di quote della società. I prodotti del sole e della nomina di un amministratore giudiziario, provvedimento non adottato per le altre società, della mancanza di elementi che potessero far pensare ad una eterodirezione di tali società;

2) la violazione degli artt. 125, 310 e 274 c.p.p. ed il vizio di motivazione per non avere tenuto conto degli argomenti utilizzati dal GIP per escludere l’esistenza di un concreto pericolo di recidivanza;

3) la violazione di legge in relazione agli artt. 125, 310 e 274 c.p.p. per non avere tenuto conto il tribunale del fatto che il pubblico ministero aveva proceduto al sequestro di quote soltanto per la società. I prodotti del sole e non anche per le altre società in bonis, evidentemente perchè non sussisteva un pericolo di reiterazione;

4) la violazione di legge in relazione agli artt. 125, 273 e 274 c.p.p., L. Fall., art. 216 e art. 110 c.p. perchè Vi.An. non risultava indagata per nessuno dei reati indicati dal pubblico ministero nell’atto di impugnazione e, quindi, non vi era stata impugnazione nei suoi confronti.

I motivi posti a sostegno del ricorso non sono fondati.

Giova premettere per chiarezza espositiva che il presente ricorso concerne esclusivamente la ricorrenza o meno delle esigenze cautelari, non discutendosi della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati affermata dal GIP con la ordinanza con la quale, comunque, tale giudice aveva rigettato la richiesta del Pubblico ministero di applicazione di misure cautelari per insussistenza delle esigenze di cui all’art. 274 c.p.p..

Come si è già detto, con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti si sono doluti del fatto che il tribunale non avesse dichiarato la inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero, non avendo Io stesso indicato elementi concreti che consentissero di ritenere esistente un pericolo di recidivanza. La tesi dei ricorrenti deve essere disattesa perchè il pubblico ministero nei due atti di appello – il primo avverso l’ordinanza del GIP del 26 ottobre 2010 ed il secondo avverso quella emessa dallo stesso giudice il 14 gennaio 2011 -, dopo avere indicato gli elementi che consentivano di ritenere la esistenza di gravi indizi di colpevolezza, ha censurato in punto di diritto i criteri utilizzati per ritenere o escludere il pericolo di reiterazione ed ha, poi, in punto di fatto indicato in modo specifico gli elementi che imponevano di ritenere che vi fosse nel caso di specie un concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie. Detto in estrema sintesi il pubblico ministero ha sostenuto che il pericolo concreto di reiterazione di reati della stessa indole potesse essere desunto anche dalla gravità della condotta, ed in particolare dalla ripetitività di atti di spoliazione delle società fallite posti in essere dagli indagati al fine di occultare le risorse delle stesse e sottrarle alla garanzia del ceto creditorio.

Si tratta certamente di un principio di diritto pacifico in giurisprudenza (vedi ex multis Cass., sez. 5, 10 gennaio-28 febbraio 2007, n. 8432), la quale ha precisato che le specifiche modalità del fatto di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c) ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato (Cass., sez. 3, 2-22 dicembre 2009, n. 49815).

Affermato il principio di diritto il pubblico ministero ha indicato, come si è già detto, in modo specifico tutti gli elementi che consentivano di ritenere sussistente il pericolo di recidivanza, ponendo in evidenza, in particolare, la gravità della condotta consistita in ripetuti atti di distrazione, la irrilevanza delle dimissioni degli indagati da cariche sociali, sia per la non irreversibilità delle stesse, sia perchè, specialmente V. A., aveva già agito, con riferimento alle società fallite, come amministratore di fatto, sia, infine, perchè le molte società in bonis facenti capo ai V. avrebbero potuto subire la stessa sorte della ALVI e della Super alvi.

Si tratta, allora, di atti di appello certamente ammissibili perchè specifici, che correttamente il tribunale ha ritenuto tali verificando, poi, nel merito la bontà delle doglianze dell’appellante.

Del pari infondato è il secondo motivo di impugnazione, non essendo vero che il tribunale non abbia tenuto conto degli argomenti utilizzati dal GIP per escludere l’esistenza di un concreto pericolo di recidivanza.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il tribunale ha tenuto conto di tutti gli argomenti contenuti nella ordinanza del primo giudice disattendendoli ed indicando in positivo gli argomenti che consentivano di ritenere esistente il pericolo di reiterazione.

E tali argomenti, peraltro nemmeno criticati in modo specifico nell’atto di ricorso, sono stati esposti con motivazione non solo congrua, ma anche immune da manifeste illogicità, peraltro non rilevate nemmeno dai ricorrenti. Quanto all’argomento che non sarebbero state acclarate le modalità di gestione delle società in bonis e, quindi, non potrebbe essere valutato il pericolo di una eterodirezione delle stesse da parte degli odierni indagati, va detto che l’argomento non appare affatto decisivo perchè l’esperienza giudiziaria dimostra che anche società apparentemente gestite in modo corretto dagli organi sociali previsti dalla legge sono nella realtà gestite da uno o più amministratori di fatto, che spesso si identificano proprio nei soci che detengono il maggior numero di quote sociali o comunque nelle persone alle quali le società sono di fatto riconducibili.

Anche il fatto che per tali società in bonis non sia stato chiesto il sequestro penale è circostanza non risolutiva, essendo ben noto che le varie tipologie di sequestro penale – preventivo, probatorio o conservativo – sono ancorate a presupposti – fumus commissi delicti e periculum in mora – che, evidentemente, non è possibile, specialmente con riferimento al secondo presupposto, valutare in questa sede, o ad iniziativa della parte civile, oltre che del pubblico ministero -sequestro conservativo.

Per concludere sul punto nessuna censura per vizio della motivazione può essere rivolta al provvedimento impugnato.

Quanto finora detto comporta la infondatezza anche del terzo motivo di impugnazione.

Ed, infatti, non è possibile valutare in questa sede la circostanza che sia stato disposto il sequestro penale delle quote sociali degli indagati della società I prodotti del sole, alla quale sembra sia stato nominato anche un amministratore giudiziario, provvedimento che allo stato non è stato ancora adottato per le altre società in bonìs riferibili agli indagati.

Non vi sono nel presente procedimento gli elementi per valutare la correttezza di tali iniziative del pubblico ministero, che, comunque, nessuna incidenza possono avere sul concreto pericolo di recidivanza degli indagati, ritenuto correttamente in base alla personalità degli indagati quale emergente principalmente dalle ripetute condotte distrattive poste in essere e non con riferimento alla condizione delle società agli stessi riferibili.

Quanto, infine, alla posizione di Vi.An. va detto che l’assunto che nei suoi confronti non sarebbe stato proposto appello da parte del pubblico ministero non appare fondata.

Come si è già posto in evidenza gli atti di appello ai quali bisogna fare riferimento, dal momento che la loro trattazione è avvenuta unitariamente, sono due e precisamente quello depositato dal pubblico ministero il 3 novembre 2010 avverso l’ordinanza di rigetto del GIP del 26 ottobre dello stesso anno e quello depositato il 18 gennaio 2011 avverso l’altra ordinanza di rigetto del Gip del 14 gennaio dello stesso anno.

Ebbene in questo ultimo atto di impugnazione, che è, poi, quello di maggiore rilievo perchè è la impugnazione del pubblico ministero avverso l’ordinanza del GIP che, pur avendo ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, ha escluso che ricorressero le esigenze cautelari, vi è la precisa richiesta dell’impugnante di applicare, anche nei confronti di V. A., la misura cautelare della custodia in carcere.

Dalla motivazione dei due atti di impugnazione, inoltre, si desume che la V.A. era socia al 16,66% della società ALVIMEAT srl, poi modificatasi in Terre del Sole srl ed, infine, in Iperalvi srl. -società facente parte del Gruppo ALVI-, e ricopri la carica di amministratrice di diritto della società dal giorno 11 febbraio 2004 al 19 dicembre 2006 e, quindi, titolare di una precisa posizione di garanzia.

Infine da tutto il contesto motivazionale del provvedimento impugnato risulta che, secondo i giudici del merito, il V.A. abbia compiuto gli atti di distrazione contestati nei capi di imputazione in concorso con i suoi prossimi congiunti, ovvero in concorso con il figlio e le sorelle, tra le quali la Vi.An., esplicitamente richiamata in motivazione.

Orbene di fronte a tali elementi si deve ritenere che l’impugnazione del pubblico ministero sia stata proposta anche con riferimento alla posizione di Vi.An., e che la omessa indicazione nominativa della stessa nei capi di imputazione provvisoria sia dovuta ad un puro errore materiale.

Per tutte le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato e ciascun ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente a pagare le spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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