Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-06-2012, n. 10633

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’odontoiatra dr. L. sosteneva di avere svolto la propria opera professionale presso lo studio dentistico del La. e della V. e che questi, secondo l’accordo, con l’assistenza del rag. B., dovevano curare gli aspetti contabili e fiscali del L., pagando le spese e provvedendo agli acquisti, per poi rimettergli il residuo netto degli incassi; in cambio il L. sosteneva d’essersi impegnato a commissionare al laboratorio la preparazione degli apparecchi odontoiatrici.

Il professionista, dunque, citò in giudizio il La., la V. e la Giangiotto s.n.c. del B. perchè tutti fossero condannati a pagargli una somma di danaro a titolo di inadempimento contrattuale o di ingiustificato arricchimento.

La domanda fu respinta dal primo giudice con sentenza solo parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Brescia, la quale (differentemente rispetto al primo giudice) ha accertato e dichiarato la validità del rapporto intercorso tra le parti.

Propone ricorso per cassazione il L. attraverso due motivi.

Rispondono con controricorso gli intimati. La Giangiotto ed il L. hanno depositato memorie per l’udienza.

Motivi della decisione

Il primo motivo (vizio della motivazione), sotto un primo profilo, censura la sentenza nel punto in cui afferma che il medico nulla ha provato circa l’accordo da lui stesso dedotto. Sotto un secondo profilo, censura la sentenza nel punto in cui afferma l’inverosimiglianza della tesi del L.. Sotto un terzo profilo, censura la sentenza nel punto in cui afferma che le fatture dei pagamenti effettuati dal La. ai fornitori non fanno che confermare che quest’ultimo, oltre a fornire lo studio attrezzato, provvedeva anche a pagare i costi per lo svolgimento dell’attività professionale. Sotto un quarto profilo la sentenza è criticata laddove afferma che la tesi del L., oltre ad essere inverosimile, è smentita dal testo dell’annuncio da lui stesso pubblicato su un quotidiano (annuncio attraverso il quale fu contattato dal La.) con il quale offriva la sua attività professionale part tinte dietro compenso mensile di L. 2.500.000.

Il motivo è inammissibile per diverse ragioni. Innanzitutto, è lo stesso ricorso (cfr. pagg. 6-7) ad affermare che principale oggetto della controversia è costituito dall’interpretazione del contratto intercorso tra le parti, da eseguirsi (in assenza di un testo scritto) sulla base delle deduzioni delle parti come supportate dagli elementi probatori emersi. Ebbene, se la questione è eminentemente interpretativa la censura avrebbe dovuto essere mossa sotto il profilo della violazione dei canoni ermeneutici contrattuali e non (come, invece, è avvenuto) sotto il profilo del vizio della motivazione.

Per altro verso, anche riguardo a quest’ultimo aspetto deve rilevarsi che il motivo non è rivolto a censurare i vizi propri della motivazione secondo il canone di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, bensì è espresso attraverso la proposizione (peraltro, generica e superficiale) di una serie di questioni di fatto tendenti a conseguire dalla Corte di legittimità una nuova e diversa valutazione del merito della controversia.

Il secondo motivo denunzia la violazione della L. n. 1815 del 1939, artt. 1 e 2, con riferimento al punto della sentenza in cui s’afferma che il contratto in questione non contravveniva le disposizioni delle norme, posto che è stato rispettato il carattere rigorosamente personale dell’attività professionale svolta dal L., il quale era l’unico ad avere contatti diretti con i clienti, ad erogare le prestazioni dentistiche.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sul punto il giudice ha fatto riferimento alla pronunzia delle S.U. di questa Corte (n. 9500 del 1997), la quale spiega che ai divieti della menzionata legge si sottrae tanto la società costituita per offrire un prodotto diverso e più complesso rispetto all’opus del singolo professionista, quanto quella che abbia ad oggetto soltanto la realizzazione e la gestione dei mezzi strumentali per l’esercizio della attività professionale protetta, la quale ultima resti però nettamente separata e distinta dalla organizzazione dei beni di cui si serve, anche sul piano contabile, come può avvenire quando fra la società e il professionista intervenga un contratto in base al quale la prima si obbliga a fornire al secondo tutti i beni strumentali e i servizi accessori che consentono o facilitano (ma non esauriscono) l’elemento specifico dell’attività professionale e il secondo (il quale può anche essere socio della società partecipando alla stessa con una quota del capitale o con il conferimento di uno o più beni) si impegni a pagare un corrispettivo in misura fissa o proporzionale ai suoi proventi, oppure quando, fra la società di mezzi e il professionista abilitato allo svolgimento di attività protette sussista un rapporto di lavoro o di collaborazione professionale coordinata e continuativa. In nessuna di tali situazioni, restando comunque il professionista l’unico soggetto direttamente in contatto con la propria clientela che da lui riceve la prestazioni professionali, vengono infatti compromessi il carattere personalissimo che la prestazione deve avere o il prestigio stesso della professione protetta, ossia quei valori a tutela dei quali è posto il divieto di esercizio delle professioni in forma di società commerciale o di semplice impresa.

Il motivo è, pertanto, infondato siccome il giudice ha fatto applicazione del corretto canone interpretativo. E’ inammissibile laddove introduce una serie di questioni di fatto che si infrangono contro l’accertamento del giudice di merito, che, siccome logicamente e congruamente motivato, sfugge alla censura di legittimità.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente a rivalere la controparte delle spese sostenute nel giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *