Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-06-2012, n. 10624 Recesso del conduttore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 15 gennaio 1993 D.A., premesso di aver locato, per la durata di sei anni a far data dall’1.8.1990, alla società Tailor Srl un immobile costituito da un locale a primo piano per uso ufficio per attività commerciale e/o industriale ed un locale scantinato ad uso deposito, aggiungeva che nel contratto era stata espressamente esclusa la facoltà di recesso anticipato ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27, comma 7; che, ciò malgrado, la conduttrice con raccomandata del 20 giugno 1992 gli aveva comunicato di voler recedere per gravi motivi consistenti nella sopravvenuta inidoneità dei locali a causa del notevole incremento delle commesse, trasferendosi successivamente in altra sede ed omettendo altresì di pagare il canone di gennaio già maturato. Ciò premesso, conveniva in giudizio chiedendo dichiararsi l’illegittimità del recesso con la condanna della conduttrice all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto ed al risarcimento dei danni. In esito al giudizio in cui si costituiva la convenuta il Tribunale adito dichiarava che il recesso era stato esercitato illegittimamente e condannava la convenuta al pagamento delle rate mensili di canone relative al periodo gennaio 1993 – giugno 1994.

Avverso tale decisione proponeva appello la Tailor ed in esito al giudizio, in cui si costituiva l’appellato, la Corte di Appello di Lecce con sentenza depositata in data 31 gennaio 2007 rigettava l’impugnazione. Avverso la detta sentenza la soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste con controricorso il D.. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.

Motivi della decisione

Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione della L. n. 392 del 1970, art. 27, comma 8 e art. 12 disp. gen., la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha trascurato che l’aumento sensibile del fatturato e il conseguente aumento delle unità lavorative – ove documentato – configurano il presupposto dei gravi motivi di recesso anticipato del conduttore, presupponendo l’inadeguatezza dei locali alle nuove esigenze della produzione, che deve essere valutata non in senso assoluto ma con riguardo alla situazione esistente al momento della conclusione del contratto, senza necessità di specifica prova sul punto (così, nel quesito di diritto).

Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia la seconda doglianza, articolata sotto il profilo della motivazione insufficiente e contraddittoria – la Corte territoriale non avrebbe motivato adeguatamente con riguardo alla sopravvenuta inidoneità ed inadeguatezza dei locali del dr. D. rispetto alle mutate esigenze produttive per effetto di commesse tali da determinare la triplicazione del fatturato e l’assunzione di 11 nuovi dipendenti rispetto alla situazione originaria che ne contava sei. (così, nel momento di sintesi) I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro, non sono fondati.

A riguardo, vale la pena di premettere che, a norma della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 27, dettato in tema di locazione di immobili urbani adibiti a uso diverso da quello abitativo, il conduttore, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata, qualora ricorrano gravi motivi. Secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, le ragioni che consentono al locatario di liberarsi del vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la sua prosecuzione; inoltre, con riferimento all’andamento dell’attività aziendale, può integrare grave motivo, legittimante il recesso del conduttore, non solo un andamento della congiuntura economica sfavorevole all’attività di impresa, come è di intuitiva evidenza, ma anche uno favorevole, come nel caso di specie – purchè sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (quando fu stipulato il contratto) – che lo obblighi ad ampliare la struttura aziendale in misura tale da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo" (cfr Cass. n. 10980/1996, n. 3418/04, n. 9443/2010). Ma, nel caso di sopravvenuto andamento favorevole della congiuntura aziendale, i fatti, per essere tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del contratto, devono innanzitutto presentare una connotazione oggettiva, non potendo risolversi nella unilaterale valutazione effettuata dal conduttore in ordine all’opportunità ed alla mera vantaggiosità di continuare a occupare l’immobile locato, poichè, in tal caso, si ipotizzerebbe la sussistenza di un recesso "ad nutum", contrario alìinterpretazione letterale, oltre che allo spirito della suddetta norma. (cfr. Cass. n. 5293/08, n. 5328/07).

A tal fine deve pertanto affermarsi il principio di diritto secondo cui "In tema di recesso del conduttore in base al disposto di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 27, u.c., nell’ipotesi di andamento della congiuntura economica favorevole all’attività di impresa, che obblighi ad ampliare la struttura aziendale così da rendere particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo, non è sufficiente la unilaterale valutazione del conduttore circa la propria convenienza a lasciare l’immobile, a seguito della sopravvenuta restituzione, in suo favore, del possesso di locali, più estesi, di sua proprietà, ma la gravosità della persistenza del rapporto locativo deve essere valutata oggettivamente ed in concreto utilizzando come parametri comparativi da una parte la dimensione e le caratteristiche dell’immobile locato e del nuovo locale e dall’altra le sopravvenute nuove esigenze di produzione e di commercio dell’azienda. Ne consegue che il giudice del merito non può limitarsi a prendere in considerazione il fatto che vi sia stato un aumento del fatturato aziendale o un aumento del personale lavorante, indici di per sè soli, utili ma non sufficienti al fine propostosi, ma deve altresì verificare, sulla base delle prove raccolte – il cui onere spetta al conduttore recedente secondo i principi generali in materia di ripartizione dell’onere probatorio – se nello specifico ed in concreto le caratteristiche dell’immobile oggetto di locazione siano divenute inadeguate alla accresciuta dimensione dell’azienda così da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la prosecuzione del rapporto locativo".

Tutto ciò premesso, mette conto ora di evidenziare che la Corte territoriale si è sostanzialmente attenuta al principio fissato là dove pone a base della decisione la considerazione che "da nessun atto del processo risulta che i locali concessi in locazione non consentissero in maniera adeguata l’esercizio dell’attività, tenuto conto delle nuove dimensioni che questa aveva assunto nel 1992 con l’impiego di n. 17 dipendenti: che anzi l’estensione dei locali locati per una superficie complessiva di mq 476 sembra deporre in senso contrario a quello affermato dall’appellante".

Ciò posto e considerato, risulta con chiara evidenza come la Corte territoriale abbia argomentato adeguatamente sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Nè d’altra parte i motivi in esame sono riusciti ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione.

Giova aggiungere inoltre che la sussistenza o meno degli elementi che rendono particolarmente gravosa la prosecuzione del rapporto locativo, come uno dei presupposti necessari perchè siano ravvisabili i gravi motivi che legittimano il recesso del conduttore L. n. 392 del 1978, ex art. 27, u.c., non può che essere rimessa all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso in esame, è sorretto da congrua e coerente motivazione. Ne deriva l’infondatezza delle doglianze esaminate.

Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio statuito, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.700.00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2012

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