Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-06-2012, n. 10621 Assicurazione sulla vita Prescrizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 10 marzo 2000 B.G. M., in proprio e quale procuratrice speciale della sorella B.P., conveniva in giudizio la Mediolanum Assicurazioni Spa esponendo che il loro zio prof. C.D., assassinato il (OMISSIS), aveva stipulato con la compagnia convenuta una polizza in cui era stato pattuito, per il caso di morte dell’assicurato conseguente ad infortunio, l’indennizzo di L. 400 milioni da liquidarsi in loro favore. Ciò premesso, chiedeva condannarsi la convenuta a corrispondere a ciascuna di esse il 50% dell’importo, oltre rivalutazione ed interessi, nonchè a risarcire in loro favore i danni ex art. 96 c.p.c.. In esito al giudizio in cui si costituiva la convenuta il Tribunale di Milano rigettava la domanda attrice per intervenuta estinzione per prescrizione del diritto. Avverso tale decisione le soccombenti proponevano appello ed, in esito al giudizio, in cui si costituiva la Mediolanum, la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 22 febbraio 2007 rigettava l’impugnazione proposta.

Avverso la detta sentenza le soccombenti hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso la Mediolanum.

Motivi della decisione

Con l’unica doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175, 1341, 2935, 2941, 2952, 1362, 1366, 1370 c.c., sotto il profilo della motivazione insufficiente e contraddittoria, le ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello confermato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto estinto per prescrizione il loro diritto alla liquidazione dell’indennizzo, laddove, evitando di limitarsi ad una interpretazione letterale dell’art. 14 de quo, valutando il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, interpretandolo secondo buona fede e tenendo in considerazione che le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti s’interpretano, nel dubbio, a favore dell’altro, sarebbe pervenuta ad una soluzione diversa.

In definitiva, per effetto della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale, la Corte – questa, la conclusione delle ricorrenti – era incorsa in una falsa applicazione dell’art. 2941 c.c., regolante i casi di sospensione della prescrizione, trascurando che, nel caso di specie, la prescrizione non era iniziata a decorrere per effetto dell’obbligo contrattuale – imposto alle ricorrenti dall’art. 14 – di non opporsi agli accertamenti ritenuti necessari fino alla chiusura delle indagini penali.

Hanno quindi concluso l’unico motivo di impugnazione con i seguenti distinti quesiti di diritto:

1) Dica la Corte Eco.ma se risultino violati, o comunque falsamente applicati, l’art. 1362 c.c., comma 2 e art. 1366 c.c., anche in relazione all’art. 1175 c.c., per non avere la Corte d’Appello di Milano, nell’ambito della attività ermeneutica finalizzata alla individuazione della comune intenzione delle parti, ritenuto come ispirato a buona fede il comportamento della Mediolanum ossia come finalizzato ad avvalersi della facoltà contrattuale, ad essa attribuita dall’art. 14 della Polizza, di sospendere l’esecuzione del contratto in attesa degli accertamenti ritenuti necessari, e non quindi come teso ad indurre le controparti ad omettere gli atti di messa in mora necessari per evitare il maturare della prescrizione.

2) Dica la Corte Ecc.ma se nella specie risultino violati, o comunque falsamente applicati, l’art. 1341 c.c. e art. 1362 c.c., e segg., per essersi la Corte d’Appello di Milano limitata ad interpretare la clausola contrattuale di cui all’art. 14 della Polizza sulla base del solo ritenuto chiaro tenore letterale del titolo della stessa e non anche indagando – tramite tutti i criteri ermeneutici previsti dalla legge – sulla effettiva comune intenzione delle parti, cosi giungendo ad attribuire alla clausola anzidetta un contenuto non conforme a quello tipizzato dall’art. 1341 c.c. per le clausole vessatorie, nonostante la esplicita qualificazione in tal senso, contenuta nel contratto, della clausola medesima. 3) Dica la Corte Ecc.ma se nella specie risulti violato, o comunque falsamente applicato, l’art. 1370 c.c., per avere la Corte d’Appello privilegiato un’interpretazione di una clausola vessatoria contro il contraente debole, avendo ritenuto che il contraente debole, oltre a dover soggiacere alla facoltà contrattuale del contraente forte di sospendere la prestazione, aveva altresì l’onere di mettere in mora il contraente forte per evitare il maturarsi della prescrizione, ponendo in essere la Corte d’Appello, in tal modo, sia la violazione dell’art. 2935 c.c. – per aver ritenuto decorrente la prescrizione pur nel periodo di legittima sospensione della esecuzione del contratto – sia, conseguentemente, la violazione dell’art. 2941 c.c., per avere applicato la normativa relativa alla sospensione della prescrizione, pur in presenza di una fattispecie in cui la prescrizione non era neppure iniziata a decorrere".

Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per svariate ragioni:

1) in primo luogo, per la formulazione di quesiti plurimi non riconducibili ad unitarietà (tra le altre cfr Cass. n. 547/08, Cass. n. 1906/08).

2) in secondo luogo, per la mancanza del momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), riguardo al profilo motivazionale, momento di sintesi, volto a circoscriverne puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

3) in terzo luogo, per la violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6:

ciò, in quanto le ricorrenti non hanno osservato l’onere della specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, n. 6, previsto dalla norma a pena di inammissibilità del ricorso, avendo omesso di specificare nel ricorso stesso in quale sede processuale i documenti cui accenna sarebbero stati prodotti. Ed appena il caso di chiarire che indicare un documento significa, necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove è rintracciabile nel processo (cfr. Cass. ord. 29279/08). Sul punto, le Sezioni Unite hanno ribadito che la specifica indicazione richiesta postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, che esso sia prodotto in sede di legittimità (Sez. Un. 28547/08, 23019/07).

4) in quarto luogo, perchè, pur deducendo violazione di legge e vizio motivazionale, le ricorrenti mirano nella sostanza delle cose ad una nuova valutazione delle risultanze processuali. Ed invero, le ragioni di doglianza formulate come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo nè evidenziano effettive carenze o contraddizioni nel percorso motivazionale della sentenza impugnata bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito. Ed è appena il caso di sottolineare che la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito per cui deve ritenersi preclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa. 5) infine, perchè le ricorrenti si sono limitate a contrapporre una propria interpretazione a quella proposta dal Giudice di merito, senza indicare in termini specifici come e perchè le regole legali di ermeneutica sarebbero state violate. Invero, il ricorrente non può limitarsi a fare astratto richiamo al canone che, a suo avviso, sarebbe stato inosservato ma ha l’onere di spiegare perchè, a suo avviso, l’interpretazione della clausola sarebbe stata condotta con criteri diversi da quelli previsti dalla legge e di chiarire per quali ragioni ritiene che la comune intenzione dei contraenti non sarebbe stata determinata secondo le regole fissate dal legislatore, indicando specificamente il punto ed il modo in cui l’interpretazione si sarebbe discostata dai canoni di ermeneutica.

Giova aggiungere, sia pure per incidens, che secondo l’orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende aderire, il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., allorchè – nel primo comma – prescrive all’interprete di indagare sulla comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto. Lo stesso, anzi, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza e univocità la volontà dei contraenti e non vi è divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile. Solo allorchè le espressioni letterali del contratto non sono chiare, precise e univoche, è consentito al giudice ricorrere agli altri elementi interpretativi indicati dall’art. 1362 c.c., che hanno carattere sussidiario. (Cass. n. 2331/2012).

Alla stregua delle superiori considerazioni, il ricorso per cassazione in esame deve essere dichiarato inammissibile. A tale declaratoria consegue la condanna delle ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna le ricorrenti in solido alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese processuali che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2012

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