Cass. civ. Sez. III, Sent., 26-06-2012, n. 10618

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 5/12/1995 la società Asta Fruttaldedo s.r.l. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano le società Winterthur Assicurazioni S.p.a, Maa Assicurazioni s.p.a. e Assint Assicurazioni Internazionali s.p.a. chiedendo la condanna delle stesse, ciascuna per la rispettiva quota, al pagamento della somma complessiva di L. 3.186.499.723 oltre accessori nonchè al risarcimento dei danni patiti da essa attrice. All’uopo esponeva: di avere stipulato con la Winterthur una polizza di assicurazione contro i danni da incendio per rischi industriali con relativa appendice;

che le altre convenute Maa e Assint si erano rese coassicuratrici con l’impresa sopra nominata; che in data (OMISSIS) in (OMISSIS), presso la sua sede, si era verificato un incendio che aveva provocato ingenti danni, soprattutto agli immobili; che, in conformità all’art. 18 delle condizioni generali di polizza, in data 18/6/1993 le parti avevano nominato i rispettivi periti per concordare l’ammontare del danno subito; che, in adempimento del mandato loro conferito, i periti avevano provveduto alla stima e alla liquidazione del danno, stabilendo che l’attrice andasse creditrice nei confronti delle dette imprese assicurative della somma complessiva di L. 3.186.499.723; che i solleciti di pagamento nei confronti delle debitrici non avevano sortito alcun effetto. In esito al giudizio, in cui si costituivano le convenute eccependo il difetto di legittimazione attiva e deducendo l’infondatezza della domanda, il Tribunale adito dichiarava che null’altro era dovuto all’attrice oltre la somma di L. 388.679.579 versata nelle more, respingendo la domanda attrice in ordine alla maggior somma richiesta. Avverso tale decisione proponevano appello principale l’Asta Fruttaldedo ed appello incidentale la società Helvetia quale cessionaria delle Assicurazioni Internazionali Spa. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 12 giugno 2007 respingeva i gravami interposti.

Avverso la detta sentenza la Asta Fruttaltedo ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Resistono con controricorso la Helvetia e la Milano. Sia la ricorrente che la Helvetia hanno depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

In via preliminare va rilevata la tardività della notifica, alla ricorrente, del controricorso presentato dalla Milano Assicurazioni Spa. A riguardo, è utile evidenziare che, in base al dettato dell’art. 370 c.p.c., la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso, deposito che a sua volta secondo la previsione dell’art. 369 c.p.c., deve essere effettuato nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.

Ciò considerato, posto che il ricorso è stato notificato il 15 novembre 2007 e che il controricorso è stato notificato il 14 gennaio 2008 risulta con tutta evidenza la tardività cui si fatto cenno con la conseguenza che, in difetto di tempestiva notifica del controricorso, alla Milano Assicurazioni era consentito soltanto partecipare alla discussione orale.

Esaurita tale questione preliminare, al fine di una più agevole comprensione dei termini della vicenda, torna opportuno premettere che le ragioni della controversia tra le parti attengono all’identità dei beni oggetto della copertura assicurativa, con riferimento specifico ad un terzo corpo di fabbrica, non ancora edificato al momento della stipula del contratto in data 9 maggio 1989, il quale, ad avviso della ricorrente, sarebbe invece rientrato nella copertura assicurativa per effetto della successiva appendice di polizza stipulata il 10 novembre 1989.

Ciò premesso, va osservato che, con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 2725, 1888 c.c., art. 115 c.p.c., parte ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto inammissibile, oltre che irrilevante, la prova testimoniale dedotta dalla Asta Fruttaldedo a motivo che "taluni capitoli di prova" erano "relativi a contratti da provarsi per iscritto".

Ed invero – così, in sintesi, la ragione di doglianza – le prove testimoniali dedotte erano dirette a provare, non l’esistenza del contratto, ma il vero intendimento delle parti mirante alla modifica del contratto di assicurazione tramite l’appendice di polizza convenuta l’11 ottobre 1989.

Ha quindi concluso il motivo di impugnazione con il seguente quesito di diritto: "Dica l’Ecc.ma Suprema Corte adita: se l’art. 1888 c.c., anche in relazione all’art. 2125 c.c., nel prescrivere la prova scritta ad probationem del contratto di assicurazione, non impedisca la prova per testimoni per interpretare e chiarire quale sia stata la comune intenzione delle parti che lo stipularono".

La censura è inammissibile. All’uopo, torna utile premettere che l’ammissibilità del motivo del ricorso per cassazione è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (S.U. 28054/08), dovendo escludersi che il quesito possa essere integrato dalla Corte attraverso un’interpretazione della motivazione (Cass. 14986/09). Infatti, il quesito non può consistere, come è avvenuto nel caso di specie, in un’affermazione di diritto astratta e generica, avulsa dal caso concreto e comunque non compiutamente correlata con il contenuto della doglianza, ma deve contenere in sintesi l’esposizione degli elementi di fatto nella loro essenzialità, l’indicazione della regola di diritto applicata dal giudice di merito, in una alle ragioni della pretesa violazione e/o falsa applicazione di legge, nonchè l’indicazione della la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

In difetto di tali requisiti, la censura deve essere dichiarata inammissibile.

Passando all’esame della seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1337, 1362, 1363, 1366, 1370, 1375, 2697, 2721, 2722, 1888 c.c., artt. 115, 116 c.p.c., nonchè sotto il profilo del difetto della motivazione ed omesso esame di fatti e documenti decisivi, deve osservarsi che la ricorrente lamenta che la Corte non avrebbe esaminato il contenuto di due fondamentali documenti, quali l’appendice di polizza stipulata l’11 ottobre 1989 ed il contratto di finanziamento n. (OMISSIS), omettendo di motivare sui seguenti fatti controversi: 1) se l’appendice includesse o meno il fabbricato di cui è causa 2) se fosse vero che in detta appendice la volontà delle parti di elevare i valori di polizza non fu affatto esplicitata quanto alle ragioni che l’avevano determinato.

Ha quindi concluso il motivo con i due seguenti quesiti: "Dica l’Ecc.ma Suprema corte adita: se la circostanza che il contratto di assicurazione debba essere provato per iscritto non impedisca l’applicazione del capoverso dell’art. 1362 c.c., secondo cui il giudice può determinare l’oggetto del contratto in base ad elementi risultanti al di fuori del contratto stesso; se l’art. 2722 c.c., nel prescrivere il divieto della prova testimoniale avente ad oggetto patti (aggiunti) o contrari al contenuto di un documento, non impedisca la prova per testi ove essa non sia volta ad ampliare, modificare o alterare la disciplina obiettiva prevista nel contratto stipulato per iscritto ma abbia ad oggetto elementi di mera integrazione e chiarificazione del contenuto della volontà negoziale".

La doglianza non è fondata. Al riguardo, vale la pena di premettere che le ragioni della decisione, con cui la Corte di Appello ha confermato la sentenza di rigetto della pretesa indennitaria resa in primo grado, sono state fondate sulla base di molteplici considerazioni che possono così riassumersi: 1) in primo luogo, nella descrizione delle cose assicurate contenuta nella polizza si faceva espresso riferimento ai soli "fabbricati ivi esistenti"; 2) nella successiva appendice non fu fatto alcun cenno ad un nuovo fabbricato, circostanza che invece sarebbe stata certamente specificata se le parti avessero voluto ampliare l’oggetto del contratto assicurativo; 3) la ragione della mancata indicazione era estremamente semplice, derivando dal fatto che la realizzazione ed il completamento del nuovo fabbricato fu successiva alla stipula della polizza; 4) il capannone era in metallo e, presentando caratteristiche ben diverse da quelle altre descritte nella polizza, doveva considerarsi una nuova entità immobiliare. Inoltre – e si trattava di un rilievo invero decisivo – al momento della sottoscrizione dell’appendice di polizza avvenuta nell’ottobre 1989, il nuovo fabbricato non esisteva ancora, come risultava da un inoppugnabile riscontro documentale, costituito dalla "denuncia di fine lavori in data 29 marzo 1990", redatta dal direttore dei lavori relativi al terzo corpo di fabbrica, affidati dalla Asta Fruttaltedo.

Non v’era dubbio quindi – questa la conclusione della Corte di merito – che nel momento in cui venne sottoscritta la appendice di polizza – il terzo corpo di fabbrica, che poi sarebbe stato interessato dal sinistro, non poteva essere incluso tra i fabbricati ivi esistenti descritti in contratto tra le cose assicurate. Ciò, senza considerare che una compiuta descrizione del nuovo fabbricato – ove i contraenti avessero inteso inserirlo tra i beni assicurati malgrado il completamento non ancora avvenuto e distante nel tempo -sarebbe stata assolutamente indispensabile perchè le caratteristiche costruttive dei beni coperti dalla assicurazione, aventi le strutture portanti del tetto in laterizio e/o cemento armato ed erano coperti da tetto in cemento armato e laterizi (così, nella polizza) differivano pressochè integralmente da quelle proprie del nuovo fabbricato, costruito con materiali prevalentemente in metallo, con la conseguenza di concretare un diverso rischio di perimento del bene, suscettibile di alterare il sinallagma contrattuale.

La lunga premessa torna assai utile perchè consente di apprezzare come la motivazione della sentenza impugnata sia stata assolutamente ben articolata, coerente, senza peraltro presentare traccia del mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia nè conflittualità tra le argomentazioni svolte, onde l’infondatezza del vizio motivazionale lamentato dalla ricorrente.

Ed è appena il caso di aggiungere che l’interpretazione dei documenti prodotti in giudizio – e della volontà delle parti in essi trasfusa – costituisce attività discrezionale del giudice di merito la quale, risolvendosi in un tipico accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità soltanto in presenza di vizi della motivazione, nella specie insussistenti alla luce di quanto evidenziato in precedenza, oppure in caso di violazione dei criteri dell’ermeneutica contrattuale, profilo di doglianza che deve essere ugualmente escluso, essendosi parte ricorrente limitata a contrapporre, nella sostanza delle cose, una sua interpretazione alternativa o, comunque, diversa – rispetto a quella del Giudice di merito, senza considerare che a questa Corte non è consentito di procedere alla diretta interpretazione degli atti in quanto la valutazione degli elementi di prova attiene al libero convincimento del giudice di merito.

Quanto infine all’ultimo dei sub profili di doglianza,esattamente quello afferente alla pretesa errata applicazione dell’art. 2722 c.c., va osservato che se è vero che, nel caso di contratto per il quale sia richiesta, ad probationem la forma scritta, come accade per il contratto di assicurazione, il giudice può ammettere la prova testimoniale ove questa sia finalizzata a determinare l’oggetto del contratto, non può trascurarsi in senso contrario che ogni giudizio riguardante la sussistenza o meno della necessità di ricorrere alla prova per testi, al fine di chiarire la volontà delle parti sul punto, è rimesso all’esercizio del potere di valutazione discrezionale, riservato dalla legge in via esclusiva al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi motivazionali.

Resta da esaminare la terza ed ultima doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione delle norme sulla interpretazione dei contratti e sulla esecuzione in buona fede, con cui la ricorrente lamenta che la Corte territoriale sarebbe "incorsa in molteplici violazioni e false applicazioni di norme di legge ed in illogiche ed incongrue valutazioni dei fatti, frutto di inadeguata ed erronea interpretazione degli elementi probatori acquisiti nel corso del processo". Il motivo di impugnazione è stato infine concluso con il seguente quesito di diritto: "Dica l’Ecc.ma Suprema corte adita:

se la presenza di clausole contrattuali, comunemente denominate "appendice di vincolo", in virtù delle quali il finanziatore dell’acquisto di un bene assicurato ha diritto di soddisfarsi sull’indennizzo assicurativo, qualora si veri fichi il sinistro e finchè sussista il suo credito, siano espressione della interdipendenza tra il contratto di finanziamento e quello di assicurazione; se, dall’analisi complessiva dell’operazione economica creata dalle parti si possano dedurre sia la notorietà e condivisione fra le parti, sia i criteri ermeneutici conclusivi".

La doglianza è inammissibile per un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, per difetto di correlazione con la ratio decidendi, come debitamente evidenziata nell’esame del precedente motivo di impugnazione. In secondo luogo, l’inammissibilità deriva dal rilievo che le ragioni di doglianza, formulate dalla ricorrente, come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito;

nè evidenziano effettive carenze o contraddizioni nel percorso motivazionale della sentenza impugnata ma, riproponendo l’esame degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali, trascurando che a questa Corte non è riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida, in favore della Helvetia Comp. Svizzera Assicurazioni e della Milano Assicurazioni, rispettivamente, in Euro 10.200,00 ed Euro 7.700.00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2012

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