CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 13 luglio 2011, n.15394 TORNEI AMATORIALI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., e relativo difetto di motivazione in relazione alla ritenuta legittimazione passiva dell’odierna ricorrente, anche con riferimento agli art. 36 e 38 c.c.; si censura in particolare la non ritenuta autonoma soggettività giuridica dei Comitati Provinciali con legittimazione processuale distinta da quella dell’Associazione Nazionale, anche in relazione alla normativa civilistica sopra richiamata.

Con il secondo motivo si deduce violazione delle norme di cui al d.m. 28.2.83 e al d.m. 12.2.82 in tema di tutela dell’attività sportiva anche con riferimento all’attività sportiva in questione erroneamente ritenuta quale agonistica; si afferma in particolare che censurabile è la decisione impugnata nel punto in cui ha ritenuto negligente la condotta del responsabile del Comitato Provinciale di Asti in ordine all’omessa verifica del possesso da parte del Va. del certificato medico, proprio in considerazione di detta natura agonistica del torneo calcistico in questione.

Con il terzo motivo si deduce difetto di motivazione in ordine alla effettiva idoneità dei controlli medici ad accertare la patologia cardiaca del Va. anche con riferimento alla violazione dell’art. 2049 c.c. Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze.

Quanto al primo motivo si osserva che, nel caso in esame, l’individuazione dell’autonoma o meno legittimazione passiva del Comitato Provinciale di Asti, organizzatore dell’evento sportivo, sulla base delle risultanze documentali di causa, tra cui gli statuti sia ‘nazionale’ che ‘provinciale’, configura una quaestio facti non censurabile nella presente sede di legittimità e su cui la Corte di merito ha fornito ampia e logica motivazione, affermando in particolare che ‘l’autonomia patrimoniale e finanziaria e l’indipendenza amministrativa riconosciute dall’art. 33 agli organismi locali vanno quindi interpretate restrittivamente, in assenza di un patrimonio di riferimento su cui si proietti la responsabilità patrimoniale, e quindi nell’ottica di una mera autonomia di gestione di risorse di cui agli organi locali hanno materiale disponibilità ma non la titolarità effettiva.

La Corte ritiene pertanto che l’ambiguità dello Statuto, essenzialmente ingenerata dal contrasto fra l’art. 33 e il resto delle disposizioni (e in particolare le norme che disciplinano l’unicità del patrimonio) debba essere risolta in senso favorevole ai terzi che vengano a contatto giuridicamente rilevante con l’Associazione, che hanno diritto di pretendere trasparenza, inequivocità e chiarezza nelle norme costitutive che conformano la soggettività giuridica, che non hanno contribuito a creare e a cui sono estranei. Se persiste ambiguità interpretativa, massime in materia di responsabilità aquiliana, essa va risolta in senso protettivo del legittimo affidamento del terzo e in pregiudizio dell’Associazione che non ha redatto norme chiare nel costruire la soggettività delle sue articolazioni territoriali’.

Deve aggiungersi che la Corte di merito ha correttamente interpretato sia il principio che ‘l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute’ ex art. 36 c.c. ‘sono regolati dagli accordi degli associati’, in quanto è proprio sull’interpretazione di tali accordi statutari che si incentra la decisione impugnata sul punto, sia il principio della tutela (patrimoniale) dei terzi, ex art. 38 c.c., ‘per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione’, dando rilievo al relativo ‘affidamento’ che gli stessi terzi facciano nei confronti di tali enti in ordine alla individuazione dei soggetti responsabili, affidamento che non può essere ostacolato da norme statutarie di non facile interpretazione.

Va ancora rilevato che, nella fattispecie in esame, non siamo in presenza di una figura associativa unica per la quale risulti agevole ovviamente sostenerne l’autonoma soggettività, non solo sulla base della normativa codicistica ma anche costituzionale (con particolare riferimento all’art. 2 Cost.) come già affermato da questa Corte (in particolare con la sentenza n. 8239/2000), ma si evidenzia una struttura associativa complessa costituita da una entità nazionale che ingloba in sé varie diramazioni ‘locali’, come del resto individuata dai giudici di secondo grado anche in base alla denominazione di detta struttura quale A.C.S.I. – Associazione Centri Sportivi Italiani; in definitiva, ai fini della responsabilità in questione, la soggettività giuridica è unica e, di conseguenza, spetta a quest’ultima, quale ente sovraordinato, la legittimazione passiva nella presente controversia.

Quanto al secondo e al terzo motivo la ratio decidendi impugnata con tali censure è riconducibile alle seguenti affermazioni: ‘la responsabilità dell’A. discende specificamente dal fatto di aver consentito il tesseramento dei giocatori in difetto del certificato di idoneità fisica, che di fatto non veniva controllato, a quanto emerso dalla prassi secondo cui i certificati venivano trattenuti dalle singole società sportive, mentre solo i responsabili più scrupolosi dei club ne inviavano una fotocopia all’Acsi (come si evince dall’audizione come testi di alcuni presidenti di squadre di calcio affiliate all’Acsi e partecipanti allo stesso campionato).. La stessa norma, dopo aver definito il concetto di attività agonistica riconducendola allo svolgimento di campionati e tornei organizzati dagli Enti di promozione per calciatori sopra i 14 anni, chiarisce che per la certificazione sono necessari visita medica, esame completo delle urine, elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo, pirografia (come richiesto anche dal d.m. 18.2.1982). E quindi in buona sintesi, la responsabilità degli organi territoriali dell’Acsi scaturisce dall’aver consentito la partecipazione al Campionato in questione di un giocatore, che era stato tesserato su richiesta della società affiliata, omettendo di procedere alla preventiva visita medica e agli esami connessi (che avrebbero sicuramente rivelato la patologia ostativa) e dall’essersi astenuti dal pretendere per il tesseramento, come era previsto, la documentazione relativa (cfr art. 27 lettera e dello Statuto e art. 2 Regolamento nazionale Acsi)’.

Tale ratio non è censurabile in quanto, a parte la corretta applicazione dell’art. 2049 c.c. ad una associazione sportiva organizzatrice di un torneo di gioco (sul punto già Cass. n. 85/2003), per cui gli enti sportivi sono tenuti a tutelare la salute degli atleti anche attraverso la prevenzione di eventi pregiudizievoli la loro integrità psicofisica e ne rispondono, in base al disposto di detta norma e dell’art. 32 Cost., in relazione all’operato dei propri medici e del personale, deve rilevarsi che correttamente è stato ritenuto dalla Corte territoriale sia che l’attività in questione è da qualificarsi come agonistica sia che l’omessa acquisizione di certificazione medica riguardante il Va., ai fini della partecipazione al torneo, ha determinato il sorgere della responsabilità in questione a carico dell’A.e.s.i..

Non può infatti non ritenersi agonistico un torneo sportivo fondato sulla gara e sulla competizione tra i partecipanti, come il torneo di calcio in questione, tale da implicare un maggior impegno psicofisico ai fini del ‘prevalere’ di una squadra su un’altra.

Ne consegue che pienamente applicabile sono le norme di cui al decreto 18.2.1982 in tema di ‘tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica’ con particolare riferimento all’art. 1, ove è previsto che ‘ai fini della tutela della salute coloro che praticano attività sportiva agonistica devono sottoporsi previamente e periodicamente al controllo dell’idoneità specifica alla sport che intendono svolgere o svolgono’, e all’art. 3 che statuisce che ‘ai fini del riconoscimento dell’idoneità specifica ai singoli sport i soggetti interessati devono sottoporsi agli accertamenti sanitari previsti, in rapporto allo sport praticato, nelle tabelle A e B di cui all’allegato 1 del presente decreto, con la periodicità indicata nelle stesse tabelle. Il medico visitatore ha facoltà di richiedere ulteriori esami specialistici e strumentali su motivato sospetto clinico. Gli sport non contemplati nelle sopraccitate tabelle sono assimilati, ai fini degli accertamenti sanitari da compiersi, a quello che, tra i previsti, presenta maggiore affinità con il prescelto dell’interessato’.

Pertanto, il non aver l’A.c.s.i. predisposto un regolamento del torneo con la previsione dell’obbligo di visita medica e il non aver detta associazione sottoposto a visita medica il Va. o quantomeno chiesto idonea ed adeguata certificazione medica ai fini della partecipazione a detto torneo, di natura agonistica, comporta il sorgere della responsabilità ex art. 2049 e. e. (poiché ove tali adempimenti fossero stati eseguiti con elevata probabilità il V. non avrebbe potuto partecipare alla gara e non sarebbe deceduto), con consequenziale obbligo al risarcimento dei danni, così come stabilito dalla Corte di merito.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’A.c.s.i. al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi Euro 7.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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