Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-11-2011) 05-12-2011, n. 45292

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Sull’appello proposto dal PM presso il Tribunale di Torino e, tra gli altri, per quel che qui interessala C.C., M. I., M.S.G., CU.RI., F. C. e L.C. avverso la sentenza della Corte d’Assise di Torino in data 19-12-2008 che, in ordine a varie ipotesi delittuose, collocate in un ampio arco temporale dal (OMISSIS) e ricomprendenti violazione dell’art. 416 bis c.p., vari omicidi, violazione di leggi sulle armi, ricettazione, estorsione, rispettivamente contestate ai predetti imputati appellanti, pronunciava decisioni assolutorie in ordine ai fatti omicidiari, negando la comprovata sussistenza anche di taluni altri reati come rispettivamente contestati agli imputati ed affermando la comprovata sussistenza della colpevolezza dei predetti in ordine agli addebiti di associazione di tipo mafioso, riqualificati in termini di associazione a delinquere semplice e degli altri reati loro contestati, condannando ciascuno alla pena principale ed accessoria ritenuta di giustiziala Corte d’Assise d’Appello di Torino, con sentenza in data 11-16-2010, in parziale riforma del giudizio di 1^ grado, in accoglimento dell’appello del PM, dichiarava C., CU., M.S.G., M.I. e L. colpevoli del reato di cui all’art. 416 bis c.p., inizialmente contestato rispettivamente ai capi P) e G), escluso per il M. I. il contestato ruolo di dirigente e, ritenuta la sussistenza dell’aggravante di esser si avvalsi delle condizioni previste ex art. 416 bis c.p. con riferimento al capo N) (concorso in estorsione pluriaggravata) ed esteso tale reato anche in danno di F. C., con esclusione della continuazione interna, nei confronti di M.S.G. e M.I., rideterminava la pena principale ed accessoria nei confronti dei rispettivi imputati, secondo il relativo dispositivo di sentenza qui da intendersi integralmente richiamato, anche in ordine alle statuizioni civili a carico del F..

Avverso tale sentenza gli anzidetti imputati, tutti a mezzo dei rispettivi difensori ad eccezione del F. in proprio, hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo a rispettivi motivi di gravame:

C.:

Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p. di cui al capo F) della sentenza nonchè in relazione ai reati di cui ai capi Q1 e Q12 della sentenza concernenti possesso e detenzione di armi, ed in riferimento alla determinazione della pena base. In particolare, quanto alla censurata configurabllità del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso,il ricorrente ha testualmente sottelineato che: "non basta…l’uso della violenza o della minaccia, che può essere previsto come elemento costitutivo dei delitti programmati – altrimenti tutte le associazioni criminose aventi nel programma tali delitti diventerebbero automaticamente di tipo mafioso – ma è necessario che la forza intimidatrice sia non solo componente strumentale del programma criminoso ma anche espressione dello stesso vincolo associativo e sia diretta a creare nel territorio condizioni di assoggettamento tali da rendere difficile lo intervento, preventivo e repressivo, dei poteri dello Stato e da creare una diffusa omertà" (cfr. fol. 5 ricorso).

Ciò premesso, ritiene il ricorrente che l’impugnata sentenza dia, in termini del tutto apodittici, per sussistenti e compravati i predetti requisiti, senza dare contezza in compiuta motivazione, delle contraddizioni con quanto motivatamente precisato sul punto dalla sentenza di 1^ grado. Quanto ai reati concernenti le armi,il ricorrente ha sottolineato l’assenza di motivazione logica e fedelmente aderente alle risultanze istruttorie, non da ultimo a quelle peritali, militanti a favore dell’imputato, in termini di estraneità ai fatti,anche secondo la ricostruzione logica, modale e temporale degli stessi, tutti convergenti versa evidente responsabilità di altri ( F.).

Infine, quanto alla misura del trattamento sanzionatorio, si è dedotto che, in assenza di un’ancorchè "sintetica motivazione", giudici di appello si sono apprezzabilmente allontanati dai termini afferenti i minimi edittali, senza giustificazione alcuna alla pur necessarie valutazioni delle circostanze di cui all’art. 133 c.p..

M.I.:

1) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale segnatamente riferita all’inosservanza e erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., in ordine alla valutazione della chiamata in correità relativa alle dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia M.A.P..

In particolare il ricorrente, con ampio argomentare circa i criteri valutativi delle chiamate in correità, segnatamente riferite a fonti collaborative di giustizia, ha sottolineato che è stato immotivatamente trascurato il pur doveroso ed analitico vaglio di attendibilità intrinseca ed estrinseca del narrato di tale collaboratore e, prima ancora, della credibilità soggettiva dello stesso, tenuto conto delle puntuali controdeduzioni difensive, già specificamente svolte nei motivi di appello,a supporto della inaffidabilità della cennata chiamata in correità;

2) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con particolare riferimento all’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 416 bis c.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 conv.to in L. n. 203 del 1991 in ordine alla sussistenza del reato di cui al capo F) di imputazione. Al riguardo il ricorrente,in relazione ad una disamina dei criteri prontati alla valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi tipicizzanti il reato associativo di stampo mafioso e della relativa metodologia, ha testualmente dedotto che il giudice di appello, al fine di argomentare la ritenuta sussistenza della "forza di intimidazione del vincolo associativo", opera "un’inammisibile relazione di omologia" tra la metodologia utilizzata dal "gruppo", in relazione alle estorsioni e la forza di intimidazione che il presunto sodalizio, cui apparterrebbe il ricorrente,avrebbe sviluppato erga omnes come dimostrazione circa la sussistenza delle "condizioni di assoggettamento e di omertà" che deve necessariamente derivare dallo essersi avvalsi i sodali della "forza di intimidazione" anzidetta, fermo restando che, in ogni caso, l’impugnata sentenza si riferisce – al riguardo – sempre e comunque al solo reato di estorsione di cui al capo N), operando così, un’inammissibile "ricostruzione strutturale del reato de quo".

M.S.G.:

1) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 192 c.p.p. per mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 416 bis c.p., posto che la ritenuta sussistenza del reato associativo di stampo mafioso ascritto al ricorrente poggia su di una fonte accusatoria del tutto inattendibile e censurabile in relazione al contributo offerto dal richiamato collaboratore di giustizia M.A.P., affatto supportabile quanto a riscontro dal richiamo al contenuto di intercettazioni di cui il predetto già sapeva il contenuto, sicchè alcun valido "collante" all’accusa poteva emergere da detta valutazione. Una corretta lettura di tali elementi, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto logicamente imporre la conclusione che il ricorrente, lungi dall’essere inserito nel contestato consesso associativo mafioso, altro non era che un soggetto svolgente un ruolo di "paciere" nei fatti estorsivi, non trascurandosi la confermata assoluzione per l’omicidio Fo., a supporto di una inammissibile "coptazione" del ricorrente nel detto reato associativo di stampo mafioso;

2) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di estorsione, posto che, alla stregua di una ricostruzione in fatto dei termini modali e temporali della vicenda, in corretto richiamo con una doverosa valutazione di inattendibilità delle accuse del M.A.P. e senza trascurare l’assoluzione per i fatti omicidiari relativi al Fo., la decisione di condanna assunta dalla Corte è del tutto illogica,avendo ricostruito l’episodio estorsivo "fornendo una chiave di lettura di conversazioni nelle quali si parla di fatti che sarebbero accaduti tempo prima e dando per certi rapporti tra i parlanti i cui contorni non sono stati mal verificati";

3) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 62 bis c.p. per illogicità della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e per mancanza di motivazione in ordine alla scelta del trattamento sanzionatorio, con una pena base sensibilmente ed immotivatamente discostantesi dal minimo edittale;

CU.Ri.;

1) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al reato associativo di cui all’art. 416 bis c.p., avendo erroneamente ed immotivatatamente la corte di appello attribuito al ricorrente un’asserita, comprovata compartecipazione al consesso associativo di stampo mafioso, sulla base di una inattendibile fonte d’accusa riferibile alle dichiarazioni del M.A.P., affatto supportate da riscontri oggettivi esterni, con richiamo in fatto delle cennate dichiarazioni a supporto della ritenuta inattendibilità ed illogicità delle stesse anche in punto di corretta ricostruzione storico modale dei fatti esposti;

2) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai reati di ricettazione e detenzione di armi e veicolo, posto che, ad avviso del ricorrente che ha richiamato gli sviluppi modali e temporali dai fatti attinenti dette imputazioni,anche in relazione ai rilevi di p.g. e peritali, non era dato comprovatamente ritenere l’imputato coinvolto in detti reati solo sulla base del "semplice rinvenimento di un’impronta del suo dito sulla parte esterna di un guanto di plastica" rinvenuto in occasione del sequestro di veicoli ed armi;

3) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e per mancanza di motivazione sulla denegata unificazione in un’unica ipotesi delittuosa delle diverse condotte contestate in relazione all’illecita detenzione delle armi sequestrate;

4) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione con riferimento all’art. 533 c.p.p. ed art. 81 c.p., stante la mancata indicazione in sentenza dei singoli aumenti conseguenti ai riconoscimento del vincolo della continuazione, con relativa evidente violazione dell’obbligo della motivazione in tema di art. 132 c.p.;

5) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale segnatamente riferita agli artt. 133 e 62 bis c.p., per immotivato diniego delle attenuanti generiche e relativa determinazione del trattamento sanzionatorio in termini di minore gravosità.

F.:

Carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p. in tema di definizione di indizio e riscontro ai fini della prova della penale responsabilità per il reato estorsivo di cui al capo 5) del decreto di giudizio immediato, posto che la prova d’accusa è costituita dalla chiamata in correità di M.A. P., carente di riscontri anche in punto di logica oltre che di corretta ricostruzione modale e temporale dei riferimenti operati dal detto dichiarante, avuto riguardo, tra l’altro, alla verifica di tali aspetti, attraverso le testimonianze acquisite in sede di istruttoria dibattimentale con l’escussione di tali V.B. e C., di guisa che dette dichiarazioni accusatori, lungi dall’essere attendibili, convincenti, precise, non equivoche e concordanti, sono anche carenti di riscontri esterni.

Si è, inoltre, denunciata carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 378 c.p., stante l’erronea esclusione dell’invocata condotta scriminante di cui all’art. 384 c.p., pur ricorrendone i presupposti;

infine si è denunciata la carenza di motivazione ed erronea applicazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., essendosi pervenuti ad una condanna non rispettosa dei canoni legislativi di proporzionalità ed adeguatezza della pena, con trascurata valutazione dello stato di salute e della situazione familiare;

L.;

Erronea applicazione di legge penale con riferimento all’art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 416 bis c.p., e, in ogni caso, mancanza e manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza del reato associativo di stampo mafioso e la ritenuta compartecipazione del ricorrente a tale sodalizio. Attraverso un’articolata analisi dei presupposti qualificanti l’associazione per delinquere come quella di stampo mafioso ex art. 416 bis c.p., il ricorrente ha denunciato l’errore di valutazione di tali presupposti da parte dell’impugnata sentenza: 1) allorchè ha ritenuto il collaboratore M.A. P. come prova diretta della sussistenza di una associazione organizzata con ruoli e programmi definiti, nonostante le stesse asserzioni del dichiarante dimostrassero che costui non aveva affatto una conoscenza diretta in ordine alla sussistenza del reato associativo in esame;

2) per omesso cenno in sentenza di quali siano state le manifestazioni "all’esterno" dell1associasione,con trascurata indicazione della centralità dell’elemento obiettivo dell’esistenza di un apparato organizzative, con effettiva capacità di intimidazione derivante proprio dal vincolo associativo;

3) per omessa valutazione del fatto che nessuna delle caratteristiche proprie dell’associazione mafiosa appariva presente nei confronti della posizione del ricorrente,emergendo dalle stesse propolazioni del collaborante "in modo incontrovertibile che non vi è stato mai alcun concreto, effettivo e sistematico ricorso alla forza o alla minaccia per ottenere la disponibilità degli esercenti e dei commercianti a piazzare le macchinette nei locali, il tutto confermato anche dall’esito delle intercettazioni sia ambientali che telefoniche.

In conclusione, secondo il ricorrente, erroneamente l’impugnata sentenza ha ritenuto di poter configurare un’associazione di stampo mafioso non rappresentante una "costola" di una più vasta associazione di stampo mafioso, ma costituente un "gruppo" nuovo,operante con i metodi e le condotte tipicizzante dall’art. 416 bis c.p., ma così facendo, ha ripetutamente travisato i costituti processuali, omettendo di dimostrare che – nel corso del 2002 – era divenuta asseritamente operativa una nuova struttura organizzata che a (OMISSIS) si è avvalsa di metodi intimidatori per il raggiungimento di obiettivi precisi, facenti parte di un programma criminoso.

Si è, inoltre, sottolineata l’apoditticità della motivazione in punto di ritenuta compartecipazione del ricorrente al gruppo associativo, trascurandosi, in punto di fatto e di diritto, che l’associato e colui che si adopera in modo abituale e continuativo con un preciso ruolo nell’ambito del sodalizio , affinchè possa essere raggiunto lo scopo criminoso comune per il quale il vincolo associativo è posto in essere.

Ciò posto, ad avviso del ricorrente, nessuna attività di indagine da parte della pubblica accusa, diversa ed ulteriore rispetto a quella delle intercettazioni ambientali, è stata svolta o, quantomeno, riversata in atti nei confronti del ricorrente, con un supporto alla decisione di colpevolezza operato in sentenza sulle dichiarazioni peraltro "de relato" del collaboratore M.A. P. e, come tale, non fonte di prova diretta, in difetto di attendibilità intrinseca ed in carenza di elementi estrinseci di riscontro, segnatamente riferiti al coinvolgimento del ricorrente nel "lotto nero". Si è, in particolare, sottolineato la "totale mancanza di motivazione circa la comprovata condivisione da parte del ricorrente degli scopi del gruppo, con trascurata valutazione dell’elemento soggettivo del reato, tanto più che dal narrato del collaborante oltre che dalle stesse intercettazioni "emerge in modo evidente l’autonomia del ricorrente rispetto al sodalizio".

Al riguardo si segnala che debba esistere prova piena dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 416 bis c.p., non solo come apporto consapevole prestato all’attività ma anche come apporto consapevole all’uso (o quanto meno alla condivisione dell’uso) di un metodo intimidatario per conseguire gli scopi della presunta associazione. Una corretta lettura delle risultanze probatorie, in aderenza ai criteri di cui all’art. 192 c.p.p., commi 2 e 3, avrebbe dovuto comportare la conclusione che il ruolo del L. esulava del tutto dalle condotte che caratterizzano l’affiliato ma dimostrano che egli era portatore di un proprio interesse personale nella gestione della sua attività di noleggiatore di apparecchi di videopoker. Alla stregua di tanto, si conclude per l’incompletezza, illogicità e carenza di motivazione, anche sotto il profilo della violazione dei criteri legali della valutazione della prova,in punto di responsabilità dell’imputato quale asserito compartecipe del reato associativo di stampo mafioso. Tanto premesso, ritiene questa Corte che la contestazione di cui al capo F) nei confronti del C., CU., M.I. e M.S.G. e di cui al capo G) nei confronti del L. vada qualificata come delitto di cui all’art. 416 c.p. e vada esclusa l’aggravante del metodo mafioso di cui al capo N) nei confronti dei predetti M., con rinvio ad altra sezione della Corte d’Assise d’Appello di Torino per la determinazione della relativa pena.

Va, inoltre, annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti del F. limitatamente al capo F) perchè il reato è estinto per prescrizione con eliminazione della relativa pena di anni uno di reclusione. Vanno rigettati, nel resto, ricorsi di tutti i predetti imputati. Per intuibili ragioni di economia espositiva processuale e sostanziale, va preliminarmente tracciato il quadro di verifica in punto di diritto di due principali aspetti contrapponenti accusa e difesa in tema di: a) qualificazione dei reati sub F) e G) se nella fattispecie di associazione per delinquere ex art. 416 c.p. o di associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis c.p.; b) attendibilità delle dichiarazioni del collaborante M.A. P. agli effetti del supporto d’accusa ai reati contestati in relazione all’esito delle intercettazioni telefoniche, ambientali e delle relative operazioni di p.g..

Quanto al punto sub a), va opportunamente ribadito il principio di diritto più volte enunciato da questa Corte di legittimità, secondo cui un’associazione può ritenersi di tipo mafioso distinguendosi, quindi, dalla normale e non qualificata societas sceleris, una volta che sia connotata da quei particolari elementi indicati dallo stesso art. 416 bis c.p. rispetto al tracciato di cui all’art. 416 c.p..

Di questi particolari elementi il principale ed impresindibile è il c.d. metodo mafioso seguito per la realizzazione del programma criminoso, metodo consistente, dal lato dell’associazione agente, nell’utilizzazione verso lo esterno ed in danno, quindi, degli offesi, dell’attività delinquenziale, della forza intimidatrice nascente dal vincolo utilizzato dagli associati e, dal lato passivo e quindi delle persone offese,dalla condizione di assoggettamento o omertà nei confronti dell’associazione per effetto dell’intimidazione da questa esercitata.

Per qualificare come mafiosa, ai sensi dell’art. 416 bis c.p., comma 3, un’organizzazione criminale è necessario provare, in ogni caso, una sia pur mera capacità di intimidazione purchè evincibile dall’esterno, con estroflessione ontologico-modale di questa capacità, tenendo opportunamente cont ~ della stessa sostanziale struttura del sodalizio, dell’ambiente di operatività, dei metodi utilizzati ovvero di qualsiasi elemento apprezzabilmente utile idoneo a supportare il presupposto stesso della norma nell’esplicito riferimento al concetto,funzione ed effetti dell’accezione "si avvalgono" non presupponente solamente che la capacità di incutere timore si sia già imposta, ma opportunamente intesa anche nel senso che i partecipi al sodalizio intendono avvalersi della loro intrinseca capacità intimidatoria per perseguire i propri scopi criminali (cfr. in termini, Cass. pen. sez. 1, 26-11-2003, n. 4571, PM c/o Peluso).

Ciò premesse, mentre il giudizio di 1^ grado si è correttamente ancorato a detti principi di diritto, rappresentando motivatamente le ragioni della indiscutibile sussistenza dell’associazione per delinquere,con riferimento all’ipotesi "comune" ex art. 416 c.p. (cfr. foll. 73-74 sentenza 19-12-08), non altrettanto è a dirsi per la decisione impugnata,che,con argomentazioni pur valide, in via di mera, correttezza teorico-giuridica,ha dismesso una conseguenzialità anche logica in rapporto ad epoca, tempi, modalità e relativi sviluppi anche temporali dei fatti, attribuendo a quelli relativi alla odierna vicenda processuale una natura di "derivazione" assiomaticamente assorbente l’associazione operante in (OMISSIS) rispetto a quella originariamente e tipicamente connotata dalla metodologia di mafiosità già in passato operante in (OMISSIS).

Siffatta "estroflessione" della struttura, quando anche in via ipotetica suscettibile di fondatezza, non può, comunque, in termini di assiomatismo argomentativo, peraltro contrastato, in punto di logica, dalla brevità dello sviluppo temporale della condotta associativa, comportare una trasposizione del metodo mafioso in condotte che sembrano piuttosto caratterizzare un sia pur illecito programma associativo nel settore bische e videopoker nell’hinterlans torinese, con connotazioni operative limitate alla stessa consorteria in punto di contrasto con organizzazioni rivali ( F.) e di spartizione dei profitti relativi a dette attività ed a quelle collegate alla loro realizzazione. Di qui la fondatezza delle doglianze sul punto dei ricorsi del C., M.I. (motivo sub 2), M.S.G. (motivo sub 1), CU. (motivo sub 1) e L. (motivi sub 1), 2) e 3),con la conseguente qualificazione delle imputazioni sub F) e G) e con intuibile esclusione della aggravante del metodo mafioso si cui al capo N).

Infondato, per contro, l’assunto difensivo dei predetti ricorrenti,in uno a quello del F. (motivo sub 1) del relativo ricorso) circa la asserita inattendibilità delle dichiarazioni del M. A.P..

Al riguardo, senza inammissibilmente "sforare" in aspetti in punto di fatto, è sufficiente richiamare le argomentazioni corrette e motivate in materia di apprezzabilità probatoria di dette dichiarazioni ex art. 192 c.p.p., già motivatamente segnalate dai giudici di merito (cfr. foll. 20-21-22 sentenza 1^ grado e foll. 78 ss.gg, fono a fol. 82 sentenza impugnata). Non a caso, quand’anche vi fosse stata discrasia modale e fattuale tra i fatti e le contestate dichiarazioni accusatorie, non sfugge che alcune di queste sono frutto di diretta conoscenza e compartecipazione del dichiarante alle relative vicende e le altre trovano inequivoco, corretto e convergente riscontro, anche e sopratutto oggettivo, dall’esito delle intercettazioni telefoniche ed ambientali e dalle risultanze oggettive delle indagini di p.g. riscontrate, tra l’altro, dai sequestri operati in atti, segnatamente riferiti ad armi e munizioni.

Di qui l’infondatezza delle censure difensive dei ricorsi M. I. (motivo sub 1), CU. (motivo sub 1) e F. (motivo sub 1).

Del pari infondato il ricorso del CU. quanto alle ricettazioni, stante la corretta, logica e convincente motivazione al riguardo, supportata, peraltro, dalla prova generica opportunamente richiamata in sentenza, a fronte di controdeduzioni in punto di mero fatto, preposte dal predetto ricorrente (cfr. foll. 55-56-57-58 sentenza impugnata).

Le doglianze in merito all’imputazione sub N), segnatamente svolte da M.S.G. (motivo sub 2), sono infondate (ad eccezione della contestata aggravante del metodo mafioso che, come innanzi detto, va esclusa), posto che l’impugnata sentenza ha motivatamente supportato il ribadito giudizio di responsabilità con argomentazioni logiche e corrette in punto di fatto e diritto (cfr. foll. 62 ss.gg.fino a 67).

Come gà anticipato da questa Corte di legittimità,la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nel confronti del F. in ordine al reato sub F), posto che, avuto riguardo all’epoca ed al titolo del reato ed in applicazione dell’art. 157 c.p., ss., detta imputazione è estinta per prescrizione, non risultando essere applicabile l’art. 129 cpv. c.p.p., stante le argomentate considerazione svolte (cfr. foll.60-61) a supporto della sussistenza dei reato e della sua inequivoca attribuibilità al ricorrente, inconfigurabile essendo l’invocata esimente.

Le doglianze attinenti la ribadita responsabilità per le armi,segnatamente proposte dal C., trovano smentita dalle puntuali osservazioni al riguardo svolte in sentenza a supporto di quanto già altrettanto motivatamente assunto nel giudizio di 1^ grado ed avuto riguardo all’esito e alla inequivocità determinante delle indagini di p.g. (cfr. foll. 55 ss.gg.).

Vanno ritenute inammissibili le doglianze attinenti il trattamento sanzionatorio con riferimento alla denegata concessione delle attenuanti generiche ed alla continuazione, po’ sto che i giudici della Corte di Assise di appello di Torino si sono fatti motivato carico di rappresentare le ragioni del denegata riconoscimento delle predette attenuanti e della continuazione (cfr. foll. 87-88), di guisa che, trattandosi di materia riservata al potere discrezionale del giudice di marito è, come tale, insindacabile in questa sede se, come nella specie, sufficientemente motivato.

P.Q.M.

Qualificati i fatti di cui ai capi F) e G) come delitto di cui all’art. 416 c.p., ed esclusa l’aggravante del metodo mafioso di cui al capo N); Rinvia per la determinazione della relativa pena ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Torino.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti del F. limitatamente al capo F) perchè estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di ANNI UNO di reclusione.

RIGETTA nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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