Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-11-2011) 05-12-2011, n. 45312

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro ricorre per cassazione contro l’ordinanza in data 22/2/2011, con la quale il medesimo Tribunale adito dall’indagato C.B. in sede di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., aveva revocato la misura della custodia cautelare in carcere a lui inflitta con ordinanza in data 10/1/2011 in ordine ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capi 1-9-17) e art. 74 (capo 24), limitatamente ai reati ai capi 9 e 24, e sostituito detta misura con quella meno affittiva dell’obbligo di dimora nel comune di residenza per i residui reati.

Riteneva il Tribunale che nel caso in esame la valutazione degli elementi in atti e segnatamente la circostanza che l’indagato si fosse relazionato con uno solo solidale – S.P. – come suo rifornitore, e l’assenza di qualsivoglia atto investigativo che consentisse di ricollegare il ricorrente alla consorteria delinquenziale, analizzati in una ottica globale e unitaria inducesse a concludere che costui fosse dedito allo spaccio in proprio insieme con il cognato, e a ritenere quindi infondata la contestazione accusatoria mossa nei suoi confronti in riferimento all’ipotesi associativa.

Nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento dell’impugnata decisione con specifico riferimento all’esclusione dell’ipotesi associativa denuncia la contraddittorietà della motivazione, laddove da un lato aveva dedotto la dedizione allo smercio della droga in capo all’indagato in coppia con il cognato L. M.V., e dall’altro aveva illogicamente escluso la partecipazione alla organizzazione criminosa sulla base dell’unico elemento, secondo il quale i suoi contatti sì sarebbero verificati solo con uno degli indagati S.P., personaggio di spicco del sodalizio, nei confronti del quale non doveva rendere alcun conto dopo l’acquisto dello stupefacente e non aveva tenuto in alcun conto che una cosa è dovere rapportarsi ai superiori nell’ambito della gerarchia organizzativa, allorchè la modalità partecipativa si sostanzia in un ruolo ben preciso di soggetto dedito allo smercio della droga, altro è la posizione di colui, che, come nel caso in esame, rappresenti un canale sicuro di sbocco commerciale sia pure al dettaglio, agendo con proprio profitto. Ad avviso dell’organo requirente il Tribunale non aveva tenuto presente che l’attività della coppia costituiva una micro cellula interna alla struttura e garantiva a questa la disponibilità di un canale collettivo di smercio, perciò più organizzato e affidabile nel consentire un lucro anche maggiore.

Il ricorso è inammissibile.

Nel caso in esame il Tribunale ha dato conto con puntuale e adeguato apparato argomentativi, di cui si è fatto cenno in precedenza, delle ragioni del giudizio negativo sulla sussistenza della gravità del quadro indiziario, delineatosi a carico dell’indagato, in ordine all’ipotizzato reato associativo, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze di fatto convergenti e rilevanti a tal fine, sicchè la motivazione non appare sindacabile in sede di scrutinio di legittimità della ordinanza impugnata, soprattutto quando il ricorrente si limita sostanzialmente a sollecitare un non consentito riesame del merito attraverso la rilettura del materiale investigativo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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