Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-11-2011) 05-12-2011, n. 45311 Cause di non punibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 19/1/2010 il G.I.P. del Tribunale di Chieti dichiarava n.d.p, perchè il fatto non costituisce reato ai sensi dell’art. 425 c.p.p. nei confronti di D.B.F. e D.M. in ordine al reato di cui all’art. 372 c.p., a ciascuno ascritto.

I predetti, deponendo come testi nel giudizio di separazione giudiziale tra il figlio e la moglie, avevano negato di essere a conoscenza dei maltrattamenti subiti dal coniuge ad opera del figlio.

In motivazione il G.I.P., pur riconoscendo la sussistenza della condotta ascritta agli imputati, riteneva applicabile nel caso in esame la regola di cui all’art. 249 c.p.c., che prevede la facoltà di astensione, non comunicata ai testimoni.

Di diverso avviso era il P.M., che ricorre per cassazione chiedendo l’annullamento della decisione, deducendo che nel novero dei soggetti, che possono avvalersi della facoltà di astensione nel processo civile non erano compresi i genitori, o meglio che non vi è presunzione di astensione operante in tutti i casi, giacchè essa è ravvisabile solo in presenza di un interesse nella causa. Richiamava all’uopo la sentenza della Corte Cost., che aveva dichiarato la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del cit. art. 249 c.p.c. nella parte in cui non fa rientrare i prossimi congiunti tra coloro che possono astenersi dal testimoniare nel processo civile. Di conseguenza non poteva invocarsi l’esimente de qua nè quella ex art. 384 c.p., comma 1, essendo evidente la riferibilità del danno allo stesso soggetto agente.

Il ricorso è fondato.

Ed invero secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, che questo collegio condivide, ai fini della esclusione della punibilità ai sensi dell’art. 384 c.p.p., u.c., commessa in una causa civile, l’interesse che rende una persona incapace a deporre si identifica, secondo quanto dispone l’art. 246 c.p.c., con l’interesse giuridico personale, concreto e attuale a proporre una domanda e a contraddirsi, sia sotto l’aspetto di una legittimazione primaria, sia sotto quello di una legittimazione secondaria, mediante intervento adesivo indipendente, per cui non è rilevante un interesse di mero fatto, non sorretto da una posizione di diritto sostanziale giuridicamente tutelabile (Cass. Sez. 6, 30/4/75-11/2/76 n.1963 Rv.132300; 18/6-27/6/08 n.26005 Rv.240566; 10/10-31/10/08 n.40975 Rv.241523).

Alla stregua di tale principio, appare errata la motivazione a sostegno della sentenza impugnata, che, pur dando atto della sussistenza della condotta ascritta agli imputati, ravvisa la causa di giustificazione della punibilità nel mancato esercizio della facoltà di astensione dei prossimi congiunti dal deporre nella causa civile ai sensi dell’art. 249 c.p.c., trascurando invece che la incapacità a testimoniare nella causa civile discende dall’interesse in capo al teste, che potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio ai sensi dell’art. 246 c.p.c.. Ma ciò non si verifica nella fattispecie, in cui nessun concreto interesse nella causa di separazione in corso tra M.F. e D.B.A. potevano avere i genitori di quest’ultimo.

La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio al medesimo Tribunale di Chieti che procederà ad una nuova deliberazione alla stregua del principio summenzionato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Chieti per nuova deliberazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *