Cass. civ. Sez. VI – 3, Sent., 27-06-2012, n. 10744 Somministrazione di energia elettrica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

E’ chiesta la cassazione della sentenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Marcianise del 12.6.2010 con la quale, in riforma della decisioni nn. 1047, 1068, 889 e 1067 del 2008, adottate in primo grado dal giudice di pace di Maddaloni, è stata rigettata la domanda di risarcimento danni proposta da C.G., T.F., C.G. e N.V. nei confronti di Enel Distribuzione s.p.a., a seguito della sospensione della fornitura di energia elettrica verificatasi nella notte tra il (OMISSIS).

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Preliminarmente va affermata l’applicabilità delle norme di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, per essere il provvedimento impugnato depositato successivamente all’entrata in vigore della indicata normativa (4 luglio 2009).

Con i motivi proposti i ricorrenti hanno denunciato la nullità della sentenza del primo giudice, perchè a torto questi avrebbe deciso secondo equità, e l’inammissibilità dell’appello sarebbe derivato dall’intervenuto giudicato, asseritamente formatosi per la mancata specifica impugnativa in ordine alla nullità della sentenza di primo grado, preclusivo, dunque, di ogni valutazione di merito.

In primo luogo, deve sottolinearsi che ricorsi analoghi hanno già costituito oggetto di decisioni da parte di questa Corte (Cass. ord. 10.5.2011 n. 10179; Cass. 14.2.2012 n. 2110 fra le altre).

Va anche sottolineato che i ricorrenti, nella memoria, fanno riferimento alla "relazione", specifica del procedimento ex art. 380 bis, e segg., che, non è stato adottato, essendo la presente causa stata fissata alla pubblica udienza dell’11.6.2012.

E, di tutta evidenza, quindi, che le osservazioni contenute nella stessa memoria si riferiscono ad una procedura diversa da quella adottata.

I motivi proposti non sono fondati per le ragioni che seguono.

Vero è che quando il giudice di pace, risolvendo espressamente una questione insorta sulla regola di decisione (sotto il profilo della individuazione del valore della controversia o della qualificazione del contratto alla stregua dell’art. 1342 cod. civ.), afferma che la causa deve essere decisa secondo equità e la decide, la regola di decisione della causa deve intendersi necessariamente corrispondente a tale affermazione.

Ne deriva che la sentenza è nulla se tale regola sia stata erroneamente individuata.

E ciò perchè il giudice dell’impugnazione, quale esso sia, non può valutare se la decisione sia stata in concreto assunta secondo diritto, ma la conseguenza è che quest’ultimo deve disporre, in base alla disciplina propria del giudizio di impugnazione alla quale è tenuto a conformarsi, la rinnovazione della decisione sulla base di una motivazione in diritto se trattasi del giudice di appello o – se si tratta della Corte di Cassazione, pervenendo alla cassazione con rinvio, affinchè il giudice di rinvio provveda alla rinnovazione della decisione secondo diritto, a meno che non ricorrano le condizioni per la decisione direttamente nel merito; nel qual caso sarà la stessa S.C. che procederà a tale rinnovazione (v. Cass. 28.2.2008 n. 5276).

Nel caso in esame, essendo evidente che si tratti di un contratto concluso secondo le modalità dell’art. 1342 c.c. (contratto di massa), la regola che avrebbe dovuto seguire il giudice di pace sarebbe stata quella della decisione secondo diritto, ex art. 113 c.p.c., comma 2, come sostituito dal D.L. 6 febbraio 2003, n. 18, art. 1, convertito con modificazioni dalla L. 7 aprile 2003, n. 63, con la conseguente impugnabilità con il mezzo dell’appello.

A tal fine, va in primo luogo rilevato che dalla sentenza impugnata non si ricava che il giudice di pace abbia deciso la controversia secondo equità (l’esigenza di decidere secondo diritto, fra l’altro, era stata puntualmente rappresentata), ma il profilo non è comunque rilevante, posto che – come già detto (Cass. n. 5276/2008) – all’errata individuazione della regola di decisione consegue sì la nullità della sentenza di primo grado, ma comunque, per effetto della disciplina propria dell’impugnazione alla quale il giudice è tenuto a conformarsi, la rinnovazione della decisione da parte del giudice di appello sulla base di una motivazione in diritto.

La conseguenza della nullità della sentenza di primo grado determinata dalla errata individuazione del parametro normativo applicabile (decisione secondo equità anzichè secondo diritto) – va ribadito – è solo quella della rinnovazione della decisione sulla base della regola di giudizio ritenuta applicabile.

Nè a diversa soluzione si perverrebbe anche se il giudice di pace, per ipotesi, abbia pronunciato secondo equità.

Posto che, nell’ipotesi in esame, l’impugnazione davanti alla Corte di cassazione riguarda la sentenza emessa dal tribunale e non quella del giudice di pace, – ragion per cui le censure nei confronti della stessa avanzate non sono in questa sede rilevanti – in ogni caso, deve sottolinearsi che in nessun caso si potrebbe fare riferimento al principio di diritto affermato dalle S.U. di questa Corte nella sentenza n. 13917 del 2006, – secondo cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace avviene in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi dell’art. 10 c.p.c., e segg.) ed all’eventuale rapporto contrattuale dedotto (contratto di massa o meno), e non del contenuto concreto della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di diritto), operando, invece, il principio dell’apparenza nelle sole residuali ipotesi in cui il giudice di pace si sia espressamente pronunziato su tale valore della domanda o sull’essere la stessa fondata su un contratto concluso con le modalità di cui all’art. 1342 c.c. – posto che, nella specie, lo stesso non è applicabile.

Trattandosi, invero, di sentenza emessa dal giudice di pace successivamente al 2 marzo 2006 (sentenze del giudice di pace del 2008), il mezzo di impugnazione sarebbe stato, comunque, l’appello (v. a contrario anche Cass. 27.9.2011 n. 19724).

Infatti, dall’assetto scaturito dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge con certezza assoluta che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell’ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, l’appello a motivi limitati, previsto dall’art. 339 cod. proc. civ., comma 3, è l’unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso (se si esclude la revocazione per motivi ordinari) (Cass. ord. 4.6.2007 n. 13109; Cass. Ord. 24.4.2008 n. 10775).

Quanto al rilievo secondo cui sì sarebbe formato il giudicato sulla sentenza di primo grado – con conseguente inammissibilità dell’appello – per l’omessa denuncia della sua nullità in sede di impugnazione – la censura appare inconsistente, poichè, da un lato la questione relativa alla corretta regola di giudizio da applicare è stata puntualmente prospettata fin dal giudizio di primo grado, come emerge dalla sentenza in questa sede impugnata (pag. 1), e nell’atto di appello l’Enel Distribuzione spa ha espressamente richiamato le disposizioni del codice di rito che prevedono il mezzo dell’appello con riferimento alle decisioni del giudice di pace rese in relazione a contratti di massa; dall’altro, comunque, si tratterebbe di questione che, attenendo anche al corretto mezzo di impugnazione, sarebbe stata rilevabile d’ufficio.

Nè le osservazioni contenute nella memoria – pur con le precisazioni sopra indicate – possono essere condivise.

I rilievi, fondati sull’erroneo presupposto che la sentenza di primo grado per la nullità della decisione adottata secondo equità – e non secondo diritto trattandosi di contratto di massa – da parte del giudice di pace, sarebbe passata in giudicato per la mancata impugnazione sul punto da parte dell’appellante, sono destituiti di fondamento.

A tal fine deve ribadirsi che il precedente di questa Corte (Cass. 28.2.2008 n. 5276), richiamato dai ricorrenti, non legittima affatto le conclusioni cui le stesse pervengono. Si afferma, infatti, nella sentenza citata: "In disparte ogni valutazione su se la decisione sia effettivamente applicativa di regole di diritto (cosa di cui si dovrebbe dubitare, stante l’assiomaticità delle affermazioni della motivazione), si deve rilevare che quando il giudice di pace, risolvendo espressamente una questione insorta sulla regola di decisione, o sotto il profilo della individuazione del suo valore, o della qualificazione del contratto alla stregua dell’art. 1342 c.c., afferma che la causa deve essere decisa secondo equità e la decide, la regola di decisione della causa deve intendersi necessariamente corrispondente a tale affermazione e ciò determina l’automatica nullità della sentenza per essere stata individuata erroneamente la regola di decisione, senza possibilità di valutazione, da parte del giudice dell’impugnazione del se la decisione, per il procedere dell’argomentazione della motivazione, sia stata in concreto resa secondo diritto".

A ciò, però, si aggiunge, come conseguenza della nullità della sentenza, che "Ne consegue che il giudice dell’impugnazione deve disporre la rinnovazione della decisione e, quindi, se si tratta della Corte di cassazione, deve cassare la decisione con rinvio perchè il giudice di rinvio provveda alla rinnovazione della decisione secondo diritto, a meno che non ricorrano le condizioni per la decisione nel merito, nel quale caso la stessa Corte procederà a tale rinnovazione; mentre se si tratta del giudice d’appello, in conformità all’effetto devolutivo dell’appello, quel giudice, in riforma della decisione, deve procedere alla sua rinnovazione sulla base di una motivazione in diritto".

Ed è ciò che correttamente ha fatto il giudice di appello che investito dell’impugnazione da parte dell’Enel Distribuzione spa – riscontrando l’erroneità delle decisioni secondo equità ha provveduto implicitamente alla rinnovazione della decisione sulla base di una motivazione in diritto.

Infatti, il giudice di appello, nel ritenere appellabili le sentenze del giudice di pace a seguito della modifica apportata all’art. 113 c.p.c., comma 2, nel ritenere -fornendone congrua e corretta motivazione – che i rapporti in esame rientrassero nella tipologia dei contratti per adesione (c.d. contratti di massa), esaminandone il merito, ha implicitamente rinnovato la decisione secondo diritto; con la conseguente irrilevanza, quindi, – per le ragioni già dette – della mancata esplicitazione che si trattava di sentenze del giudice di pace che avrebbero dovuto decidersi, in primo grado, secondo diritto e non secondo equità.

Nè può convenirsi con i ricorrenti che il giudice di appello provvedendo alla rinnovazione della decisione secondo diritto – avrebbe esorbitato dai poteri allo stesso concessi, per la mancata impugnazione, in punto di nullità della sentenza del giudice di pace, da parte dell’appellante, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Da un lato, infatti, deve rilevarsi che proprio nella parte iniziale dell’atto di appello si rinviene il presupposto della impugnazione con l’appello della sentenza perchè relativa a contratti conclusi con le modalità di cui all’art. 1342 c.c.; ciò implicando induttivamente la contestazione della sentenza pronunciata secondo equità; rilievo questo peraltro già avanzato nel giudizio di primo grado e, quindi, patrimonio indiscusso del fatto processuale.

Peraltro, la sentenza del giudice di pace è stata appellata anche sotto ulteriori profili di merito, in ordine alla responsabilità dell’Enel Distribuzione spa; ragione per la quale non è predicabile alcuna ipotesi di giudicato, come sostenuto dai ricorrenti.

Dall’altro, deve rilevarsi che la regola da adottarsi ai fini della decisione (diritto od equità) è questione di rito svincolata dalla relativa impugnazione sul punto, e rimessa al rilievo officioso del giudice il quale, in sede di appello, se non ricorrano le ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., per l’effetto devolutivo dell’appello, dovrà procedere a rinnovare la decisione applicando la corretta regola.

Non si tratta, infatti, di vizi che postulano una loro deduzione con il mezzo di impugnazione – e quindi il rilievo di parte -, ma delle regole processuali con le quali deve essere deciso il giudizio (v.

anche, seppure in diverse fattispecie, ma sempre riferibili al principio enunciato, Cass. 29.1.2010 n. 2053; 21.5.2010 n. 12455;

Cass. 22.9.2006 n. 20636).

Per l’effetto devolutivo dell’appello – proposto sotto diversi profili dall’Enel Distribuzione spa – quindi correttamente il giudice dell’appello investito dell’impugnazione – non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. -, ha proceduto al suo esame, con la rinnovazione del giudizio, applicando la corretta regola di giudizio.

E’ di palese evidenza, quindi, che nessuna ipotesi di giudicato interno od implicito, rilevabile d’ufficio anche da parte della Corte di Legittimità, è predicabile nella specie.

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico solidale delle ricorrenti.

Va, da ultimo, disposta la cancellazione, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., comma 1, della espressione di cui al dispositivo, contenuta nella memoria (pagg. 2-3) depositata dai ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 600,00, di cui 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Dispone la cancellazione della seguente espressione contenuta nella memoria dei ricorrenti "Si invita pertanto il relatore non a leggere la sola massima edita dal CED della Cassazione, ma l’intera decisione, con le motivazioni e i punti su cui essa si basa".

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2012

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