Cass. civ. Sez. VI – 3, Sent., 27-06-2012, n. 10725 Somministrazione di energia elettrica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Il Tribunale di Palmi, con sentenza n. 647 del 22 dicembre 2010, in accoglimento dell’appello proposto dall’Enel Servizio Elettrico s.p.a. ed in integrale riforma della sentenza del Giudice di Pace di Palmi, ha rigettato la domanda di E.M., intesa ad ottenere (nella misura di Euro 48) il risarcimento del danno derivato sia dall’avere dovuto sborsare le tasse postali per il pagamento delle bollette di energia elettrica, in conseguenza dell’inadempimento da parte dell’Enel alla Delib. 28 dicembre 1999, n. 200, art. 6, comma 4, con cui l’Autorità per L’Energia Elettrica ed il Gas (A.E.E.G) aveva imposto agli esercenti il servizio di distribuzione e vendita dell’energia elettrica e, quindi, all’Enel, di "offrire al cliente almeno una modalità gratuita di pagamento della bolletta", sia dal non avere l’Enel informato l’attore della possibilità di pagare senza oneri aggiuntivi, così violando gli oneri di informazione su di essa incombenti.

p. 2. Il Giudice di Pace aveva parzialmente accolto la domanda per 1 Euro, mentre il Tribunale l’ha rigettata reputando che la deliberazione non avesse avuto efficacia integrativa del contratto di utenza.

p. 3. Avverso la decisione del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione la E..

L’Enel servizio Elettrico s.p.a. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

p. 1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce "violazione dell’art. 360, n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali".

Nell’intestazione non si indicano le norme violate, mentre lo si fa nell’illustrazione del motivo, il che rende infondata l’eccezione di inammissibilità dello stesso formulata dal resistente sotto il profilo della mancata indicazione delle norme violate.

La prospettazione svolta in detta illustrazione è nel senso che erroneamente il Tribunale avrebbe escluso l’efficacia integrativa della delibera n. 200 del 1999, pur riconoscendo che l’Autorità poteva emanarla.

p. 1.1. Il motivo è infondato al lume del precedente di cui alla decisione di questa Corte resa (a seguito dell’udienza dell’8 giungo 2011) con la sentenza n. 17786 del 2011 su un ricorso dell’Enel propositivo di motivi identici in una controversia di identico tenore, nonchè di numerosissime decisioni rese a seguito della stessa udienza dell’8 giugno 2001 su ricorsi proposti da utenti contro decisioni di tribunali che avevano rigettato domande come quella proposta dall’intimato.

Nella suddetta decisione (come nelle altre), alle cui ampie motivazioni il Collegio rinvia, si è anzitutto affermato il seguente principio di diritto: "Il potere normativo secondario (o, secondo una possibile qualificazione alternativa, di emanazione di atti amministrativi precettivi collettivi) dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ai sensi dell’art. 2, comma 2, lett. h), si può concretare anche nella previsione di prescrizioni che, attraverso l’integrazione del regolamento di servizio, di cui al comma 37 dello stesso art. 2, possono in via riflessa integrare, ai sensi dell’art. 1339 c.c., il contenuto dei rapporti di utenza individuali pendenti anche in senso derogatorio di norme di legge, ma alla duplice condizione che queste ultime siano meramente dispositive e, dunque, derogabili dalle stesse parti, e che la deroga venga comunque fatta dall’Autorità a tutela dell’interesse dell’utente o consumatore, restando, invece, esclusa – salvo che una previsione speciale di legge o di una fonte comunitaria ad efficacia diretta – non la consenta – la deroga a norme di legge di contenuto imperativo e la deroga a norme di legge dispositive a sfavore dell’utente e consumatore".

Dopo di che, sempre con ampia motivazione alla quale nuovamente si rinvia, si è concluso che deve "escludersi che la prescrizione della Delib. A.E.E.G. n. 200 del 1999, art. 6, comma 4, abbia comportato la modifica o integrazione del regolamento di servizio del settore esistente all’epoca della sua adozione e, di riflesso, l’integrazione dei contratti di utenza ai sensi dell’art. 1339 c.c., di modo che l’azione di responsabilità per inadempimento contrattuale esercitata dalla parte attrice risulta priva di fondamento, perchè basata su una clausola contrattuale inesistente, perchè non risultava introdotta nel contratto di utenza.

La stessa decisione (lo si rileva per completezza), avuto riguardo al riferimento della sentenza allora impugnata ad una integrazione per effetto della deliberazione dell’A.E.E.G. anche ai sensi dell’art. 1374 c.c., ha ribadito che al riguardo valgono le stesse considerazioni svolte a proposito della inidoneità a svolgere la funzione di cui all’art. 1339 c.c., soggiungendo, altresì, che "Mette conto di osservare, tuttavia, che la pertinenza nella specie dell’istituto di cui all’art. 1374 c.c., sembrerebbe doversi escludere, poichè la norma postula l’integrazione del contratto con riguardo ad aspetti non regolati dalle parti e, quindi, svolge tradizionalmente una funzione suppletiva e non di imposizione di una disciplina imperativa, come accade per l’istituto di cui all’art. 1339 c.c." e che "Nella logica del sistema di cui alla L. n. 481 del 1995, la previsione del potere di integrazione del contratto di utenza, esercitabile dall’A.E.E.G. nei sensi su indicati, è certamente espressione non di supplenza, ma di imposizione di un regolamento ritenuto autoritativamente dovuto".

L’applicazione dei principi di diritto sopra ricordati, oltre a giustificare la reiezione dell’unico motivo di ricorso, comporta in questo caso solo la correzione della motivazione della sentenza qui impugnata, che ha svolto un diverso ed errato ragionamento per escludere che la nota delibera avesse integrato il contratto.

Ragionamento già considerato e censurato dalla richiamata giurisprudenza e consistente nel fatto che il suo oggetto sarebbe fuoriuscito dall’ambito in cui il potere integrativo sussiste.

2. Il ricorso è, dunque, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro cinquecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile – 3, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2012

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