Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-10-2011) 05-12-2011, n. 45065

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Sig. C. è stato tratto a giudizio unitamente a numerose altre persone per rispondere dei reati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di contrabbando, quale capo e promotore del sodalizio, contrabbando aggravato e falso documentale aggravato con riferimento ad attività di contrabbando di ingenti quantità di tabacchi lavorati esteri fatti transitare attraverso il porto di (OMISSIS) e, in particolare, con riferimento alla importazione di 8,43 tonnellate di tabacchi pervenuti e trattati a (OMISSIS) nei giorni (OMISSIS).

Le posizioni processuali sono state separate a seguito dell’adozione di riti alternativi da parte di molti imputati e la sentenza emessa dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di La Spezia in data 14 novembre 2005 ha riguardato le sole posizioni C. e I.. Il Sig. C. è stato condannato perchè responsabile di tutti i reati, unificati dalla continuazione, e applicate la recidiva contestata e la diminuzione ex artt. 442 e ss. c.p.p., ala pena di quattro anni di reclusione.

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova ha respinto i motivi di impugnazione concernenti la responsabilità dell’imputato e ha accolto le sole censure concernenti il trattamento sanzionatorio;

applicata la disciplina ex art. 99 c.p. vigente al momento dei fatti, l’aumento di pena apportato dal primo giudice è stato considerato eccessivo e la pena è stata conseguente ridotta a tre anni e quattro mesi di reclusione.

Avverso tale decisione il Sig. C. ricorre tramite il Difensore, in sintesi lamentando:

1. Violazione di legge per difetto della notificazione dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p., posto che le due notificazioni recapitate presso lo Studio del Difensore domiciliatario non recano alcuna indicazione circa il destinatario, con violazione dell’art. 171 c.p.p., lett. b), violazione ritualmente eccepita in primo grado e oggetto di motivo di appello (v. pag. 5 della sentenza impugnata);

2. Violazione di legge in relazione all’art. 419 c.p.p. per vizio di notificazione e conseguente nullità dell’udienza preliminare, posto che l’imputato non ha ricevuto l’avviso ex art. 419 c.p.p., comma 1, ma quello disciplinato dall’art. 418 c.p.p., con conseguente violazione del diritto di difesa sanzionato a pena di nullità di ordine generale (Corte costituzionale, sentenza n. 148 del 2004);

3. Violazione di legge in relazione all’art. 417 c.p.p., lett. b) per omessa dichiarazione di nullità dell’imputazione, nonchè vizio di motivazione per avere la Corte di Appello erroneamente (pag. 6) respinto la questioni di nullità del capo b) della rubrica per omessa indicazione dei fatti costituenti le circostanze aggravanti richiamate dalle norme di legge indicate; tra le altre omissioni difetta l’indicazione dei diritti di confine evasi D.P.R. n. 73 del 1943, ex art. 292 e tale omissione non è sanata dal richiamo alla violazione L. n. 50 del 1994, ex art. 2, che sanziona la condotta di importazione e non la sottrazione della merce ai diritti di confine;

4. Violazione di legge in relazione all’art. 21 c.p.p., commi 2 e 3, per omessa dichiarazione di incompetenza territoriale del Tribunale di La Spezia, nonchè vizio di motivazione per avere il Giudice delle indagini preliminari omesso di dichiarare la insussistenza del reato di falso, che radica la competenza in La Spezia, ed avere la Corte di Appello respinto il quarto motivo di appello con motivazione erronea;

5. Vizio di motivazione con riferimento alla conferma della condanna per il reato di associazione a delinquere contestato al capo A);

emerge con evidenza dagli atti che non sussistono nè l’indeterminatezza del programma criminoso nè una struttura organizzativa stabile; sussistono, piuttosto gli estremi del concorso di persone in reato continuato;

6. Vizio di motivazione con riferimento al reato contestato al capo B); i giudici di merito hanno omesso di considerare la spiegazione fornita dall’imputato circa la gestione di una diversa importazione di prodotti leciti;

7. Vizio di motivazione con riferimento al reato contestato al capo A); ritiene la Corte che l’indicazione del capo d’imputazione sia materialmente errata e che si intenda censurare la motivazione in relazione al capo C). Afferma il ricorrente che egli non ha avuto alcun ruolo neppure indiretto nella predisposizione del documento doganale falso, così che non sussiste alcuna "induzione in errore";

inoltre, il documento fu redatto dopo che erano stati scoperti i tabacchi nel container e questo era stato messo sotto osservazione, così che la falsa attestazione documentale non aveva alcuna potenzialità offensiva del bene tutelato;

8. Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla concreta determinazione della pena per i singoli reati.

Motivi della decisione

Il ricorso merita accoglimento parziale nei termini di seguito specificati.

1. Vanno, in primo luogo, esaminate le censure di ordine processuale, che la Corte ritiene manifestamente infondate.

Quanto al vizio di notificazione dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p., si osserva che la duplice notificazione fu eseguita anche a seguito della disposizione di rinnovare il primo di tali atti impartita dal Giudice dell’udienza preliminare proprio al fine di assicurarne la correttezza, così che può concludersi che dette notificazioni sono da considerarsi efficaci in quanto effettuate presso il Difensore domiciliatario. A ciò si aggiunga che in corso di udienza preliminare l’imputato richiese ed ottenne l’ammissione al rito abbreviato, così privando di rilevanza eventuali irregolarità non contestate tempestivamente (Seconda Sezione Penale, sentenza n. 8803 del 1999, Albanese e altri, rv 214250) e rendendo operativo "l’effetto sanante" che la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto al rito abbreviato nei confronti dei vizi procedurali (Sezioni Unite Penali, sentenza n.39298 del 2006, Cieslinsky e altri, rv 234835).

Ad analoga conclusione deve giungersi per il secondo motivo di ricorso, sia perchè la proposizione di istanza di rito abbreviato rende irrilevante l’eventuale vizio di notificazione dell’atto introduttivo dell’udienza preliminare, vizio superato dalla valida instaurazione del rapporto processuale e dal pieno esercizio dei diritti della difesa, sia perchè l’ammissione del rito da parte del Giudice dell’udienza preliminare produce gli effetti sananti adesso ricordati.

Quanto, poi, alla censura contenuta nel terzo motivo di ricorso, la Corte ritiene che non sussista la lamentata compromissione dei diritti della difesa discendente dalla formulazione delle imputazioni. Il tenore delle imputazioni e la piena conoscenza degli atti d’indagine su cui le stesse si fondano costituiscono, a parere della Corte, elementi che potevano consentire al Sig. C. di individuare puntualmente i fatti posti a base delle accuse che gli venivano mosse, in tali fatti comprese anche le condotte dei coimputati e le circostanze nelle quali le indagini vennero effettate ed i provvedimenti cautelari eseguiti. Non sussistono, dunque, i profili di nullità sollevati.

Venendo adesso alla censura in tema di competenza territoriale, si osserva come l’esito del giudizio di primo e secondo grado smentisca in radice e per fatti concludenti l’assunto secondo cui l’ipotesi di reato di falso sarebbe stata strumentalmente contestata sebbene manifestamente infondata, tanto che il Giudice dell’udienza preliminare avrebbe dovuto escluderla e dichiarare conseguentemente la propria incompetenza. Non solo il Giudice dell’udienza preliminare, ma anche la Corte di Appello hanno ritenuto fondata l’accusa ex artt. 476 e 479 c.p., a dimostrazione che non vi era alcuna ragione che imponesse al primo giudice di rilevare il difetto di competenza.

2. L’esame dei motivi di ricorso quinto e sesto, che lamentano l’esistenza di un vizio di motivazione in ordine alla riconosciuta colpevolezza per i reati di associazione per delinquere e contrabbando, impone alla la Corte di evidenziare, innanzitutto, che la motivazione della sentenza impugnata non ha omesso di affrontare i temi introdotti coi motivi di appello e che non sussiste il vizio di "mancanza" di motivazione nei termini previsti dalla prima parte dell’art. 606 c.p.p., lett. c). Deve, dunque, verificarsi se la motivazione sia incorsa nel vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità che l’art. 606 c.p.p., stessa lett. e) prevede come motivo di annullamento della decisione. Sul punto la Corte richiama i principi interpretativi fissati dalla giurisprudenza, secondo i quali il giudizio di legittimità non può avere ad oggetto un nuovo esame del materiale probatorio e la verifica di una diversa possibile ricostruzione dei fatti, attività devoluta ai giudici di merito, ma solo il controllo circa l’assenza di vizi essenziali del percorso argomentativo con cui i giudici di merito hanno supportato la ricostruzione dei fatti e la qualificazione giuridica adottate ed escluso la prevalenza delle diverse possibili ipotesi ricostruttive prospettate dalle difesa.

L’esistenza di una diversa sfera di giudizio assegnata dalla legge alla sede di legittimità è principio affermato in modo condivisibile fino dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767).

Una dimostrazione ulteriore della sostanziale differenza esistente tra il giudizio di merito e di legittimità può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello". Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della decisione di merito sulla istanza di una nuova ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio. In conclusione, come precisato dalla sentenza della Sezione Sesta Penale, n. 22256 del 2006, Bosco, rv 234148, resta "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti".

In applicazione di tali principi interpretativi la Corte considera la motivazione della sentenza impugnata immune da vizi logici manifesti.

L’esame della pagine 6 e 7 della decisione consente di rilevare che i giudici di appello hanno fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni dei correi del ricorrente, sugli accertamenti documentali, sull’esito delle intercettazioni telefoniche e sulla condotta tenuta dallo stesso ricorrente dopo i primi arresti, fornendo una illustrazione coerente, per quanto sintetica e integrata dalla pregnante ricostruzione operata dal primo giudice, delle ragioni che escludono che l’episodio del 9 febbraio 2000 sia da considerarsi estemporaneo e frutto di accordi contingenti, mentre deve essere collocato all’interno di una più vasta programmazione di attività di contrabbando caratterizzata da ripartizione dei ruoli e predisposizione di mezzi. Un simile contesto argomentativo, che la Corte reputa immune da vizi, rende del tutto inconsistente il sesto motivo di ricorso fondato su una ipotesi alternativa manifestamente in contrasto con l’intera ricostruzione dei fatti operata in modo concorde da entrambi i giudici di merito.

3. A diverse conclusioni deve giungersi per il settimo motivo di ricorso, che merita parziale accoglimento. Mentre va respinta la censura relativa all’estraneità del ricorrente alla commissione del fatto, censura manifestamente infondata alla luce del giudizio precedentemente formulato in ordine alle critiche rivolte alla decisione sui capi A e B della rubrica, la Corte ritiene parzialmente fondata la questione relativa alla qualificazione giuridica delle condotte contestate al capo C. Afferma il ricorrente che le concrete modalità con cui le attività doganali furono espletate rendono evidente la insussistenza del pericolo per il bene protetto conseguente alla dichiarazione infedele; la bolletta e i documenti doganali, si afferma in ricorso, furono redatti dai funzionari ben conoscendo il contenuto reale del container e al solo fine di non insospettire gli autori del reato, con la conseguenza che devono ritenersi assenti sia il requisito dell’inganno sia il requisito dell’offesa al bene protetto.

La Corte ritiene che il ricorrente abbia colto nel segno quando afferma che al momento della formazione dei documenti difettavano oramai i presupposti di integrazione del reato, ma lo stesso ricorrente erra quanto sostiene che il fatto risulta del tutto privo di rilevanza giuridica: residuano, infatti, gli estremi dell’ipotesi di reato prevista dall’art. 56 c.p. in relazione agli artt. 48, 476 e 479 c.p.. La giurisprudenza di legittimità ha affermato in modo convincente che la valutazione circa l’idoneità delle condotte poste in essere dall’imputato deve essere effettuata con giudizio "ex ante" (Prima Sezione Penale, sentenza n. 27918 del 2010, Resa e altri, rv 248305), senza adottare un criterio probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì considerando la possibilità che alla condotta consegua lo scopo per cui è stata posta in essere (Quinta Sezione Penale, sentenza n. 30139 del 2011, Agostino, rv 250413).

L’applicazione di tali principi al caso in esame impone di considerare che, nell’ipotesi di introduzione di merce di contrabbando all’interno di uno dei tanti container che giornalmente vengono movimentati, la presentazione in dogana del container con richiesta di transito avente a oggetto prodotti diversi destinati al commercio costituisca condotta potenzialmente ingannatoria e in grado di condurre alla formazione di un documento in cui il pubblico ufficiale inconsapevolmente da atto di una situazione di fatto difforme dal vero. Sussistono, dunque, nel caso in esame gli estremi degli atti idonei e univocamente diretti alla formazione di un atto falso nei termini sanzionati dagli artt. 56, 48, 476 e 479 c.p., così riqualificato il fatto contestato al capo C. 4. Quanto, infine, all’ultimo motivo di ricorso, la Corte ritiene che la motivazione della sentenza impugnata non sia meritevole di censure nella parte in cui ritiene non applicabili al ricorrente le circostanze attenuanti generiche e individua in concreto l’entità della pena per i capi A e B. Correttamente i giudici di appello hanno ritenuto applicabile al ricorrente il regime ex art. 99 c.p. in vigore al momento del fatto e ridotto la pena inflitta in primo grado, pur dando atto dell’esistenza di precedenti condanne che, per quanto risalenti nel tempo, hanno ad oggetto anch’esse i reati di associazione a delinquere e contrabbando. Si tratta di motivazione che da conto in modo coerente e logico delle ragioni che ostano alla concessione delle invocate attenuanti e ad un trattamento ancora più favorevole; l’assenza di vizi logici di tali passaggi motivazionali rende il motivo di ricorso infondato.

5. Alla riqualificazione del fatto contestato al capo C conseguente al parziale accoglimento del settimo motivo di ricorso consegue la necessità di rideterminare la pena inflitta per tale reato in aumento sulla pena base. Considerata la motivazione adottata dai giudici di appello in punto pena, la Corte ritiene di poter provvedere direttamente alla determinazione dell’entità della pena, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l).

La Corte di Appello ha tenuto ferma la pena base di tre anni di reclusione inflitta in primo grado, ma ha ridotto a un anno di reclusione l’aumento per la recidiva e confermato l’ulteriore aumento di una anno ex art. 81 cpv c.p. in relazione ai due reati residui, compreso quello di cui al capo C, così giungendo alla pena di cinque anni di reclusione, con successiva diminuzione a tre anni e quattro mesi ai sensi dell’art. 442 c.p.p..

Qualificato come tentativo il reato contestato al capo C, l’applicazione dei medesimi parametri utilizzati dalla Corte di Appello comporta che l’aumento ex art. 81 cpv c.p. venga limitato per il reato tentato a tre mesi di reclusione, e così complessivamente per i due reati a nove mesi di reclusione, con la conseguenza che la successiva diminuzione ex art. 442 c.p.p., da operarsi sulla pena complessiva di 4 anni e nove mesi di reclusione, e cioè cinquantasette mesi, conduce alla pena finale di trentasei mesi, pari a tre anni di reclusione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato contestato al capo C, che qualifica in tentativo di falso per induzione; elimina la pena inflitta per detto reato, pena che determina a titolo di continuazione in mesi tre di reclusione, così complessivamente rimanendo la pena inflitta pari a tre anni di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.

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