Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-10-2011) 05-12-2011, n. 45309

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza del 24 maggio 2011, il Tribunale della Libertà di Napoli rigettava i riesami proposti da S.V., N.C., A.S.R. e C.A., indagati per l’omicidio di Ca.Se., avvenuto in (OMISSIS), per il quale era stata applicata dal Gip del Tribunale la misura della custodia cautelare in carcere.

In motivazione enunciava che la causale del fatto di sangue era da rinvenire nella contrapposizione del Ca. al suo stesso clan camorristico, poichè egli conduceva una autonoma attività di pressione estorsiva sui commercianti della zona di sua competenza, che aveva indotto il capo gruppo Schiavone ed i suoi fedeli a progettarne la eliminazione, temendo una sua scissione, come peraltro nel passato già avvenuto.

Tale ricostruzione del movente era stata possibile grazie alle concordi dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, che preliminarmente il Tribunale aveva esaminato sotto il profilo della loro credibilità intrinseca e soggettiva, già valutata positivamente in altri precedenti provvedimenti cautelari e sicuramente genuine, posto che le propalazioni erano avvenute in momenti diversi fra loro, così che era assolutamente improbabile che costoro avessero concertato le coincidenti versioni del fatto.

In sintesi, venivano riprese le narrazioni ed elencati i riscontri obbiettivi alle stesse, per pervenire infine alla enunciazione degli indizi a carico di ciascuno dei ricorrenti. L’omicidio preceduto da appostamenti preparatori e con uomini già pronti all’azione che tuttavia non erano intervenuti per la abilità del Ca. nel sottrarsi ai possibili agguati, era stato portato a termine il 31 ottobre 2003, da due gruppi di fuoco, a bordo di due Alfa 166, composti da S. e N. (con altri non oggi ricorrenti) mentre A.S., C. avevano svolto il ruolo di battistrada e supporto nelle fasi antecedenti e successive a bordo di mezzi diversi da quelli indicati V.A. aveva indicato il S.V. quale l’organizzatore dell’agguato ed anche uno degli esecutori; al fatto di omicidio avevano concorso, materialmente, N. e C. e non A..

D.G.P. e D.G.R. avevano affermato che lo S. aveva avuto l’indicato ruolo esecutivo; P. R. aveva chiamato in correità il N. e l’ A. e il C.; L.S. aveva reso dichiarazioni sul ruolo esecutivo di A.; Am.Pi. aveva indicato quali soggetti che avevano affermato in sua presenza di aver partecipato all’uccisione i fratelli Di.Ga., anch’essi indicati come implicati da V.. Insomma le propalazioni si intrecciavano fra loro e si riscontravano ed erano frutto di conoscenze dirette o perchè due collaboratori erano essi stessi autori dei fatti o perchè gli altri avevano assistito ad eventi significati nelle fasi antecedenti o successive o avevano raccolti le ammissioni di altri esecutori materiali della uccisione.

2. Ricorrono, con distinte impugnazioni gli indagati e deducono:

2.1 Lo S.V. (con due distinti ricorsi, che sono per la maggior parte sovrapponibili e possono essere trattati unitariamente):

Lamenta difetto di motivazione, meramente apparente e violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p.; richiamati i principi di diritto in ordine alla chiamata di reità e correità, dopo aver esaminato tutte le propalazioni in atti, denuncia le contraddizioni che emergono nelle stesse e di cui il giudice non si è reso conto o non ha dato conto, benchè indicate; sostiene che ciascuna delle chiamate è affetta oltre che da genericità anche dall’essere tipicamente de relato e che, inoltre, difettano i riscontri oggettivi ed individualizzanti; particolare attenzione è dedicata alla propalazione del P., che lo stesso Tribunale ha già ritenuto inaffidabile, in relazione alla posizione di altri due indagati;

viene posto l’accento, quale ulteriore elemento a suo favore, su una archiviazione riguardante altri indagati emessa dal GIP e centrata sulla labilità delle accuse provenienti dal V. e dai fratelli D.G., tutte de relato; denuncia, poi, con apposito motivo che il giudice non ha tenuto conto della memoria difensiva, non rispondendo alle argomentazioni ivi sviluppate e riprende il tema della incompletezza del deposito dei verbali di dichiarazioni di L. e V., la cui mancanza è stata ritenuta irrilevante, senza che però il giudice conoscesse il contenuto degli stessi.

Lo S. osserva, ancora, che il Tribunale ha errato nel rigettare la eccezione preliminare di nullità del decreto di citazione per mancato rispetto dei termini come indicati dall’art. 174 c.p.p.; la non applicabilità al riesame di detta norma non emergerebbe nè dal testo dell’art. 309 c.p.p., nè dal sistema indicato dall’art. 127 c.p.p., comma 3, che non incide sui termini, posti in via generale dal codice di rito;

2.2. A.S.R. propone eccezione di nullità per mancata allegazione agli atti della trascrizione integrale degli interrogatori resi collaboratori di giustizia, nonostante a seguito di sua richiesta, fosse in corso apposita perizia ad opera del consulente della Procura: precisa che aveva chiesto un rinvio al Tribunale per consentire il deposito dell’elaborato, ma gli era stato opposto che la richiesta non era normativamente tutelata.

Sul punto richiama le note pronunce della Corte Costituzionale e di questa Corte a sezioni unite nella fattispecie relative alle intercettazioni che egli ritiene analoga e solleva questione di incidente di costituzionalità. In merito alle chiamate, osserva che nè L. nè V. confermano che come affermato dal P. egli abbia partecipato alle fase omicidiarie anteriori a quella che è stata portata a termine; in relazione all’ultima fase esecutiva, mette in evidenza che non è riscontrata la presenza sui luoghi di due moto e ciò esclude che egli fosse alla guida di una di esse, come descritto dal P., che su detto particolare, peraltro, riferisce de relato Nè maggiore credibilità è da conferire al L., che racconta due precedenti agguati cui ha partecipato e solo de relato del terzo e conferisce all’indagato un ruolo diverso da quello descritto da P.. Si tratta perciò di versioni contrastanti ed inverosimili.

2.3 N. si duole che nella valutazione delle dichiarazioni del P. che lo indica quale uno dei soggetti a bordo di una delle due auto che andarono sul luogo del delitto, non si sia tenuto conto che il collaboratore è smentito in tutte le sue asserzioni, quali quella del movente, del controllo di pg con altri due coindagati, avvenuto in epoca diversa dall’indicata, o l’identità di coloro che dovevano dare la ed battuta o ancora il numero di persone che componevano gli equipaggi delle auto con discrasie superate illogicamente dal giudice del riesame. Del tutto privo di credibilità il V., già ritenuto inaffidabile in ordine ad altro omicidio ascritto al N. e comunque del tutto generico su quello per cui è ora indagato.

2.4 C. si lamenta anch’egli della valutazione della collaborazione dei propalanti P. e V., de relato e prive di riscontri individualizzanti.

Motivi della decisione

1. E’ da rigettare il ricorso dello S., mentre nei confronti dei rimanenti tre imputati la ordinanza è da annullare con rinvio degli atti al tribunale distrettuale per un nuovo esame.

2. Ricorso S.:

2.1. E’ infondata la eccezione, il cui esame è preliminare, data la sua attinenza alla partecipazione al procedimento dell’indagato, relativa alla violazione dei termini a comparire.

Il prolungamento dei termini, previsto dall’art. 174 c.p.p., nel caso di diversità del luogo di residenza da quello in cui ha sede l’autorità procedente, è finalizzato a garantire la presenza dell’interessato alla udienza che lo riguarda e quindi è applicabile anche alla udienza camerale prevista per il riesame; il presupposto è tuttavia quello che l’indagato richieda esplicitamente di presenziare, ma una tale istanza non è stata affatto avanzata dallo S., la cui doglianza è dunque meramente accademica e non sorretta da uno specifico interesse. Se, infatti, può concordarsi, che nel procedimento camerale di riesame il Tribunale è tenuto ad assicurare la presenza dinanzi a sè dell’imputato o indagato che ne abbia fatto richiesta, anche se questi sia detenuto fuori della circoscrizione del Tribunale stesso, in ragione della peculiare struttura del giudizio di riesame che consente la proposizione dei motivi di impugnazione anche per la prima volta in udienza o comunque la presentazione di motivi nuovi, e la mancata traduzione da luogo a nullità assoluta e insanabile, tuttavia per la peculiare struttura del giudizio cautelare, cui si applica la disciplina del rito camerale, richiamando espressamente anche l’art. 127 c.p.p., il cui comma 4 impone la traduzione in udienza dell’indagato (o imputato) detenuto sempre che questi ne abbia fatto richiesta.

2.2 Parimenti infondata è la lagnanza relativa alla valutazione della gravità indiziaria.

Va premesso che il ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), ma il ragionamento esposto nella ordinanza dai giudici di merito non presenta evidenti manchevolezze, nè salti logici, tali da inficiarne la validità.

Infatti, i giudici del riesame hanno considerato che a carico dello S. militavano le concordanti dichiarazioni di ben quattro collaboratori di giustizia, ognuno dei quali valutato sia intrinsecamente che oggettivamente attendibile, e che l’analisi delle racconti, concernenti le specifiche fasi cui ciascuno di detti coindagati aveva partecipato o di cui aveva avuto conoscenza per esserne stato informato o da intranei al clan che aveva organizzato l’agguato o per aver partecipato ad alcuni segmenti della azione, che si sviluppò in lungo periodo con appostamenti e preparativi, rimandati in attesa della occasione più propizia, portava ad indicare l’indagato come la mente organizzativa ed esecutiva dello stesso.

Vale rammentare che con ragionamento aderente alle risultanze processuali,ha adeguatamente risposto alla obiezione che le dichiarazioni fossero de relato, sottolineando come le notizie apprese fossero state veicolate all’interno della cosca quale patrimonio conoscitivo comune ed a conforto della attendibilità ha elencato una serie di riscontri esterni individualizzanti, elencati dettagliatamente nella motivazione ( pag.11-12) che corroboravano, al di là dei riscontri incrociati forniti dai distinti racconti, il quadro accusatorio. E’ così emersa la presenza costante dello S. a tutte le vicende che avevano preceduto l’agguato, nonchè la sua materiale partecipazione allo stesso; la lettura dei dati indiziari è peraltro contestata dal ricorrente, sia riproponendo temi a cui il giudice distrettuale ha risposto, quali quelli della irrilevanza delle discrasie emergenti dai narrati, per la loro non decisività, sia invocando la diversa valutazione delle propalazioni di uno dei collaboratori di giustizia, il P., in altro procedimento di riesame, che all’evidenza tende ad introdurre valutazioni di fatto inibite in questa sede e peraltro non indicative della sua estraneità ai fatti.

Ora a fronte di detta completa motivazione, che affronta i punti centrali del tema della responsabilità e non si sottrae ai rilievi che la difesa aveva messo in evidenza, con apposita memoria, per escludere la rilevanza e la congruità del materiale raccolto a carico del ricorrente, è evidente che in questa sede non può procedersi ad alcuna altra lettura alternativa o rivisitazione della vicenda, come sostanzialmente suggerito con i motivi di impugnazione A seguito della riforma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) il vizio di omessa motivazione può essere dedotto solo quando il giudice di merito ha ingiustificatamente negato l’ingresso nella sua decisione ad un elemento di prova, risultante dagli atti processuali, dotato di efficacia scardinante dell’impianto motivazionale, non invece quando il giudice di merito ha dato, coerentemente ed esaustivamente, una valutazione degli elementi di prova diversa da quella prospettata dal ricorrente. Parimenti, l’illogicità AL manifesta e la contraddittorietà della motivazione sussistono quando gli altri atti del processo, specificamente indicati nel gravame, inficiano radicalmente, dal punto di vista logico, l’intero apparato motivazionale e non invece quando sono stati coerentemente ed adeguatamente valutati nel provvedimento di merito, seppure in modo diverso rispetto alla tesi prospettata. (sez. 6 n.35964 del 2006) Nel caso in esame, la motivazione del tribunale distrettuale risponde ai detti requisiti di completezza e logicità, e non può dunque essere messa in discussione.

Il ricorso è pertanto da rigettare e lo S. è da condannare al pagamento delle spese processuali.

3. Le rimanenti posizioni:

3.1. E’ da rigettare la eccezione sollevata da A.S. R. per la mancata allegazione agli atti della trascrizione integrale degli interrogatori resi dai collaboratori.

Nella specie invero non si contesta l’assenza della riproduzione tecnica dell’interrogatorio e delle dichiarazioni-affermazioni che lo costituiscono, ma la mancata trasmissione del supporto tecnico che lo documenta. Per risalente giurisprudenza, l’omessa trasmissione, da parte del pubblico ministero, al giudice per le indagini preliminari o al tribunale del riesame, unitamente al verbale redatto in forma riassuntiva delle dichiarazioni rese da soggetto in stato di detenzione, anche della relativa registrazione fonografica o audiovisiva, non da luogo a inutilizzabilità di dette dichiarazione, essendo prevista tale sanzione dall’art. 141 bis c.p.p. soltanto per l’ipotesi che la registrazione non venga effettuata (Cass. pen. sez. 1, 8778/2001 Rv. 218187). Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.

1. Non ha poi pregio alcuno il richiamo alla nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 336 del 2008, che ha ad oggetto ben diversa fattispecie, quella del deposito del supporto informatico in cui sono raccolte le tracce toniche di intercettazioni compiute ex art. 267 c.p.p., data la assoluta diversità delle fattispecie processuali in esame; infatti, la corte ha rilevato una siffatta necessità ex art. 268 c.p.p. (Corte Cost. sentenza 8-10 ottobre 2008, n. 336), riconoscendo il diritto "incondizionato" e "costituzionalmente protetto" del difensore di accedere, su sua istanza, alle registrazioni delle conversazioni intercettate i cui esiti captativi siano stati posti a fondamento della richiesta della emissione del provvedimento cautelare, e alla loro trasposizione su nastro magnetico, preordinato "allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali", corrisponde un obbligo del pubblico ministero di assicurarlo con completa discovery, a richiesta della parte, anche prima del loro deposito ai sensi del comma 4 della stessa norma. Ciò in quanto è la traccia fonica a costituire "documento" da cui desumere la gravità indiziaria. Il caso della verbalizzazione riassuntiva o sintetica dell’interrogatorio è ben diverso, posto che è essa stessa documento della attività svolta e peraltro è agli atti depositati ex art. 291 c.p.p. al Gip, sicchè la difesa è posta sin da subito il deposito della ordinanza, nella condizione di conoscere le dichiarazioni e di esercitare i suoi diritti. E, comunque, ove si volesse procedere per ipotesi alla assimilazione delle due ipotesi, come prospettato, il ricorrente avrebbe potuto richiedere e non lo ha fatto il supporto magnetico relativo agli interrogatori, che all’evidenza costituisce il documento e non già la trascrizione, che ne è la mera riproduzione in forma scritta.

E’ fondata la lagnanza relativa al difetto di motivazione in ordine alla valutazione degli elementi indiziari; trattandosi di impugnazione analoga a quella sollevata dagli altri due ricorrenti N. e C., si può procedere in punto di diritto ad una disamina congiunta.

Il Tribunale del riesame non ha, infatti, rispettato, per tutte e tre le posizioni soggettive, i parametri di logicità e coerenza imposti nella valutazione degli indizi, nel caso in esame costituiti dalle propalazioni dei collaboratori, procedendo ad una sorta di mera sommatoria delle accuse, senza una effettiva disamina critica e la individuazione dei riscontri individualizzanti alle stesse.

A seguito dell’introduzione del l’ art. 273 c.p.p., comma 1 bis (ad opera della L. 1 marzo 2001, n. 63, art. 11, attuativa della Legge Costituzionale sul giusto processo), nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale trovano spazio le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4 (Sez. 1A, 14 novembre 2001, n. 43980, ric. Caliò, rv. 220176; Sez. 1A, 7 febbraio 2002, n. 15685, ric. Schiavone, rv. 221330; Sez. Fer. 28 agosto 2002, n. 31992, ric. Desogus, rv. 222377; Sez. 6A, 3 dicembre 2004, n. 1894, ric. P.M. in proc. Sapia, rv. 230763).

In conseguenza della modifica normativa, dalla chiamata di correo possono inferirsi elementi indizianti di spessore tale da integrare quella qualificata probabilità di colpevolezza, richiesta dall’art. 273 c.p.p. quale condizione di applicabilità delle misure cautelari personali, solo se i riscontri estrinseci sono compatibili con le dichiarazioni accusatorie e consentono un collegamento diretto ed univoco, sul piano logico e storico, con i fatti per cui si procede mediante connotati individualizzanti, che devono riferirsi non solo alle modalità obiettive del fatto descritte dal chiamante, ma anche alla specifica posizione soggettiva del chiamato rispetto al fatto di cui deve rispondere (Sez. 1A, 14 novembre 2001, n. 43980, ric. Caliò, rv. 220176). La chiamata di correo può, quindi, costituire grave indizio di colpevolezza soltanto quando è sorretta da riscontri estrinseci individualizzanti (Sez. Un. 30 maggio 2006, ric. Spennato), perchè solo sulla base di tale caratterizzazione è possibile fondare la persuasività probatoria della chiamata in correità e la razionalità della decisione cautelare che non può essere contraddistinta da elementi dicotomici e di cesura nella prospettiva del contraddicono dibattimentale Diversamente sarebbe difficile comprendere quale reale valore prognostico in ordine all’elevata probabilità di colpevolezza possa assegnarsi ad una chiamata di correo che, per il fatto di non essere confermata da un riscontro munito del carattere individualizzante, potrebbe avere valore dimostrativo rispetto all’accertamento della verificazione del fatto, ma certamente non riguardo all’attribuzione del fatto stesso e alla riferibilità di esso alla specifica posizione del soggetto nei cui confronti sia stata emessa la misura restrittiva della libertà personale.

Tenuto conto di tali principi, è da rilevare che il Tribunale del riesame, si è limitato ad una mera sommatoria delle propalazioni in atti, ritenendo soddisfacente che i collaboratori menzionassero i suddetti indagati, attribuendo loro un ruolo, senza curarsi di individuare quale fosse il reale punto di reciproca convergenza, sì da ritenere sussistente il riscontro incrociato e senza verificare se comunque consentisse un collegamento diretto ed obiettivo con i fatti contestati e con la persona imputata.

Così nel caso dell’ A. ha elencato le propalazioni del P. e del L., senza curarsi che le stesse, per come messo in evidenza dalla difesa, non convergono affatto, giacchè riguardano ciascuna due differenti e distinti momenti Al della catena delle condotte attribuite al gruppo omicidiario, sicchè le stesse si sovrappongono solo sul nome dell’indagato, ma non quanto ai suoi reali movimenti e gli effettivi compiti. E’ di tutta evidenza che dalla analisi delle stesse emerge la appartenenza gruppi dell’ A. al gruppo, ma tale dato di sicura rilevanza va accompagnato, ed in tal senso si rimanda al giudice di merito perchè esplori adeguatamente il materiale indiziario, dalla indicazione di dati che abbiano anche univoca vocazione individualizzante nel senso sopra indicato.

Tanto vale anche per la posizione del N., il giudice distrettuale, nel valorizzare la esistenza delle due chiamate ( P. e V.) non ha spiegato in cosa le due versioni siano coincidenti, considerato che, per come messo in evidenza dal giudicante stesso nel corso della esposizione dei narrati dei collaboratori, i due attribuiscano all’imputato ruoli divergenti e che entrambi non abbiano avuto cognizione diretta dell’episodio in quanto non presenti allo stesso. E se il P. ha comunque partecipato alle fase preparatorie, il che lo pone in una posizione di maggiore vicinanza al gruppo, non è spiegato perchè altrettanta fede è concessa al V., che raccoglie delle confidenze di altri intranei, che come tali abbisognano di un più approfondito vaglio critico.

Infine, per il C. è da rilevare la totale assenza di sviluppo motivazionale, essendo stato apoditticamente affermata la sufficienza delle chiamate dei due indagati di reato connesso, senza alcuna disamina critica delle divergenze che come per la posizioni del N., sopra riportata, sono palesi nella stessa lettura che il Tribunale ne fa, posto che il P. raccoglie le confidenze dello stesso indagato, senza alcuna indicazione del suo ruolo, laddove il secondo conosce genericamente i nomi degli esecutori dell’agguato per averli appresi da altri associati.

Si impone pertanto l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Napoli per un nuovo esame.

Il giudice di rinvio si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati.

La Cancelleria curerà gli adempimenti ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso dello S., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di C.A., A.S.R. e N.C. e rinvia al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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