Cass. civ. Sez. VI – 3, Sent., 27-06-2012, n. 10720

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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 9414/2008 il Tribunale di Milano ha revocato il decreto ingiuntivo emesso ad istanza della Reale Immobili s.p.a. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, brevemente, il Ministero) per il pagamento della somma di Euro 1.396.446,16 per canoni di locazione, dopo che in corso di causa il Ministero aveva pagato la minor somma capitale ritenuta effettivamente dovuta di Euro 1.316.340,50.

Con sentenza in data 24.11/22.12.2010 n. 3216 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano, ritenendo che la differenza di Euro 80.150,66 ancora reclamata dalla Reale Immobili s.p.a. per aggiornamenti canoni non potesse riconoscersi sulla base della mera emissione di fatture contenente l’indicazione del canone complessivo, non concretando tali documenti un’adeguata richiesta di aggiornamento secondo quanto previsto dalla L. n. 392 del 1978, art. 32.

Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione la Reale Immobili formulando un unico motivo.

Ha resistito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, deducendo rinammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: violazione della L. n. 392 del 1978, art. 32, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ..

Assume parte ricorrente che la Corte di appello ha postulato un requisito di "adeguatezza" della richiesta di aggiornamento canoni, che è estraneo alla fattispecie di cui all’art. 32; osserva che, non richiedendo la norma alcuna formalità, sarebbe bastato raffrontare le fatture inviate per far comprendere al conduttore l’entità dell’aggiornamento richiesto.

1.1. Il motivo risulta inammissibile per inosservanza dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6.

Invero le SS.UU. – in tema di procedibilità e ammissibilità del giudizio per cassazione – hanno precisato che l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti, o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 cod. proc. civ., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi. (Cass. civ., Sez. Unite, 03/11/2011, n. 22726).

In altri termini, ai fini dell’osservanza del richiamato requisito di ammissibilità, occorre indicare la sede in cui è rinvenibile l’atto o il documento, su cui il ricorso si fonda, nonchè indicare che il fascicolo è prodotto e, se si tratta di fascicolo della controparte, cautelativamente produrne una copia.

Nel caso di specie non si ha altra indicazione in ordine alle fatture su cui si fonda il motivo di ricorso, se non che trattasi dei "docc. nn. 8-13 Reale"; non si dice a quale fascicolo (monitorio, di primo o secondo grado) si riferisce tale numerazione; tantomeno si precisa se detto fascicolo è stato prodotto in questa sede; l’unica indicazione fornita è quella in calce al ricorso attestante il deposito di "fascicolo di parte".

1.2. A tale considerazione già di per sè assorbente può, comunque, aggiungersi che il motivo di ricorso, al di là del surrettizio richiamo al vizio della violazione di legge, appare funzionale a una critica nel merito delle valutazioni espresse nella sentenza impugnata, sollecitando un inammissibile intervento in sovrapposizione di questa Corte.

Invero i giudici di appello, pur convenendo che la norma di cui all’art. 32 cit. non richiede alcun requisito formale, hanno precisato che le fatture prodotte dall’appellante indicavano esclusivamente il canone complessivo per il bimestre in corso, non facendo alcun riferimento all’adeguamento ISTAT e non permettendo quindi di comprendere, nemmeno tramite le relative lettere di accompagnamento, il calcolo effettuato per la determinazione dell’importo richiesto e quindi la quantificazione del canone base e l’aumento percentuale su di esso operato. In altri termini gli stessi giudici, allorchè hanno parlato di "richiesta inadeguata", nella sostanza, lungi dal postulare uno specifico requisito formale non previsto dalla norma, hanno semplicemente inteso escludere che detti atti avessero i requisiti minimi di certezza, per fare almeno presumere una richiesta di adeguamento e far comprendere il suo contenuto. Trattasi di valutazioni di stretto merito non sindacabili in questa sede.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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