Cass. civ. Sez. VI – 3, Sent., 27-06-2012, n. 10718 Improcedibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 21.07.2010, n. 2779 la Corte di appello di Roma dichiarava improcedibile, compensando le spese tra le parti, l’appello proposto da Z.V. avverso la sentenza n. 1078/2009, con la quale il Tribunale di Latina aveva rigettato la domanda di rilascio formulata dalla Z. nei confronti di D., R. e C.F. relativamente all’immobile adibito a garage sito in (OMISSIS), affermando, nel contempo, il diritto dei C. al retratto dell’immobile stesso nei confronti della Z. e della sua dante causa CONSAP (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici).

La Corte di appello ha osservato che la Z. ha provveduto a notificare il ricorso in appello e il decreto di fissazione di udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 435 cod. proc. civ., comma 2, incorrendo nella sanzione di improcedibilità; e ciò sul presupposto che la modalità temporale per l’instaurazione del contraddittorio risulti espressamente disciplinata dal comma 2 della norma cit. avendo riguardo al decreto presidenziale di udienza – o meglio alla sua comunicazione – a prescindere dalla data dell’udienza stessa, sicchè non sarebbe aderente alla disposizione normativa un’interpretazione che, invece, consideri validamente assolto l’onere del contraddittorio anche se la notificazione sia eseguita dopo la scadenza del citato termine di dieci giorni, ma nel rispetto del termine a comparire di cui al comma successivo.

2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione Z.V. formulando tre motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 435 cod. proc. civ., commi 2 e 3, dell’art. 152, comma 2 e degli artt. 24 e 111 Cost. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3); 2) violazione o falsa applicazione dell’art. 101 cod. proc. civ., artt. 24 e 111 Cost. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3), nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 cod. proc. civ., n. 4);

3) violazione o falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1 e dell’art. 1418 cod. civ. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3).

Si è costituita la CONSAP, depositando ricorso incidentale adesivo affidato ad unico motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 435 cod. proc. civ., commi 2 e 3, dell’art. 152, comma 2 e degli artt. 24 e 111 Cost. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3).

Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati D., R. e C.F..

E’ stata, altresì, depositata memoria di parte ricorrente.

3. Premesso che i ricorsi principale e incidentale avverso la stessa sentenza sono riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., il Collegio ritiene che debbano essere accolti il primo motivo di ricorso principale, nonchè l’unico motivo del ricorso incidentale adesivo, assorbiti gli altri.

4. Con i suddetti motivi si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 435 cod. proc. civ., commi 2 e 3, dell’art. 152, comma 2 e degli artt. 24 e 111 Cost. (art. 360 cod. proc. civ., n. 3), segnatamente rimarcandosi il carattere non perentorio del termine di cui all’art. 435 cod. proc. civ., comma 2, il rispetto, nel caso all’esame, del termine di cui al comma 3 della stessa disposizione, l’inapplicabilità alla fattispecie del principio affermato dalle SS.UU. con sentenza n. 20604 del 2008.

4.1. I motivi all’esame risultano manifestamente fondati sulla base del principio ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui nel rito del lavoro e, conseguentemente, nel c.d. rito locatizio, al quale art. 447 bis cod. proc. civ., estende le sue norme in quanto applicabili, il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione (art. 435 c.p.c., comma 2) non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito all’appellato lo spatium deliberarteli non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione della causa (art. 435 c.p.c., comma 3), perchè egli possa apprestare le proprie difese (Cass. 14 luglio 2011, n. 15590; 15 ottobre 2010, n. 21358).

Invero – come osservato in specie nella sentenza n. 21358/2010 – l’art. 435 cod. proc. civ., comma 2, alla stregua del quale "l’appellante, nei dieci giorni successivi al deposito del decreto, provvede alla notifica del ricorso e del decreto all’appellato", deve essere letto ed interpretato in relazione al contenuto del successivo comma 3 dello stesso articolo, alla stregua del quale "tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venticinque giorni. Il che evidenzia come lo stesso legislatore, nel porre il suddetto termine (ordinatorio) di cui al comma 2, abbia disciplinato le conseguenze di una eventuale inosservanza di tale termine, prevedendo, in buona sostanza, al comma 3, che la notifica effettuata mantiene i suoi effetti, anche in caso di mancato rispetto del termine di cui al comma precedente, allorchè tra la data di notificazione e quella dell’udienza permanga un termine non inferiore a venticinque giorni.

In sostanza appare chiaro, dal complesso dei due commi della disposizione all’esame, che il legislatore ha regolato normativamente le conseguenze della inosservanza del termine di cui al comma 2, prevedendo in via generalizzata il permanere degli effetti della compiuta notifica nell’ipotesi prevista dal comma 3, in tal modo superando – alla stregua delle stesse previsioni codicistiche – la necessità di uno specifico provvedimento autorizzatorio o di proroga da parte del giudice prima della scadenza del stesso termine.

4.2. Non contrasta con quanto sopra il principio affermato dalle SS.UU. con sentenza n. 20604 del 2008, richiamata nella decisione impugnata, posto che esso si riferisce alle sole ipotesi idonee a comportare un effettivo allungamento del processo, potenzialmente attribuibile a negligenza della parte attrice, di inesistenza, giuridica o di fatto, della notificazione del ricorso e del decreto e, cioè, ad ipotesi di contestuale violazione del termine dilatorio di cui all’art. 435 cod. proc. civ., comma 2 e del termine a tutela del diritto di difesa del resistente fissato dal successivo terzo comma dello stesso articolo; ne deriva l’inapplicabilità di detto principio al caso in esame, in cui la notificazione del ricorso e del decreto dell’udienza in appello è avvenuta nel rispetto del termine dilatorio di cui al cit. art. 435 cod. proc. civ., comma 3.

4.3. La non riferibilità della sentenza delle SS.UU. del 2008 all’ipotesi di ritardo della notificazione nel rispetto tuttavia del termine posto a tutela di controparte dell’art. 435 c.p.c., comma 3, si evince dalla circostanza che il richiamo operato nella predetta sentenza all’art. 111 Cost., comma 2, nel testo novellato dalla L. 23 novembre 1999, n. 2, ed alla regola della "ragionevole durata" del processo, non si attaglia in alcun modo a fattispecie come quella all’esame in cui pacificamente la notifica, ancorchè in ritardo rispetto al termine di gg. 10 di cui al comma 2 della norma, è avvenuta entro un termine tale, rispetto a quello dell’udienza di comparizione fissata dal presidente, da garantire all’altra parte il necessario spatium deliberanti.

Nella stessa prospettiva appare chiaro come il parallelismo intravisto dalla Corte di appello tra il comma 2 dell’art. 435 cod. proc. civ. e il comma 1 dell’art. 348 cod. proc. civ., che, nel rito ordinario, sanziona con l’improcedibilità la tardiva costituzione dell’appellante sia fallace, posto che – come evidenziato da parte ricorrente – nel rito ordinario, a differenza di quello del lavoro, è la parte appellante che "detta", almeno nella fase introduttiva, i tempi del processo.

Peraltro la non pertinenza della decisione delle SS.UU., rispetto alla questione di diritto in esame, risulta confermata anche dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 60 del 2010), che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 435 c.p.c. prospettata sulla base della suddetta decisione, per evidente erroneità del presupposto interpretativo.

All’accoglimento dei motivi indicati consegue la cassazione della sentenza dichiarativa dell’improcedibilità dell’appello, con rinvio innanzi alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, provverà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo motivo di ricorso principale e il ricorso incidentale adesivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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