Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-06-2011) 05-12-2011, n. 45066

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 16 settembre 2010 il Tribunale di Catanzaro – Sezione per il Riesame – pronunciandosi sulla istanza di riesame proposta nell’interesse di C.M.N. – indagato per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), avverso il decreto di sequestro preventivo del GIP del Tribunale di Catanzaro emesso in data 30 luglio 2010, confermava il detto provvedimento cautelare.

La vicenda in esame riguardava una pregressa struttura lignea adibita a chiosco destinato a pubblico esercizio di tipo stagionale, precedentemente realizzata dal C. senza il prescritto permesso, che lo stesso C. aveva mantenuto anche per l’anno di riferimento, nonostante l’ordinanza di cessazione di attività del 16 luglio 2010 emessa dal Settore Attività Produttive del Comune di Sellia Marina.

Il Tribunale desumeva la sussistenza del fumus criminis dal mantenimento abusivo del chiosco suddetto sito in una zona soggetta a vincolo ambientale, in assenza di provvedimento abilitativo, dopo aver dato atto che dagli accertamenti della P.G. era risultata l’installazione del chiosco (adibito a bar, panineria, pizzeria) mediante pilastri in legno ancorati ad una piattaforma, senza che fosse mai stato rilasciato il permesso di costruire, nè il permesso di mantenimento della struttura dopo il termine della stagione estiva.

Nessun rilievo riconosceva il Tribunale ai precedenti rinnovi, in quanto essi erano sempre stati subordinati alla rimozione della struttura nei termini assegnati dal Comune, senza che il C. vi avesse mai provveduto.

Così come nessuna rilevanza – secondo il Tribunale – assumeva la circostanza dedotta in quella sede dal C. in virtù della quale, ai sensi di quanto previsto nella L.R. Calabria 30 luglio 2010, n. 20 modificativa delle disposizioni contenute nella L.R. n. 17 del 2005, il mantenimento del chiosco sarebbe stato reso possibile, in quanto correlato alla prosecuzione in via straordinaria dei servizi di balneazione da parte del C.: ciò perchè nessuna autorizzazione in proposito era stata rilasciata dal Sindaco, in conformità a quanto previsto dalla L. n. 17 del 2005, art. 14.

Peraltro – osservava il Tribunale – nella istanza di prosecuzione dell’attività il C. si era limitato prospettare ragioni di impellente urgenza e necessità costituendo quell’attività unica fonte di reddito, senza tuttavia provare la dichiarata necessità, in violazione della rigida disciplina prevista dalla L.R. citata.

Quanto al periculum in mora, lo stesso veniva ravvisato dal Tribunale nella esigenza di impedire l’aggravamento delle conseguenze del reato ipotizzato ovvero la protrazione delle conseguenze ove la struttura fosse stata mantenuta senza alcun vincolo reale.

Propone ricorso a mezzo del proprio difensore il C. deducendo:

a) violazione ed erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p. e del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) in punto di riconoscimento del fumus criminis; b) violazione ed erronea applicazione dell’art. 321 in punto di riconoscimento del periculum in mora; c) violazione ed erronea applicazione della L.R. Calabria 30 luglio 2010, n. 20, artt. 1 e 2, risultando il provvedimento impugnato contrastante con le disposizioni contenute in detta normativa regionale che consentivano il mantenimento della struttura per la stagione 2010, trattandosi di norma di carattere eccezionale.

Con riferimento al primo motivo, assume la difesa che la struttura realizzata era assistita da permesso di costruire, sia pure provvisorio, con la conseguenza che, in modo del tutto arbitrario ed erroneo, il Tribunale aveva ritenuto di individuare il fumus commissi delicti nella condotta di mantenimento della struttura senza titolo autorizzativo da parte dell’Autorità Comunale: contestava quindi come del tutto errata l’applicabilità del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).

Sotto altro profilo la difesa ritiene del tutto illogica e contraddittoria la motivazione enunciata nel provvedimento impugnato, a tenore della quale il mantenimento del sequestro era motivato dalla esigenza di salvaguardare il godimento da parte della collettività di un’area demaniale marittima, laddove quell’area faceva parte del patrimonio disponibile del Comune montano di Sellia Marina (come affermato nella sentenza emessa in data 17 maggio 2010 dal Tribunale di Catanzaro prodotta in atti) e non già del pubblico demanio del Comune di Sellia Marina.

Sotto un terzo profilo il ricorrente censura come carente ed illogica la motivazione dell’ordinanza nella parte in cui attribuiva ad esso indagato, formale intestatario della licenza commerciale di esercizio di attività, la commissione della condotta illecita alla quale era asseritamente estraneo.

Con il secondo motivo la difesa, nel reiterare la doglianza di erronea applicazione della legge correlata alla natura demaniale pubblica dell’area sulla quale la struttura insisteva, rileva come in ogni caso il periculum in mora fosse stato affermato in modo del tutto illogico da parte del Tribunale, senza alcuna valutazione della effettività ed attualità del pericolo anche in relazione alla limitata struttura del manufatto, del suo "trascurabile impatto ambientale" e della intervenuta ultimazione.

Con il terzo motivo la difesa rileva come la normativa regionale – illogicamente ed erroneamente disapplicata dal Tribunale – di cui alla L.R. n. 29 del 2010, artt. 1 e 2 prevedesse per legge, senza alcuna discrezionalità da parte dell’Autorità Amministrativa, la possibilità in via eccezionale della sanatoria temporanea del mantenimento.

Il ricorso non può essere accolto.

Con riferimento al primo motivo, va premesso – come peraltro enunciato nel provvedimento impugnato – che nel caso di adozione di misure cautelari reali, il controllo del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve essere limitato alla verifica della corrispondenza della fattispecie astratta di reato ipotizzata dall’accusa al fatto per cui si procede, verifica che non potrà essere disancorata dall’analisi delle deduzioni difensive offerte dalle parti, essendo preciso obbligo del giudice quello di dare conto anche delle ragioni per le quali per le quali il fatto integra il reato contestato, posto che quest’ultimo è antecedente logico e necessario del provvedimento cautelare (in questo senso Cass. Sez. 2A 23.3.2006 n. 19523, P.M. in proc. c. Cappello, Rv. 234197; Cass. Sez. 3A 20.5.2010 n. 27715, Barbano, Rv.

248134).

Ovviamente, poichè è compito del giudice quello di esaminare il fumus criminis in tutte le componenti relative alla fattispecie contestata, ivi compreso l’elemento soggettivo, solo laddove questo risulti ad evidenza insussistente, potrà essere rilevata l’infondatezza del fumus commissi delicti (in questo senso Cass. Sez. 4A 21.5.2008 n. 23944, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521; Cass. Sez. 3A 11.3.2010, D’Orazio, Rv. 247103).

Tanto precisato, va ribadita la correttezza della motivazione adottata dal Tribunale il quale – nel confermare il provvedimento cautelare del GIP – non solo ha verificato nei limiti dei poteri propri del giudizio di riesame la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 321 c.p.p., ma ha attentamente valutato tutte le deduzioni difensive per poi rigettarle in quanto infondate.

E’ pacifico in atti che la struttura realizzata dal ricorrente fosse di tipo "precario" in relazione alla possibilità di un agevole smontaggio e rimozione a semplice richiesta dell’Autorità amministrativa: la precarietà della struttura era peraltro strettamente correlata ad una attività di tipo stagionale connessa al periodo della balneazione.

Per pacifica giurisprudenza di questa Corte, il carattere stagionale di un manufatto non implica la precarietà dell’opera, potendo questa essere destinata al soddisfacimento di un bisogno di carattere non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione (in termini, Cass. Sez. 3A, 19.2.2004 n. 11880, Pieri, Rv. 227572; v. anche per il concetto di "precarietà", Cass. Sez. 3A 25.2.2009 n. 22054, Frank, Rv. 243710).

Inoltre come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte – dalla quale non si ritiene di discostarsi – la mancata rimozione di un’opera edilizia allo spirare del termine stagionale integra in ogni caso l’ipotesi contravvenzionale di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44.

Secondo il combinato disposto del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e art. 40 c.p., comma 2 (a tenore del quale non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo), il soggetto autorizzato ad installare un manufatto di tipo non stabile ed a mantenerlo per finalità esclusivamente stagionali, nel momento in cui non ottemperi all’ordine di rimozione, per ciò solo risponde del reato urbanistico (in termini Cass. Sez. 3A 6.6.2006 n. 29871, Sciavilla, Rv. 234939). Non è quindi conforme a diritto la tesi difensiva che intravede nella decisione del Tribunale una violazione del principio di stretta legalità mediante una applicazione analogica in malam partem delle disposizioni dettate dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, in quanto tale testo va comunque coordinato con il principio generale desunto dall’art. 40 c.p., comma 2 applicabile in via generale sia per le fattispecie delittuose che per quelle contravvenzionali, pena una inammissibile estensione dell’area della impunibilità.

Che il ricorrente avesse, nel caso in esame, l’obbligo giuridico di conformarsi all’ordine imposto dall’Autorità amministrativa lo si evince chiaramente dal contenuto stesso del provvedimento concessorio di mantenimento del 30 luglio 2009 che prevedeva un obbligo di rimozione al termine della stagione cosi come poi imposto con la menzionata ordinanza del 25 maggio 2010 rimasta ineseguita.

Anche il rilievo del ricorrente relativo ad un presunto travisamento del fatto nella misura in cui il Tribunale aveva affermato che "il dissequestro comporterebbe il concreto rischio della illegittima sottrazione al godimento collettivo di un’area demaniale marittima" non appare pertinente al caso in esame, indipendentemente o meno dalla natura di area appartenente al patrimonio disponibile del Comune, in quanto nella specie veniva in rilievo esclusivamente la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) che nulla ha a che vedere con una eventuale occupazione di area demaniale passibile di autonoma (e diversa) sanzione penale.

In ultimo, non appare rilevante la circostanza dedotta in ordine al punto sub 1/c del primo motivo di ricorso, in quanto indipendentemente dal rilievo che è ben possibile l’adozione di un sequestro preventivo anche nei confronti di soggetto estraneo al reato, salva una posizione di buona fede emergente ictu oculi, nel caso in esame C.M.N. risulta indagato per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) quale concorrente nell’abuso: e in ordine al coinvolgimento diretto di costui nell’illecito urbanistico sia pure al limitato fine della individuazione del fumus criminis il Tribunale ha fornito adeguata e razionale spiegazione, esente da vizi logici.

Conseguen temente la motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di individuazione del fumus commissi delicti appare esaustiva e rispettosa dei principi di diritto sopra enunciati. Per quanto concerne il periculum in mora, oltre a ribadire l’insussistenza del denunciato travisamento dei fatti correlato ad una errata qualificazione della natura giuridica dell’area sulla quale il manufatto insisteva, rileva la Corte che correttamente il Tribunale ha ravvisato una situazione di pericolo in relazione alla persistenza del funzionamento della struttura comportante l’aggravamento del reato o il protrarsi delle conseguenze di esso o la commissione di nuovi reati. Nessun rilievo assume la doglianza difensiva circa "il trascurabile impatto ambientale" derivante da una struttura di tipo precario, dal quale conseguirebbe una inesatta valutazione da parte del Tribunale del periculum in mora in termini di concretezza ed attualità.

Ai fini della sua configurabilità, è necessario che il bene oggetto della misura cautelare presenti un’intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto ai reati commessi ovvero a quelli di cui si paventa la realizzazione, in modo che l’individuato legame non sia meramente occasionale ed episodico, bensì abitualmente protratto nel tempo e tipicamente indicativo delle modalità di realizzazione dell’attività illecita ipotizzata Cass. Sez. 6A 9.7.2009 n. 35161, Montagna, Rv. 245283).

Il che consente di ritenere legittimo il sequestro preventivo senza che sia necessario verificare la sussistenza di un collegamento tra il reato ed una persona, residuando per il giudice un dovere specifico di motivazione sul requisito del periculum in mora in termini di semplice probabilità del collegamento di tali beni con le attività criminose dell’indagato. Il provvedimento impugnato anche sotto tale specifico profilo appare esaurientemente e correttamente motivato senza alcun vizio logico, soprattutto con riguardo alla concretezza ed attualità del pericolo, riguardata alla luce di un comportamento omissivo perdurante da tempo. Tale valutazione non poteva ovviamente prescindere da un esame circa i limiti imposti al singolo da parte dell’Autorità Amministrativa, specificati in quel provvedimento provvisorio di concessione destinato a venir meno (salve autorizzazioni ulteriori nella specie mai rilasciate) al termine della stagione estiva.

In ultimo, con riguardo alla denunciata violazione di legge in riferimento alle disposizioni contenute nella L.R. 30 luglio 2010, n. 20, (e non 23.7.2010 come erroneamente indicato dal Tribunale), la censura è infondata.

Va anzitutto chiarito che le norme evocate dalla difesa del ricorrente come oggetto di violazione (artt. 1 e 2, L.R. in parola) riguardano, rispettivamente, le finalità generali (individuabili nella disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo destinato a fini turistico-ricreativi) e la classificazione delle attività turistiche e ricreative.

Già il testo del menzionato art. 2 contiene un limite (a conferma della non automaticità dell’applicazione della legge) nel comma 3 che consente ai titolari delle concessioni già autorizzate di poter effettuare, previa comunicazione all’autorità concedente, il montaggio delle strutture "nei 30 giorni precedenti la data di efficacia dell’autorizzazione, escludendosi nel periodo sopraindicato qualsiasi attività di impresa turistico-ricreative", il che sta a significare che è inibito ad un soggetto titolare di concessione di iniziare l’attività anzitempo pur essendogli riconosciuto il potere di montare le strutture prima della data di efficacia dell’autorizzazione.

Ma, come esattamente ricordato dal Tribunale, l’art. 14 della stessa legge intitolato "norme di salvaguardia" prevede al comma 1 che "dalla data di entrata in vigore dei PIR e fino all’entrata in vigore del PCS, formato ed adeguato secondo le prescrizioni ed indicazioni dei PIR, nei casi di richieste di concessioni demaniali marittime a supporto di attività ricettive alberghiere, di villaggi turistici ed impianti di pubblico interesse, per comprovate e documentate esigenze, potrà essere rilasciata, in via del tutto eccezionale, autorizzazione provvisoria ai fini delle attività inerenti ai servizi di balneazione limitatamente alla sola stagione estiva 2010, a condizione che le stesse aree con le medesime destinazioni siano incluse nei redigenti PCS. L’eventuale eccezionale autorizzazione temporanea non comporta il cd. "diritto di insistenza".

Il testo normativo non presta il fianco ad equivoci in ordine alla discrezionalità del rilascio dell’eventuale autorizzazione connessa a comprovate e documentate esigenze rimaste invece del tutto indimostrate. Non può quindi convenirsi con la difesa laddove si afferma che la norma in parola attribuisce "un vero e proprio diritto soggettivo……..condizionato alla semplice formalizzazione della richiesta " (così pag. 12 del ricorso), in quanto è evidente che al concetto di eccezionalità deve far seguito da parte del privato interessato una più puntuale e rigorosa dimostrazione di specifiche esigenze. E tanto basta a ritenere discrezionale e non obbligatorio (e legato a semplici adempimenti di carattere formale) il potere di rilascio della autorizzazione da parte della P.A.).

In questo senso deve quindi escludersi, contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, che con l’ordinanza impugnata siano stati travalicati poteri propri dell’Autorità Amministrativa essendosi il Tribunale limitato alla verifica della sussistenza di determinati presupposti richiesti per legge ai fini dell’applicabilità di una disciplina di carattere eccezionale.

Il ricorso va quindi rigettato: segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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