Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-06-2012, n. 10958 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 1996 il Condominio (OMISSIS) convenne in giudizio l’Istituto Autonomo Case Popolari di Messina esponendo che detto ente era proprietario di una bottega ricadente nello stabile condominiale e che il conduttore della stessa aveva aperto una porta che lo metteva in comunicazione con l’androne, in violazione del regolamento condominiale. Chiese pertanto la condanna del convenuto all’eliminazione della porta ed al risarcimento del danno.

L’Istituto si oppose alla domanda e, su autorizzazione del giudice, chiamò in causa il conduttore della bottega, C.F., chiedendo di essere manlevato in caso di condanna.

Il Tribunale respinse le domande del Condominio e la relativa decisione fu confermata dalla Corte di appello di Messina con sentenza n. 132 del 7 marzo 2005. In particolare, il giudice di secondo grado, dichiarato inammissibile per tardi vita l’appello proposto nei confronti degli eredi di C.F., motivò la sua conclusione affermando che il Condominio non aveva fornito la prova necessaria che l’androne fosse di proprietà dei soli condomini titolari degli appartamenti che vi si affacciavano, non avendo dimostrato che il regolamento del condominio, che pure disponeva in tal senso, avesse natura contrattuale e fosse pertanto vincolante per tutti, con l’effetto che il bene stesso doveva ritenersi comune a tutti i condomini, con conseguente diritto del convenuto ad utilizzarlo senza pregiudizio degli altri.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 21 aprile 2006, ricorre il Condominio in persona del suo amministratore, a ciò autorizzato con delibera dell’8 giugno 2005, affidandosi a tre motivi.

L’ICAP non si è costituito, mentre gli eredi C. hanno notificato controricorso e ricorso incidentale, contenente un unico motivo.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

Il primo motivo del ricorso principale avanzato dal Condominio denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 51 cod. proc. civ., deducendo la nullità della sentenza di secondo grado in quanto pronunciata da un collegio di cui faceva parte, in qualità di relatore ed estensore, il medesimo magistrato che in primo grado, pur senza decidere la causa, aveva svolto le funzioni di giudice istruttore ed aveva, in tale veste, autorizzato l’Istituto Autonomo Case Popolari convenuto a chiamare in causa il C..

Il mezzo è infondato.

Questa Corte ha già chiarito, adottando un orientamento che il Collegio condivide e fa proprio, che il giudice che, come nel caso di specie, abbia partecipato soltanto alla attività istruttoria nel corso del giudizio di primo grado, senza poi prender parte alla decisione della causa, non incontra alcuna incompatibilità a comporre il collegio giudicante in secondo grado e non è pertanto gravato dal dovere di astensione previsto dall’art. 51 cod. proc. civ., comma 1 n. 4, con l’ulteriore precisazione che, in ogni caso, l’inosservanza di un eventuale dovere di astensione non da luogo alla nullità della sentenza per irregolare composizione del collegio giudicante, qualora la parte interessata non abbia proposto istanza di ricusazione (Cass. n. 11593 del 2009; Cass. n. 7578 del 2007).

Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 331 e 332 cod. proc. civ., assumendo che la Corte di appello, vertendosi in ipotesi di cause inscindibili, non avrebbe potuto dichiarare inammissibile per tardività l’appello proposto nei confronti del C..

Il mezzo è infondato.

Da quanto emerge dall’esposizione dei fatti di causa contenuta nella sentenza impugnata e nello stesso ricorso risulta che il C., quale conduttore dell’immobile, venne chiamato in giudizio a titolo di manleva dal solo Istituto Autonomo Case Popolari, che, quale proprietario del bene, non contestò mai la propria legittimazione passiva in ordine alla domanda proposta dal Condominio; risulta altresì che quest’ultimo non propose alcuna domanda nei confronti del terzo chiamato, il quale si difese deducendo la legittimità dell’opera realizzata. Date queste premesse in fatto, appare evidente, da un lato, che la domanda del convenuto nei confronti del terzo era fondata su un titolo autonomo ed indipendente da quello dedotto in giudizio con la domanda principale, e dall’altro, che le due domande, l’una del Condominio nei confronti dell’Istituto convenuto e l’altra di quest’ultimo nei confronti del terzo chiamato, pur essendo state trattate congiuntamente nello stesso giudizio, hanno dato luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo, sicchè la decisione adottata, che aveva rigettato la domanda dell’attore e, per l’effetto, ritenuta assorbita quella di manleva nei confronti del terzo, appare pronunciata con riguardo a cause scindibili, per le quali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 cod. proc. civ., è esclusa la necessità del litisconsorzio (Cass. n. 2257 del 2010; Cass. n. 1197 del 2010). Ne deriva che, correttamente, il giudice di appello, di fonte alla proposizione del gravame da parte del Condominio nei confronti del convenuto e del terzo – nei cui riguardi l’interesse ad impugnare poteva ravvisarsi nella circostanza che la decisione del Tribunale aveva riconosciuto il diritto del C. ad utilizzare le parti comuni dell’edificio – ha valutato separatamente il termine per la proposizione del gravame nei confronti delle altre parti, escludendo l’applicabilità della regola, valevole solo per le cause inscindibili, che considera tempestiva l’impugnazione anche qualora sia notificata in termine ad uno solo dei contraddittori necessari (Cass. n. 3071 del 2011; Cass. n. 13753 del 2009).

Il terzo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ., lamenta che il giudice di appello non abbia affermato la natura contrattuale del regolamento, tenuto conto che era stato autorizzato nel 1971 dal Provveditorato per le OO.PP. ed era stato richiamato ed inserito per estratto dall’IACP nei singoli atti di vendita.

Il motivo non sembra superare un primo vaglio di ammissibilità, dal momento che deduce l’omessa valutazione da parte del giudice di merito dei documenti da cui risulterebbe la natura contrattuale del regolamento condominiale, ma senza trascriverne il contenuto nè indicare in quale fase del processo essi sarebbero stati acquisiti in causa. E’ noto, per contro, che, per il principio di autosufficienza, il ricorrente per cassazione che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di merito di risultanze istruttorie ha l’onere di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate ed il momento in cui sono stati acquisiti, al fine di consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di valutare la ritualità delle prova in uno con la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Costituisce diritto vivente di questa Corte il principio che il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006).

Nel caso di specie, in particolare, il ricorso non rispetta il suddetto principio di autosufficienza, in quanto omette completamente di riprodurre il testo dei documenti su cui ritiene di poter fondare le proprie censure, mancanza che impedisce al Collegio qualsiasi valutazione sul punto.

Il ricorso principale va pertanto respinto.

Con l’unico motivo, i ricorrenti in via incidentale si dolgono, deducendo violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e vizio di motivazione, della statuizione della sentenza impugnata che ha compensato, anche nei loro confronti, le spese di secondo grado, nonostante che l’appello loro rivolto fosse stato dichiarato inammissibile.

Il mezzo è fondato, non avendo la Corte fornito alcuna motivazione della statuizione di compensazione delle spese di lite tra l’appellante e la controparte C., nè potendo desumersi tali ragioni per implicito dal contenuto della decisione, tenuto conto che l’appello avanzato dal Condominio nei loro confronti non risulta respinto nel merito, ma dichiarato inammissibile per tardività. E’ noto per contro che la giurisprudenza di questa Corte ha formulato il principio secondo cui, anche nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve essere motivato dal giudice, pur potendosi le relative ragioni desumersi, per implicito, dal contenuto della decisione (Cass. 24531 del 2010; Cass. S.U. n. 20958 del 2008).

Il ricorso incidentale va pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi, rigetta quello principale del Condominio ed accoglie quello incidentale degli eredi C.; cassa, in relazione al ricorso accolto, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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