Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-06-2011) 05-12-2011, n. 45063 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 19 gennaio 2011 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Palermo con la quale C.G. (imputato dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), artt. 64, 65, 71 e 72, accertati in (OMISSIS)) era stato condannato alla pena di mesi due di arresto ed Euro 12.000,00 di ammenda, concedeva le circostanze attenuanti generiche, riducendo la pena a quella ritenuta di giustizia.

La vicenda oggetto del processo riguarda la realizzazione, ad opera dell’imputato, di un manufatto nel centro urbano di Palermo senza il relativo permesso di costruire e i prescritti nulla osta del Genio Civile.

La Corte territoriale, in risposta alle doglianze difensive, aveva disatteso la tesi della insussistenza del reato per effetto della avvenuta presentazione della richiesta di concessione in sanatoria della Legge fondamentale urbanistica L. n. 47 del 1985, ex art. 13 (oggi D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36) ed, ancora, la tesi della insussistenza del reato in relazione a quanto previsto dalla L.R. Sicilia n. 4 del 2003, art. 18; disattendeva, ancora, le subordinate doglianze volte a far ritenere illegittimi l’ordine di demolizione e la subordinazione ad esso del concesso beneficio della sospensione condizionale ed, ancora, le censure in punto di trattamento sanzionatorio e quella diretta ad ottenere l’indulto.

La Corte di Appello perveniva a tali conclusioni ritenendo inapplicabili le disposizioni di cui alla L.R. n. 4 del 2003, art. 18, comma 4, invocata dall’imputato in relazione alla particolare tipologia della costruzione, non mancando di rilevare come in ogni caso la richiesta di concessione in sanatoria avanzata dall’imputato alla Autorità Amministrativa fosse stata respinta (a riprova della illegittimità dell’intervento edilizio) e ritenendo palesemente infondate le doglianze subordinate.

Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo erronea applicazione della legge penale per avere la Corte di Appello ritenuto l’immobile non sanabile in contrasto con quanto previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 13 immotivamente disapplicato.

Con un secondo motivo la difesa lamenta contraddittorietà della motivazione travisamento della prova laddove la Corte aveva confermato la legittimità dell’ordine di demolizione.

Con un terzo motivo deduce analogo vizio sia con riferimento al mancato riconoscimento dell’indulto che in ordine alla subordinazione del beneficio di cui all’art. 165 c.p. alla demolizione.

Con il quarto ed ultimo motivo la difesa lamenta omessa motivazione in punto di mancata declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Quanto al primo motivo, la difesa introduce censure di fatto come tali insuscettibili di essere valutate in sede di legittimità nella misura in cui richiede alla Corte di rivalutare prove (dichiarative) già assunte nella fase di merito e oggetto di specifico esame da parte della Corte esente da vizi logici.

La Corte ha, infatti, con ampia ed esauriente motivazione chiarito quali fossero i limiti della L.R. Sicilia n. 4 del 2003, nel caso in esame palesemente travalicati dall’imputato, precisando che interventi aventi per oggetto una modificazione delle altezze di colmo o di gronda e delle linee di pendenza delle falde (vietata dall’art. 4, comma 7, L.R. citata) non potevano considerarsi sanabili.

Nessun vizio di contraddittorietà risulta dalla decisione impugnata relativamente alla mancata revoca dell’ordine di demolizione, essendosi il giudice di merito uniformato alla costante giurisprudenza di questa Corte che riconosce al giudice penale lo specifico potere di disporre la demolizione di una costruzione abusiva, costituendo il detto ordine atto dovuto in caso di condanna penale e di mancata esecuzione della demolizione, in quanto la misura emessa dal giudice penale costituisce un rafforzamento di quella a diversi fini disposta dall’Autorità Amministrativa onde rendere ineludibile l’obbligo della demolizione delle opere abusive (Cass. Sez. 3A n. 73 del 12.6.1992; Cass. Sez. 6A n. 2996 del 26.3.1993).

Da qui consegue la natura penale di tipo "accessorio " dell’ordine di demolizione impartito dal giudice penale (così, Cass. Sez. Un. 3.2.1997 n. 714; Cass. Sez. 3A 17.3.1997 n. 2543), sempre suscettibile di revoca da parte dello stesso giudice che lo ha emesso per accertata incompatibilità con altri provvedimenti adottati dalla autorità amministrativa ovvero quando siano venuti meno i presupposti che lo avevano determinato (Cass. Sez. 3A n. 1946 15.12.1992 n. 1946).

Del tutto ragionevolmente la Corte ha confermato la legittimità dell’ordine in correlazione, oltretutto, con una circostanza – per come è dato leggere nella sentenza – inequivoca, quale il rigetto della istanza di sanatoria del privato.

Anche il motivo afferente alla presunta contraddittorietà in punto di mancata eliminazione del vincolo della subordinazione del beneficio di cui all’art. 165 c.p. alla demolizione è palesemente infondato, avendo la Corte, con motivazione ampia ed esauriente anche sotto il profilo logico, affermato la legittimità della subordinazione de qua in ossequio al principio enunciato dall’art. 165 c.p. il quale prevede che la sospensione condizionale della pena possa essere subordinata alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, tra le quali rientra certamente la costruzione senza concessione edilizia in quanto dannosa per l’assetto del territorio (Cass. sez. 5 n. 10309 del 30.9.1998).

Stesse considerazioni valgono con riferimento alla mancata concessione dell’indulto, stante la prevalenza del concesso beneficio della sospensione condizionale della pena (ancorchè subordinata a specifici adempimenti) sul condono e non potendo pertanto coesistere i due benefici (Cass. S.U. 17.7.2010, n. 36837, P.G. in proc. Bracco Rv. 247940).

Infine, palesemente inconsistente il motivo di appello riguardante la mancata declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione, non essendo la stessa maturata – come puntualmente ricordato dlla Corte – per mancato decorso del termine di cinque anni (comprensivo della proroga nella misura di 1/4) dalla data di commissione dell’illecito, tenuto anche conto della disposta sospensione per legittimo impedimento dell’imputato per complessivi giorni sessanta dal 2 dicembre 2008 al 3 febbraio 2009.

Alla statuizione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento della somma – ritenuta congrua – di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *