Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-12-2011) 06-12-2011, n. 45364 Diritto comunitario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma dichiarava la sussistenza delle condizioni favorevoli alla consegna di P.W. richiesta dall’autorità giudiziaria della Polonia, con mandato di arresto Europeo, al fine di instaurare nei suoi confronti il procedimento penale per il reato di lesioni volontarie, commesso l'(OMISSIS). Con la stessa sentenza, la Corte di appello si pronunciava negativamente su altra richiesta di consegna, in quanto relativa a reato commesso in epoca antecedente al 7 agosto 2002 e per il quale era necessario attivare la procedura estradizionale.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione la persona richiesta in consegna, deducendo:

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento alla L. n. 69 del 2005, art. 6, commi 3 e 4, per carenza di allegazione del testo originario del titolo di custodia cautelare, della descrizione delle circostanze della commissione del reato, delle indicazioni di legge applicabili, della l’indicazione del tipo e della durata della pena; della indicazione delle fonti di prova, del testo e del luogo della commissione dei fatti e della loro qualificazione giuridica.

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento alla L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 1, per carenza delle informazioni richieste alle lett. c), d), e), f) e g), in quanto non sarebbero indicati con certezza nel mandato di arresto Europeo la descrizione delle circostanze della commissione del reato, compresi il momento, il luogo e il grado di partecipazione del ricercato, nè la pena minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione, nè le altre conseguenze del reato.

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. e), non essendo stata verificata la presenza nella legislazione polacca di termini massimi di carcerazione preventiva.

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento alla L. n. 69 del 2005, art. 19, comma 1, lett. a) e c), in quanto non è stata riconosciuta la condizione di residente, nonostante la produzione di documentazione attestante il radicamento nello Stato italiano del consegnando (contratto di locazione datato 2008 e con scadenza nel 2012; attività lavorativa).

– la violazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento alla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. h), sussistendo serio pericolo che la persona, una volta consegnata, venga poi sottoposta ad altre pene, quale segnatamente quella per la quale la Corte di appello ha rifiutato la consegna.

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con riferimento alla mancata applicazione della prescrizione. Si fa altresì presente che la persona, richiesta in consegna per essere sottoposa ad un periodo di custodia di 3 mesi, ha già trascorso 2 mesi in custodia cautelare.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è da ritenersi infondato in tutte le sue articolazioni e deve essere pertanto rigettato.

2. La prima doglianza è priva di fondamento. L’omessa allegazione al mandato d’arresto Europeo della relazione sui fatti addebitati alla persona di cui è richiesta la consegna, secondo la previsione della L. n. 69 del 2005, art. 6, comma 4, lett. a), non costituisce causa ostativa alla decisione di consegna, sempre che lo Stato d’emissione abbia comunque offerto all’autorità giudiziaria italiana tutti gli elementi utili per esercitare il suo controllo (tra le tante, Sez. 6 n. 46294 del 09/12/2008, Banys, Rv. 242235).

Nel caso in esame, la descrizione del fatto, comprensiva del tempo e del luogo di commissione e della loro qualificazione giuridica, è contenuta puntualmente nella sezione "E" ("Reati"), par. 2 ("Circostanze dei reati") del mandato di arresto Europeo trasmesso dall’autorità polacca. In esso si precisa che il P., il giorno (OMISSIS), partecipava ad una rissa, agendo in concorso con altre due persone identificate, in danno di Pr.

S., cagionandogli con calci e pugni lesioni al volto e alla testa, giudicate guaribili in 7 giorni e punibili secondo l’art. 158 c.p. polacco, par. 1, (reato contro la vita e la salute).

Contrariamente all’assunto del ricorrente, è stata altresì acquisita dalla Corte di appello la copia autenticata del provvedimento giudiziario posto a sostegno del mandato di arresto Europeo, ovvero la decisione del Tribunale di Konskie del 30 ottobre 2003, con la quale è stata applicata al P. la misura della custodia in carcere per la durata di mesi tre per il suddetto reato di lesioni.

In tale documento è puntualmente indicato il materiale probatorio posto dall’autorità giudiziaria polacca a fondamento del titolo restrittivo (secondo l’autorità di emissione, le deposizioni dei testi e la perizia legale dimostravano con "molta probabilità" che il P. avesse commesso il reato contestatogli nell’atto di accusa) e necessario per determinare l’identità della persona ricercata. La suddetta indicazione soddisfa il controllo che l’autorità giudiziaria italiana deve compiere sul mandato di arresto Europeo quanto alla verifica della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, che, come più volte affermato da questa Suprema Corte, deve limitarsi all’accertamento che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348).

Quanto al requisito della "motivazione" del provvedimento cautelare in base al quale è stato emesso il mandato d’arresto Europeo, va ribadito che non può essere invocata la nozione di motivazione, ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, che richiede l’esposizione logico-argomentativa del significato e delle implicazioni del materiale probatorio, ma è sufficiente che l’autorità giudiziaria emittente abbia dato "ragione" del provvedimento adottato. Il che può realizzarsi, come nel caso in esame, anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna (Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235349).

In relazione alla verifica delle esigenze cautelari, poste a fondamento del suddetto titolo restrittivo, va rilevato che, in presenza di un m.a.e. processuale, non compete all’autorità giudiziaria italiana controllare la sussistenza delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p. per l’adozione del provvedimento cautelare "interno" da parte dell’autorità giudiziaria estera, rilevando unicamente il fatto che il mandato d’arresto Europeo sia una decisione giudiziaria emessa al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale (Sez. 6, n. 45525 del 20/12/2010, Donnarumma, Rv. 248970). Nel caso in esame, il provvedimento restrittivo è stato emesso, come si evince dalla lettura del provvedimento custodiale del Tribunale polacco, al fine di instaurare il dibattimento, una volta constatata l’irreperibilità del P., posto che, secondo l’ordinamento giuridico dello Stato di emissione, non è consentita la celebrazione del processo penale in assenza dell’imputato (per una analoga fattispecie, Sez. 6, n. 19360 del 18/05/2010, Junski, Rv. 247343).

Quanto infine alle altre informazioni richieste dall’art. 6 L. cit. delle quali il ricorrente lamenta la carente allegazione, va osservato che il mandato di arresto Europeo contiene la puntuale indicazione del tipo e della durata della pena (Sezione "C" ("Informazioni sulla condanna"), nella specie la pena massima di anni tre di reclusione.

Relativamente al testo delle disposizioni di legge applicabili, va ribadito che la sua omessa allegazione non costituisce di per sè causa di rifiuto della consegna, trattandosi di documentazione necessaria solo quando sorgano particolari problemi interpretativi la cui soluzione necessiti delle esatta cognizione della portata della norma straniera, come nel caso della verifica della "doppia punibilità" (tra le tante, Sez. 6, n. 17797 del 05/05/2011, Dragutinovic, Rv. 250068). Nel caso in esame, la omessa allegazione del testo delle disposizioni di legge applicabili non ha impedito all’autorità giudiziaria italiana di effettuare i previsti controlli, nè il ricorrente, che si è limitato ad una generica doglianza, ha dedotto nulla al riguardo.

3. Priva di fondamento è anche la censura versata nel secondo motivo di annullamento. Quanto alle informazioni di cui all’art. 6, comma 1, lett. c), d), e), f) e g) L. cit., si è già detto nel paragrafo che precede.

Va soltanto aggiunto, in relazione all’omessa indicazione della "pena minima" stabilita dalla legge dello Stato di emissione, che non ogni minima lacuna del mandato di arresto determina necessariamente il rifiuto della consegna, prova ne sia che i casi di rifiuto sono molto analiticamente indicati dalla L. n. 69 del 2005, che non contempla tale ipotesi. Nè tale omissione ha avuto nella fattispecie concreta influenza al fine di stabilire le condizioni di legalità della consegna. Va tra l’altro osservato che la previsione nella versione italiana del testo della decisione quadro del requisito della indicazione della "pena minima e massima" stabilita dalla legge dello Stato di emissione è frutto di una non appropriata interpretazione del testo originario in lingua inglese e francese, dove si parla soltanto di "scala di pene" ("scale of penalties", "echelle de peines"), per riferirsi alle varie gradazioni di pena previste per il reato oggetto di consegna (per la presenza di circostanze aggravanti, ad esempio), dovendosi comunque aver riguardo alla sola pena detentiva edittale massima, che è l’unica che rileva ai fini della consegna sia nella decisione quadro sia nella legge italiana attuativa. Infatti nell’Annex della decisione quadro 2002/584/GA, tra le informazioni da indicare per il m.a.e. processuale, in relazione alla pena, vi è solo la "durata massima" della pena detentiva edittale (Sezione "C").

4. inaccoglibili si mostrano anche le doglianze del terzo motivo, avuto riguardo all’oggettiva definizione temporale del mandato di arresto Europeo emesso nei confronti del P. per la sola durata di tre mesi di custodia preventiva, finalizzati allo svolgimento di attività processuale con la necessaria partecipazione dell’imputato.

Questa Cotte Suprema ha già affermato in un’analoga fattispecie, riguardante un m.a.e. emesso da autorità giudiziarie polacche, che deve escludersi che ricorra l’ipotesi prevista dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. e), in relazione ad un mandato di arresto emesso con riferimento ad una misura cautelare "a termine" (Sez. 6, n, 17810 del 27/04/2007, Imbra, Rv. 236586).

5. Venendo al quarto motivo di ricorso, è principio costante di questa Corte, che, in tema di mandato di arresto Europeo, la nozione di "residenza" che viene in considerazione per l’applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, presuppone l’esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. Da tali indici è possibile prescindere solo per il cittadino comunitario che abbia acquisito il diritto di soggiorno permanente in conseguenza di un soggiorno in Italia per un periodo ininterrotto di cinque anni.

Infatti, per riconoscere quel radicamento che giustifica l’esecuzione in Italia non quale opzione discrezionalmente attivabile dal singolo interessato in relazione ad eventuali migliori condizioni, anche normative, del trattamento penitenziario, bensì ai fini di assicurare al meglio la finalità di risocializzazione propria della pena, si è ritenuto in primo luogo necessario il dato della effettiva formale residenza, posto che questo adempimento è il momento da cui decorre il termine per ottenere il permesso permanente.

Ora, nel caso in esame, come ha rilevato la Corte di appello, il ricorrente non risulta aver documentato la condizione di residente, come sopra indicata (è stato soltanto prodotto un contratto di lavoro risalente all’aprile 2011 e un contratto di affitto per un appartamento in Roma dal novembre 2008, stipulato con altro cittadino polacco), dimostrando tra l’altro di avere una scarsa conoscenza della lingua italiana, tanto da doversi ricorrere ad un interprete.

6. Del tutto privo di pregio è il quinto motivo di ricorso. Il dispositivo della sentenza impugnata stabilisce chiaramente che oggetto della consegna è soltanto il m.a.e. processuale per il reato di lesioni commesso l'(OMISSIS), con espresso rifiuto dell’altra richiesta di consegna relativa al m.a.e. esecutivo. Il principio di spedalità, imposto agli Stati membri dall’art. 27 della decisione quadro 2002/584/GA), garantisce in ogni caso la persona consegnata da eventuali nuove "azioni" dello Stato di emissione per reati diversi da quelli oggetto del provvedimento di consegna.

7. Non ha fondamento anche l’ultimo motivo di annullamento. Come esattamente rilevato dalla Corte di appello, la prescrizione del reato secondo la legge dello Stato di esecuzione rileva quale motivo ostativo della consegna soltanto quando i fatti per i quali il mandato d’arresto Europeo è stato emesso potevano essere giudicati in Italia (L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. p)). Il che si verifica quando la consumazione dei reati oggetto del m.a.e. sia avvenuta in tutto o in parte nel territorio italiano (Sez. 6, n. 7580 del 25/02/2011, H., Rv. 249233).

Nè può ritenersi maturata la prescrizione del reato secondo lo Stato di emissione; come indicato nel m.a.e. (Sezione "1" – Prescrizione) la data di prescrizione è l’8 febbraio 2013.

Va inoltre rilevato che non è ostativa alla consegna a fini processuali la circostanza che il periodo di custodia cautelare a cui sia stata sottoposta in Italia la persona richiesta sia eguale o addirittura superiore al termine di durata della misura cautelare predeterminato nel provvedimento cautelare dello Stato di emissione (Sez. 6, n. 16544 del 27/04/2010, T., Rv. 246749). Il termine fissato per l’efficacia della misura cautelare straniera, posta a base del m.a.e., non può infatti che decorrere dal momento in cui la persona viene posta concretamente a disposizione dell’autorità giudiziaria dello Stato emittente. La detenzione sofferta in Italia in prospettiva della consegna sarà infatti scomputata dalla pena che verrà eventualmente inflitta alla persona reclamata in caso di condanna (cfr. art. 26 della decisione quadro 2002/584/GA).

Non resta infine che osservare che l’ultima parte del ricorso è frutto di un evidente refuso di scrittura.

8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. La cancelleria provvedere agli adempimenti previsti dalla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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