Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-11-2011) 06-12-2011, n. 45436

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 16 novembre 2010 la Corte di Appello di Napoli ha respinto la domanda proposta da B.C., intesa ad ottenere la detrazione di un periodo di custodia cautelare pari ad anni 2, mesi 7 e giorni 14 dal 7 giugno 1995 al 21 gennaio 1998, da lui sofferto in relazione ad un reato (partecipazione ad associazione di stampo mafioso) per il quale era stato assolto dal Tribunale di Nola con sentenza n. 270 del 18 agosto 1999.

L’istante era stato in seguito condannato alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione dal medesimo Tribunale di Nola con sentenza n. 499 del 16 marzo 2006, modificata dalla Corte d’appello di Napoli solo con riferimento alla pena; e la condotta addebitata all’istante con tale ultima sentenza di condanna sarebbe cessata, secondo l’istante, al momento del suo arresto, avvenuto il 7 giugno 1995. 2. Secondo la Corte d’appello di Napoli nel caso in esame non erano ravvisabili i presupposti per l’applicazione della norma di cui all’art. 657 cod. proc. pen., comma 4, secondo cui potevano essere conteggiati a favore dell’imputato solo i periodi di custodia cautelare subite dopo la commissione del reato, per il quale doveva essere determinata la pena da eseguire.

Al contrario, la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Nola il 16 marzo 2006 aveva accertato la partecipazione dell’istante ad un’associazione criminoso di stampo mafioso ritenuta come sussistente dal 13 luglio 1995 e con condotta perdurante, da ritenere pertanto sussistente fino all’emissione della sentenza di primo grado e quindi, nella specie, fino al 16 marzo 2006, si che nessun rilievo poteva avere il fatto che l’istante era stato tratto in arresto il 7 giugno 1995, ben potendosi ritenere sussistente il reato associativo fino alla data di pronuncia della sentenza di primo grado (16 marzo 2006), si che il periodo di custodia cautelare sofferto dall’istante non poteva ritenersi successivo alla commissione del reato, per il quale doveva essere determinata la pena da eseguire.

3. Avverso detta ordinanza della Corte di Appello di Napoli propone ricorso per cassazione B.C. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto tre motivi di ricorso.

Col primo motivo lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in quanto il provvedimento impugnato non aveva tenuto conto del contenuto della sentenza del Tribunale di Nola in data 16 marzo 2006, dalla quale era viceversa desumibile che la permanenza dell’associazione di stampo mafioso, della quale esso ricorrente era stato ritenuto partecipe, era iniziata nell’aprile del 1995 e cessata quanto meno alla fine del 1995; pertanto il provvedimento impugnato erroneamente aveva ritenuto sussistente nella specie la fictio iuris della permanenza del reato associativo fino alla sentenza di primo grado.

Col secondo motivo lamenta violazione di legge e motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, in quanto il provvedimento impugnato aveva ritenuto che il concetto di "contestazione aperta" fosse diverso dall’espressione "condotta perdurante", mentre invece si trattava di espressioni equivalenti, dovendosi parlare di condotta aperta non solo quando mancava quella d’inizio del reato, ma anche quando mancava l’indicazione della data di cessazione della permanenza, atteso che, anche in tale ultimo caso, occorreva andare oltre la formulazione del capo d’imputazione e ricercare le prove dell’effettiva cessazione del comportamento criminoso.

Col terzo motivo lamenta erronea applicazione di legge per non avere ritenuto che, nella specie, la data di sua partecipazione all’associazione criminosa di stampo mafioso non fosse da ritenere coincidente con la data del suo arresto, avvenuto il 7 giugno 1995, in quanto lo stato di detenzione aveva comportato tendenzialmente la cessazione del vincolo associativo, atteso che la privazione della libertà era una condizione che impediva all’associato di prendere attivamente parte alla consorteria criminale, non potendosi ritenere che l’inerzia silente del sodale detenuto che si limitasse a non dissociarsi potesse essere ritenuta come attività partecipativa ad associazione di stampo mafioso; nella specie in esame poi la sua partecipazione all’associazione criminosa avrebbe dovuto essere fatta coincidere con la sua carcerazione, avvenuta il 7 giugno 1995.

Motivi della decisione

1. I tre motivi di ricorso proposti da B.C., da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro, sono fondati.

2. Secondo il ricorrente, il principio di cui all’art. 657 c.p.p., comma 4, secondo cui una carcerazione pregressa può computarsi come carcerazione fungibile se successiva alla commissione del reato, per il quale doveva essere determinata la pena da eseguire, era applicabile in suo favore nel caso in esame, in quanto la seconda associazione camorristica, per la quale era stato condannato in via definitiva dal Tribunale di Nola con sentenza del 16 marzo 2006, sebbene contestatagli in imputazione come sussistente dal 13 luglio 1995, con condotta perdurante, e quindi protrattasi fino alla data della sentenza di primo grado (16 marzo 2006), dall’esame della motivazione della sentenza era da ritenere invece come sussistente fino al 1995 e, comunque, per esso ricorrente, fino al 7 giugno 1995, con conseguente applicabilità in suo favore del principio anzidetto, in quanto la carcerazione cautelare da lui subita sarebbe stata successiva alla seconda contestazione associativa, per la quale era intervenuta nei suoi confronti sentenza irrevocabile di condanna.

3. La giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che l’istituto della fungibilità delle pene espiate senza titolo non è applicabile ai reati permanenti, qualora la permanenza sia cessata dopo l’espiazione della pena senza titolo (cfr., in termini, Cass. 1^, 10.4.08 n. 17829, Rv. 240288). A tal riguardo l’ordinanza impugnata ha ritenuto che il secondo reato associativo fosse stato contestato al ricorrente come perdurante dal 13 luglio 1995 fino alla sentenza di primo grado (16 marzo 2006) e quindi in epoca successiva alla carcerazione preventiva, di cui il ricorrente ha chiesto dichiarasi la fungibilità. E’ tuttavia noto che, in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia stata effettuata nella forma cd. "aperta", la regola di natura processuale, secondo cui la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado, non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, si che, qualora in sede esecutiva debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione di permanenza, il giudice dell’esecuzione è tenuto a verificare in concreto se il giudice di cognizione abbia o meno ritenuta provata la protrazione della condotta criminosa fino alla data della sentenza di primo grado (cfr., in termini, Cass. Sez. 1 n. 27335 del 26/09/2007 dep. 10/10/2007, Cannella, Rv. 237506).

4. Nella specie il provvedimento impugnato non ha effettuato alcun esame della sentenza emessa dal Tribunale di Nola il 16 marzo 2006, modificata dalla Corte d’appello di Napoli solo con riferimento alla pena, onde verificare se, effettivamente, come sostenuto dal ricorrente, la permanenza del reato di associazione criminosa di stampo mafioso sia stata ritenuta a carico del medesimo come sussistente per un periodo diverso rispetto a quello indicato nel capo d’imputazione.

5. Da quanto sopra consegue l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Napoli, affinchè, in piena autonomia di giudizio, provveda a colmare la lacuna motivazionale sopra riscontrata.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Napoli.

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