Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-06-2012, n. 10948 Azioni a difesa della proprietà rivendicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 29 aprile 2002 A.M. evocava, dinanzi al Tribunale di Ariano Irpino, C.C. ed i figli dello stesso, F., G. ed C.A., per sentire dichiarare che i fondi siti in agro (OMISSIS), di cui il primo assumeva essere proprietario per intervenuta usucapione e dallo stesso donati – con atto per notaio Luisa Romei del 17.12.2001 – al figlio F., quanto al terreno sito in (OMISSIS) (di are 64.20, censito al NCT foglio 101, particelle 144, 145 e 265), ed ai figli A. e G., quanto ai terreni siti in (OMISSIS) (rispettivamente di are 11,50, censito al NCT foglio 100, particella 145 e di are ha 1.79.10, censito al NCT foglio 100, particelle 121, 122, 123 e 264), erano di sua proprietà esclusiva, con conseguente inefficacia dell’atto di donazione, in quanto a lei pervenuti per effetto delle successioni del genitore A.G., deceduto il (OMISSIS), della germana A.C., deceduta il (OMISSIS), del germano A.G., deceduto il (OMISSIS), della germana A.L., deceduta il (OMISSIS) e della germana A.R., deceduta il (OMISSIS). Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali eccepivano il difetto di legittimazione attiva dell’attrice, nonchè passiva di C.C. per non essere più proprietario dei terreni in contestazione, nel merito, assumendo l’intervenuto acquisto dei beni per usucapione in favore del genitore, il Tribunale adito, dichiarava il difetto di legittimazione passiva di C.C., rigettando, nel merito, la domanda di revindica quanto agli altri convenuti. In virtù di rituale appello interposto dalla A., con il quale deduceva l’erroneità della pronuncia sia quanto alla carenza di legittimazione passiva sia per difetto di assolvimento dell’onere probatorio in ordine all’azione di revindica in presenza della eccezione di usucapione rimasta indimostrata, dovendosi attenuare il rigore probatorio per l’attore, la Corte di appello di Napoli, nella resistenza degli appellati, in parziale accoglimento del gravame, dichiarava la legittimazione passiva di C.C., confermata per il resto la decisione del giudice di primo grado.

A sostegno della decisione la corte partenopea evidenziava – preliminarmente – l’inutilizzabilità dei documenti prodotti dall’appellante solo in appello, per non avere la stessa dimostrato la sussistenza di una causa non imputabile per la mancata produzione degli stessi in primo grado e non risultando chiaro ed incontrovertibile che i documenti stessi fossero di per sè soli decisivi al fine della risoluzione della controversia. In particolare dall’atto di divisione del 29.1.1988 – prodotta in primo grado la sola nota di trascrizione del 15.2.1988 – risultava l’attribuzione dei terreni de quibus non solo alla appellante, ma anche ai suoi germani, senza possibilità di certezza che le particelle rivendicate fossero state attribuire proprio alla A.. Del resto lo stesso giudice di prime cure aveva rilevato il non sicuro riferimento delle particelle rivendicate alla documentazione prodotta, tenuto conto anche della cronologia dei trasferimenti, nè l’invocata dichiarazione di C.C. di proprietà dei fondi per intervenuta usucapione, di cui all’atto di donazione, costituiva confessione ovvero riconoscimento del diritto dell’ A., non essendo in esso affermata l’identità degli originari proprietari.

Concludeva che andava affermata la legittimazione processuale di C.C. essendo la domanda dell’appellante diretta ad accertare la nullità e/o inefficacia dell’atto di donazione, di cui egli era parte, nonchè la declaratoria del suo diritto di proprietà sui beni donati e non già solo per la rivendica dei fondi.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione l’ A., che risulta articolato su tre motivi, al quale hanno resistito i C. con controricorso.

La ricorrente ha depositato istanza di prelievo L. n. 183 del 2011, ex art. 26, nonchè memoria illustrativa.

Venivano depositate repliche, ai sensi dell’art. 379 c.p.c., u.c., dai controricorrenti.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 345 c.p.c., nonchè degli artt. 948 e ss., 2697, 2700 e ss., 2729 c.c. e la nullità della sentenza e del procedimento, oltre al vizio di motivazione, per avere la corte di merito dichiarato l’inutilizzabilità dei documenti prodotti in secondo grado, conformemente al più recente orientamento espresso da questa corte (v. SS.UU. 20 aprile 2005 n. 8203), nonostante la prova documentale non sia da ricomprendere nel divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova e il requisito dell’indispensabilità del documento, richiesta come eccezione al divieto di proposizione del nuovo mezzo di prova in appello, non sia concepibile per i documenti, essendo del tutto astratto pensare che il giudice, alla presenza di un documento prodotto, possa ritenere non indispensabile l’acquisizione al giudizio del documento di cui abbia già – in punto di esame del requisito dell’indispensabilità – verificato "l’utilità" ai fini di una ricostruzione dei fatti controversi diversa da quella effettuata dalla sentenza appellata.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 345 c.p.c., nonchè degli artt. 948 e ss., 2697, 2700 e ss. e 2729 c.c. e la nullità della sentenza e del procedimento, oltre al vizio di motivazione, per avere la corte di merito ritenuto l’insussistenza delle due ipotesi alternative che l’art. 345 c.p.c., comma 3 pone come eccezioni al divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, reputando che, nel caso di specie, non era chiaro ed incontrovertibile che i documenti erano di per sè soli decisivi al fine della risoluzione della controversia. Il giudice del gravame non avrebbe considerato che la stessa A. sarebbe stata in ogni caso legittimata ad agire pur se ritenuta comproprietaria, in quanto coerede, dei fondi in questioni, dimostrando di non avere neppure letto i documenti prodotti che contenevano preciso riferimento ai tre fondi rivendicati e ciò trasparirebbe da una motivazione solo apparente. In altri termini, la corte di merito nel valutare l’indispensabilità dei documenti prodotti in sede di appello, non avrebbe neanche tenuto conto di quelli esibiti in primo grado, giacchè non poteva negare che la ricorrente aveva dimostrato di essere almeno comproprietaria dei beni in contestazione e, di conseguenza, doveva ritenere che tale sua qualità era più che sufficiente a legittimarla ad agire in rei vinciatio con riferimento al bene comune. Le censure – che risultano connesse, in quanto involgono entrambe la questione che attiene alla più generale problematica dell’estensione, nel giudizio a cognizione ordinaria, della normativa sul divieto di ammissione di "nuovi mezzi di prova" alle prove costituite, per cui vanno esaminate congiuntamente – appaiono prive di pregio.

Premesso che nella specie la problematica va valutata avendo riguardo all’art. 345 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis, ossia antecedente alla riforma introdotta dalla L. n. 69 del 2009, per essere la sentenza di appello depositata il 6 luglio 2006, si osserva che dopo il risolutivo intervento delle Sezioni unite di questa corte (Cass. sez. un., 20 aprile 2005, n. 8203, n. 580936), in realtà, la giurisprudenza è ormai consolidata nel senso che la preclusione all’ammissione di nuove prove in appello, prevista dall’art. 345 c.p.c., comma 3, è riferibile anche alle prove documentali, in coerenza con la disciplina dettata degli artt. 184 c.p.c. e segg., che impone limiti di decadenza per la formulazione delle richieste istruttorie già nel giudizio di primo grado. Sicchè il divieto di ammissione di nuove prove in appello è conseguenza della preclusione derivante dall’omessa o intempestiva formulazione della richiesta istruttoria entro i termini stabiliti per il giudizio di primo grado.

Questo regime di preclusioni incontra peraltro un limite non solo nella dimostrata impossibilità di formulare tempestivamente la richiesta istruttoria, come riconosciuto già dall’art. 184 bis c.p.c., per il giudizio di primo grado, ma anche nella ritenuta indispensabilità della prova ai fini della decisione della causa. La citata sentenza delle Sezioni unite di questa corte ha chiaramente riconosciuto infatti che "il giudice, oltre a quelle prove che le parti dimostrino di non aver potuto proporre prima per cause ad esse non imputabili, è abilitato ad ammettere, nonostante le già verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga – nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite – indispensabili".

Questo il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento sulla questione. Nella specie, la corte di merito dopo l’affermazione di principio di cui sopra, ha vagliato la documentazione prodotta nella determinante prospettiva di stabilire quando una prova possa definirsi indispensabile ai fini della decisione. L’esame, giova ribadirlo, affrontato sotto il profilo di rito, rilevando ai fini dell’accertamento di una preclusione processuale all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte (cfr Cass. 17 giugno 2009 n. 14098), ha comportato la decisione della medesima corte distrettuale di non considerare "indispensabili" le prove documentali prodotte, in quanto oltre ad essere relative ad atti già depositati in primo grado (atto di divisione del 29.1.1988 di cui la nota di trascrizione del 15.2.1988 era già in atti) ovvero riguardanti la cronologia dei trasferimenti che avrebbero dovuto portare nel 1988 i terreni rivendicati in proprietà della A., non offrivano "sufficiente chiarezza" e "sicuro riferimento alle particelle rivendicate". Ne consegue che nel caso in esame, l’avere la corte di merito rilevato la non indispensabilità della prova proprio sul presupposto della non certa identificazione nella documentazione prodotta dei terreni in ordine ai quali risultava esercitata l’azione de qua, non pare possa fare dubitare della correttezza di detto giudizio, peraltro non specificamente impugnato quanto alla decisività dei documenti proprio in relazione alla pretesa titolarità del diritto dominicale dei fondi.

Con il terzo ed ultimo mezzo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e ss., 1158 e ss., 2697 e ss. c.c. in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre al vizio di motivazione, per avere in appello la A. censurato in linea gradata la sentenza di primo grado laddove aveva affermato che non poteva operare l’attenuazione del rigore probatorio in conseguenza dell’eccezione di usucapione proposta dai C., che non implicava riconoscimento della pregressa appartenenza dei beni all’attrice. La decisione del giudice di primo grado ha trovato conferma in appello, nonostante l’orientamento della suprema corte sia nel senso che l’onere probatorio gravante sull’attore in revindica è attenuato quando, allegato un valido titolo di acquisto, sia provato che il bene sia stato di proprietà dei suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assume di avere iniziato a possedere. In altri termini, l’opposizione di un acquisto per usucapione il cui dies a quo sarebbe successivo a quello del rivendicante comporta che l’onere probatorio del rivendicante sia assolto, nel fallimento dell’avversaria prova della usucapione, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale il bene è stato trasmesso dal precedente titolare al rivendicante. Conclude la ricorrente che nella specie con la produzione dei documenti in primo grado – denunzie di successione, certificazioni catastali e nota di trascrizione dell’atto di divisione per notaio Delli Veneri del 1988 – ella ha ampiamente raggiunto tale prova.

Dalla condivisione della ratio della decisione del giudice del gravame circa la inutilizzabilità della ulteriore documentazione prodotta – tenuto conto che l’ulteriore iter argomentativo della sentenza non è risolutivo ai fini della definizione della controversia, essendo affrontati motivi subordinati rispetto alla questione della titolarità dei beni pretesi – discende che le altre doglianze di parte ricorrente debbono ritenersi superate, trattandosi di motivi necessariamente collegati alla questione pregiudiziale. In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta i ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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