Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-06-2012, n. 10947 Cosa gravata da garanzie reali o altri vincoli Cosa gravata da oneri o diritti di godimento di terzi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 10 novembre 1998 T.R., TU.Sa., TO.Ri. e T.S. evocavano, dinanzi al Tribunale di Verona, F.G. esponendo di avere acquistato dal convenuto, con contratto del 10.10.1991, un fondo rustico con sovrastanti fabbricati rurali, scoprendo, dopo la stipula del rogito, contrariamente a quanto dichiarato dal venditore nell’atto pubblico, che su dette costruzioni erano state eseguite opere in contrasto con le norme edilizie-urbanistiche, ambientali e in assenza di concessione edilizia (in particolare un portico di 33 mq. con deposito di mq. 26, un terrazzo di mq. 17, sopraelevazione e integrale sostituzione del tetto del fabbricato adibito a civile abitazione), per cui erano costretti a sostenere delle spese per sanare gli abusi; tanto premesso, chiedevano la condanna del venditore, ai sensi dell’art. 1489 c.c., alla riduzione del prezzo, con restituzione della somma corrispondente al minor valore del bene rispetto al prezzo pattuito ovvero al rimborso delle spese sostenute per sanare gli abusi, oltre al risarcimento dei danni.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del F., che affermava essere totalmente estraneo alla realizzazione delle opere abusive, realizzate successivamente alla consegna degli immobili agli attori ed eccepiva, altresì, la decadenza e prescrizione dell’azione proposta, il Tribunale adito, espletata istruttoria, in accoglimento della domanda attorea e riduceva il prezzo della compravendita di Euro 28.766,81, oltre interessi, rigettata la ulteriore istanza di risarcimento dei danni.

In virtù di rituale appello interposto dal F., con il quale lamentava – tra l’altro – l’erronea determinazione da parte del giudice di prime cure del minore valore degli immobili commisurandola agli importi versati dagli acquirenti per provvedere alla sanatoria degli abusi, la Corte di appello di Venezia, nella resistenza degli appellati, accoglieva parzialmente il gravame e in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva della percentuale del 5% il prezzo dovuto da T.R., TU.Sa., TO.Ri. e T.S. in pagamento dei fabbricati acquistati da F. G. con l’atto di compravendita stipulato il 10.10.1991. A sostegno della decisione la corte territoriale evidenziava che – ritenuta l’infondatezza delle censure relative alla riferibilità ai compratori delle contestazioni formulate dagli organi comunali per difformità urbanistiche, nonchè la mancata contestazione (anche con ricorso al TAR) da parte dei compratori all’Amministrazione comunale di Negrar della illegittimità della richiesta di pagamento delle sanzioni per irregolarità edilizie ovvero l’erronea applicazione al caso di specie della disciplina prevista dall’art. 1489 c.c. – quanto alla determinazione del minor valore degli immobili doveva considerarsi che la irregolarità edilizia integrava una differente nozione rispetto al costo per la eliminazione delle difformità, rappresentando le ultime un equivalente necessario per rendere il bene compravenduto conforme a quello oggetto della vendita. Di converso la riduzione del prezzo rappresentando la diminuita utilità del bene, mirava a mantenere l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni del rapporto contrattuale. Da ciò conseguiva che la richiesta di rimborso dei costi sostenuti per la sanatoria avrebbe presupposto una domanda di esatto adempimento del contratto ovvero di risarcimento del danno, mentre quella diretta alla riduzione del prezzo mirava a determinare il minore valore del bene compravenduto a causa della presenza degli oneri o diritti reali o personali, che ne impedivano il libero godimento. Diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, la richiesta di diminuzione del prezzo non poteva coincidere con la spese sostenuta dagli appellanti per il condono edilizio, costo non riconoscibile neanche a titolo di risarcimento danni, giacchè non era stato proposto appello avverso detto capo della sentenza di primo grado. Sulla valutazione complessiva e comparata dell’intera parte edificata oggetto di compravendita, per cui era stato determinato il prezzo di L. 80.000.000, e la stima delle opere abusive, concludeva che queste rappresentassero una porzione non superiore al 5% dell’intero, con conseguente diminuzione del prezzo in Euro 2.065,83.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Venezia hanno proposto ricorso per cassazione i T. e la TU., articolato su sei motivi, al quale ha resistito il TO. con controricorso, presentando anche ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè la violazione ed erronea applicazione degli artt. 1489 e 1480 c.c., nonchè la mancata applicazione della L. 28 febbraio 1984, n. 47, artt. 31 e 37 per avere la corte di merito determinato erroneamente il valore dell’immobile, in quanto dopo avere riqualificato l’azione esperita ai sensi dell’art. 1489, con richiamo dell’art. 1480 c.c., con motivazione contraddittoria è giunta alla conclusione che le opere abusive rappresentassero una porzione non superiore al 5%, nonostante si fossero rese necessarie due distinte procedure di sanatoria, l’una per le costruzioni in aderenza agli edifici già esistenti (deposito, portico e terrazze), l’altra per l’intero complesso immobiliare stante la modifica e sostituzione di tutti i tetti e i solai con opere in calcestruzzo. Dei resto, vertendosi in materia di sanatoria di abusi pregressi alla vendita, il solo acquirente avendo la titolarità del bene può provvedere agli adempimenti di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 37, con possibilità di successiva rivalsa nei confronti del venditore ai sensi dell’art. 31, comma 3, della medesima legge.

Con il secondo motivo viene denunciato l’omesso esame di documenti, con conseguente vizio di motivazione, per non avere la corte distrettuale tenuto conto della pratica relativa alla domanda di condono edilizio n. (OMISSIS) riguardante l’intero complesso edilizio, bensì solo di quella n. (OMISSIS) riguardante l’ampliamento e le modifiche di edificio di civile abitazione limitatamente alla realizzazione di un deposito, di un porticato e di un terrazzo, così pervenendo ad un giudizio di stima "non superiore al 5% dell’intero".

Con il terzo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c., nonchè il vizio di motivazione, in quanto il giudice del gravame avrebbe mancato di porre la fattispecie in relazione alla disciplina della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 31, che sancisce l’obbligo per il venditore della regolarità amministrativa dell’immobile, con la conseguenza che ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione – come previsto dall’azione di riduzione del prezzo – avrebbe dovuto comportare il riconoscimento agli acquirenti del diritto al rimborso degli esborsi sostenuti nella procedura di sanatoria, per avere il venditore dichiarato la piena conformità del bene venduto alle norme edilizie. Infatti, secondo la ratio legis dell’art. 1489 c.c., l’acquirente va posto nella stessa situazione patrimoniale in cui si sarebbe venuto a trovare se l’onere, imposto in forza di uno specifico provvedimento amministrativo, non fosse esistito.

Con il quarto motivo viene denunciata l’errata interpretazione ovvero l’erronea applicazione dell’art. 1489 c.c., norma che richiama, per una riduzione del prezzo di cosa gravata da oneri, l’art. 1480 c.c., il quale richiama, a sua volta, l’art. 1479 c.c., che fa salvo il disposto dell’art. 1223 c.c., per cui la norma di carattere generale conduce nei vari percorsi alternativi (risoluzione del contratto o riduzione del prezzo) ad una sorta di restitutio in integrum, con la funzione di porre il patrimonio dell’acquirente danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento lesivo.

Con il quinto motivo viene denunciata la errata applicazione dell’art. 1489 c.c. per omesso collegamento con la L. n. 47 del 1985, art. 31, comma 3, con conseguente inosservanza e violazione di norma urbanistica imperativa per non avere la corte distrettuale tenuto conto – fra l’altro – dell’obbligo del venditore di rendere commerciabile il bene, che andava ricavato dall’art. 40 della stessa legge speciale, da cui discende la sua responsabilità e l’obbligo del rimborso. I motivi da uno a cinque del ricorso – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati, nei termini di seguito precisati.

Sono pacifici – e risultano dagli atti del processo presi in considerazione dai giudici del merito – i seguenti dati di fatto: a) gli immobili in questione – costituenti porzioni di fabbricati rurali realizzati su fondo rustico – sono stati realizzati in contrasto con le norme edilizie urbanistiche, ambientali e in assenza di concessione edilizia; b) le predette opere, in particolare, portico di 33 mq. con deposito di 26 mq., terrazzo di 17 mq., sopraelevazione ed integrale sostituzione del tetto del fabbricato adibito a civile abitazione, costituivano modificazioni apportate successivamente al progetto approvato ed assentito con riferimento alla costruzione iniziale per la quale vi era regolarità urbanistica; c) la realizzazione delle opere in contestazione era da riferire al resistente, originario proprietario dei beni; d) era stata esborsata dai ricorrenti la complessiva somma di Euro 28.766,81 per ottenere dall’Amministrazione comunale la definizione di due domande di sanatoria delle parti abusive degli edifici (nn. (OMISSIS)); e) gli immobili erano stati oggetto prima di contratto preliminare di compravendita intercorso fra le medesime parti e poi, nell’identica situazione di fatto, erano stati trasferiti con atto pubblico notarile del 10.10.1991, ove non risultava alcuna menzione delle difformità in contestazione, In tale situazione non può essere condivisa la motivazione della corte del merito laddove ha determinato nella sola misura del 5% rispetto all’intero costo sostenuto dai ricorrenti per la sanatoria il valore in riduzione del bene, non ricomprendendo peraltro nel computo neanche l’importo relativo alla abusiva sopraelevazione del tetto, limitandosi a sottolineare che nella specie poteva trovare applicazione la sola riduzione del prezzo, da rapportare alla diminuita utilità del bene.

Per vero le opere realizzate dal venditore, comportando una modifica all’originaria costruzione, anche quanto a volumetria, non essendo state previamente autorizzate, avevano creato le condizioni per il possibile esperimento dell’azione repressiva da parte del comune (volta alla demolizione parziale dell’immobile od all’applicazione delle misure pecuniarie sostitutive) secondo il sistema sanzionatorio delineato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 13.

In tema di compravendita, la fondamentale obbligazione del venditore di consegnare la cosa al compratore, assicurandogliene il godimento, ex art. 1476 c.c., è correlata a particolari garanzie, le quali – riguardanti o l’appartenenza della cosa al venditore (artt. 1478 e 1480 c.c.) o l’inesistenza su di essa di garanzie reali o di altri vincoli (art. 1482 c.c.) o l’esclusione di oneri o di diritti reali o personali a favore di terzi (art. 1489 c.c.) ovvero l’immunità da vizi (art. 1490 c.c.) o la corrispondenza con le qualità promesse od essenziali (art. 1497 c.c.) – sono volte ad assicurare al compratore, per l’ineliminabile esigenza della normalità degli scambi, il pieno godimento della cosa compravenduta, senza menomazioni e senza pericolo di perdita, totale od anche soltanto parziale.

Allorquando il bene compravenduto sia costituito da una costruzione realizzata in difformità del progetto approvato dal comune, al fine di inquadrare esattamente la condizione del bene stesso, in relazione ai mezzi cautelativi apprestati dalla legge in tema di compravendita o, più in generale, di inadempimento delle obbligazioni e di nullità degli obblighi, questa corte ha in più occasioni affermato che occorre innanzitutto tener presente il rapporto che si costituisce tra il costruttore e la pubblica amministrazione: e non è dubbio che tale rapporto esprima una posizione di soggezione del privato alle sanzioni amministrative, che la pubblica amministrazione ha la potestà di adottare a tutela del pubblico interesse. Nei rapporti privatistici la non conformità della costruzione al progetto approvato dall’amministrazione non può essere ritenuta vizio della cosa, ex art. 1490 c.c., non trattandosi di una anomalia strutturale e risolvendosi, invece, sotto il profilo giuridico, in una irregolarità che assoggetta la cosa medesima al potere sanzionatorio dell’amministrazione e determina, seconda la giurisprudenza di questa corte, l’inquadramento della fattispecie nell’ambito dell’art. 1489 c.c., che disciplina il caso nel quale la cosa compravenduta sia gravata da oneri o da diritti reali o personali in favore di terzi, i quali ne diminuiscano non solo il libero godimento ma anche il valore e la commerciabilità (vedansi in tal senso già Cass. 15 novembre 1978 n. 5272; Cass. 6 dicembre 1984 n. 6399; Cass, 10 settembre 1988 n. 771). L’ordine di demolizione della costruzione, che può essere adottato in conseguenza dell’irregolarità amministrativa, avrà, una volta intervenuto ed eseguito, gli effetti sostanziali di un’evizione totale o parziale (artt. 1483 e 1484 c.c.) a seconda che ne derivi l’abbattimento totale o parziale dell’immobile, con la conseguenza che il venditore, anche se non tenuto alla garanzia per effetto della conoscenza della irregolarità da parte del compratore, è nondimeno obbligato a restituire il prezzo ed a rimborsare le spese, a meno che la vendita non sia stata convenuta a rischio e pericolo del compratore stesso ex art. 1483 c.c. (sul punto, di recente, Cass. 28 febbraio 2007 n. 4786; Cass. 28 dicembre 2011 n. 29367; Cass. 6 marzo 2012 n. 3464).

Conseguenza rilevante, connessa all’inclusione della irregolarità de qua nella previsione dell’art. 1489 c.c., è che la conoscenza di essa da parte del compratore preclude a questi la possibilità di chiedere la riduzione del prezzo, secondo quanto dispone l’art. 1480 richiamato dalla prima di dette norme; infatti degli oneri e dei diritti altrui, gravanti sulla cosa compravenduta, il venditore risponde soltanto se essi non siano stati dichiarati nel contratto o non siano stati effettivamente conosciuti dal compratore al tempo dell’acquisto, dovendosi presumere, in caso contrario, che la cosa sia stata accettata dall’acquirente nella situazione di fatto e di diritto a lui nota.

Orbene, pacifico che nella specie gli acquirenti non fossero a conoscenza delle difformità al momento del perfezionamento dell’atto pubblico di vendita – non avendo peraltro il venditore dedotto alcunchè al riguardo – va ritenuta non corretta la determinazione della corte di merito nel valutare l’onere economico sopportato dagli acquirenti in conseguenza dei procedimenti di regolarizzazione urbanistica per non avere il venditore assolto in modo completo gli obblighi di informazione, secondo il principio di buona fede. Infatti l’azione per la riduzione del prezzo, spettante al compratore a norma dell’art. 1480 c.c., rivolta a ristabilire (unitamente a quella di risarcimento) il rapporto di corrispettività fra prestazione e controprestazione, nonchè a porre il compratore medesimo nella situazione economica in cui si sarebbe trovato se il bene fosse stato; immune da vizi, con la conseguenza che la riduzione va apportata quanto meno nei limiti dei costi.

sopportati per la regolarizzazione urbanistica degli immobili. Del resto per giurisprudenza ormai consolidata in tema di riduzione del prezzo di vendita (v. già Cass. 21 luglio 1984 n. 4278) la diminuzione del prezzo pattuito deve corrispondere alla percentuale di disvalore della cosa derivante dall’esistenza dei vizi, per cui il danno va quantificato nella differenza fra gli utili rispettivamente ricavabili dalla concreta utilizzazione della medesima, nelle diverse situazioni, ottimale e deficitaria. La sentenza impugnata va, pertanto, sul punto cassata.

Con il sesto ed ultimo mezzo viene lamentata la violazione dell’art. 346 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione, per avere la sentenza ritenuto abbandonata, rispetto a quella di primo grado, la domanda di rimborso degli oneri derivanti dal conseguimento della sanatoria L. n. 47 del 1985, ex artt. 31 e ss., non avendo il giudice di appello considerato che a fronte dell’abuso edilizio, dedotto quale causa petendi della originaria domanda, non poteva non ritenersi compresa anche la domanda di rimborso di tutti gli oneri corrisposti per la sanatoria, seppure con una qualificazione giuridica diversa.

Alla fondatezza dei primi cinque motivi del ricorso principale segue, in ragione della decisività della questione affrontata di inquadramento della fattispecie nell’ambito dell’art. 1489 c.c., con richiamo all’art. 1480 c.c. sul quantum, l’assorbimento dell’esame dell’ulteriore censura.

Passando all’esame dell’unico motivo di ricorso incidentale proposto dal F., con il quale viene lamentata la violazione dell’art. 91 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione, in ordine alla liquidazione delle spese processuali dei due gradi di giudizio, anche lo stesso è da ritenere assorbito in conseguenza dell’accoglimento del ricorso principale che determina, comunque, una diversa regolazione delle spese processuali.

In conclusione, il ricorso principale va accolto, assorbito quello incidentale, dovendosi cassare la pronuncia relativamente alla determinazione del quantum.

L’accertamento che ha comportato la cassazione della sentenza impugnata non determina però automaticamente il rinvio della medesima sentenza. Nella giurisprudenza della corte, a seguito della modifica dell’art. 384 c.p.c., avvenuta già con la riforma di cui alla L. n. 353 del 1990 e della costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo, si è osservato che è configurabile il potere di decidere nel merito la causa, senza disporre conseguentemente il rinvio, fermi restando i limiti della non necessità di indagini di fatto e del rispetto del principio dispositivo.

Orbene nel caso di specie, essendo stata affermata l’erronea applicazione di un principio da parte del giudice del gravame, intervenuta la decisione in riforma della sentenza di primo grado, che di converso aveva fatto corretto uso del medesimo principio, riconoscendo per intero i costi sopra esposti, la decisione nel merito va pronunciata con il rigetto dell’appello proposto dal F., per cui rivivono le statuizioni disposte con la sentenza del Tribunale di Verona n. 846/2004 del 2/24.3.2004.

Infine, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., si deve provvedere sulle spese dell’intero giudizio di appello, ferma sul punto la sentenza di primo grado (per quanto suesposto), nonchè su quello di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso principale, assorbito quello incidentale;

cassa la sentenza impugnata senza rinvio e pronunziando nel merito, rigetta l’appello proposto dal F. avverso la sentenza del Tribunale di Verona n. 846/2004 del 2/24.3.2004;

condanna parte resistente – ricorrente incidentale alla rifusione delle spese del giudizio di appello, che liquida in complessivi Euro 3.897,00, di cui Euro 1.500,00 per diritti, Euro 2.000,00 per onorari ed il resto per esborsi, nonchè quelle del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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