Cass. civ. Sez. II, Sent., 28-06-2012, n. 10946 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 16 febbraio 1993 M. A. evocava, dinanzi a Tribunale di Catania, C.S. esponendo di avere stipulato, in data (OMISSIS), con la convenuta contratto preliminare di compravendita relativo ad appartamento sito in Catania, concordando il prezzo di L. 150.000.000; affermava, altresì, che la promissaria acquirente si rifiutava di addivenire alla stipula del definitivo e di pagare il residuo prezzo, pur avendo ottenuto già dal 10.12.1985 la consegna del possesso dell’immobile, nonostante la diffida ad adempiere; tanto premesso chiedeva che venisse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta, con condanna della stessa all’immediato rilascio dell’appartamento, nonchè alla definitiva perdita delle somme versate a titolo di danni e al pagamento di un corrispettivo per il periodo di godimento del bene.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale precisava di avere subordinato la stipula del definitivo, con saldo del prezzo, avendo sollevato exceptio inadimpleti contractus e di non rite adimpleti contractus, alla rimozione dei vari e gravi vizi riscontrati sull’immobile promessole in vendita, vizi che aveva denunciato in risposta alla diffida ad adempiere inviatale dal promittente venditore, per cui spiegava riconvenzionale per ottenere il trasferimento del bene ex art. 2932 c.c. previa riduzione del prezzo, il Tribunale adito, espletata istruttoria e disposta consulenza tecnica, dopo l’interruzione del giudizio per decesso del M., che veniva riassunto dagli eredi – CO.Gr., A.E., M.S., E., P. e M. A.M. – rigettava la domanda attorea di risoluzione per inadempimento e in accoglimento di quella riconvenzionale, pronunciava il trasferimento dell’appartamento, previo pagamento della convenuta in favore degli attori del saldo del prezzo determinato in L. 24.238.500, oltre accessori dalla sentenza.

In virtù di rituale appello interposto dagli eredi del M., i quali lamentavano la erroneità della valutazione del giudice di prime cure circa l’inadempimento della C. e per non avere ritenuto tardiva ex artt. 1667 e 1669 c.c. la denuncia dei vizi dell’immobile, la Corte di appello di Catania, nella resistenza dell’appellata, che proponeva appello incidentale relativamente alla insufficiente quantificazione del deprezzamento dell’immobile, accoglieva l’appello e per l’effetto – in riforma della sentenza di primo grado – dichiarava la risoluzione del contratto preliminare di vendita di un appartamento di cinque vani ed accessori del 2.12.1985, ordinando alla C. la restituzione del bene agli appellanti ed autorizzando gli stessi a trattenere la somma di Euro 5.164,56 ricevuta dal loro dante causa a titolo di caparra, rigettate le ulteriori domande. A sostegno della decisione la corte territoriale evidenziava che a fronte delle contestazioni avanzate dagli eredi del promittente venditore in ordine alla tempestività della denuncia dei vizi lamentati dalla promissaria acquirente, nulla aveva provato la C., limitandosi ad affermare che "fino a quando non viene stipulato l’atto definitivo di trasferimento la presenza dei vizi può essere sempre denunciata senza il rispetto del termine di decadenza", affermazione che non appariva condivisibile posto il tenore dei citati artt. 1667 e 1669 c.c., per cui veniva meno la causa giustificativa – inadimplenti non est adimplendum – addotta dalla promissaria acquirente a sostegno del proprio rifiuto a stipulare il contratto definitivo avanti al notaio, prima, il giorno 18.1.1993 e, poi, il giorno 8.2.1993.

Alla risoluzione del contratto preliminare faceva seguito il solo diritto degli appellati a trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra, mentre gravava sulla appellata l’obbligo di restituzione dell’immobile.

L’infondatezza dell’appello incidentale, infine, discendeva dalle medesime considerazioni come sopra esposte.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Catania ha proposto ricorso per cassazione la C., articolato su sei motivi, al quale non hanno resistito i M. e la CO..

Fissata udienza pubblica di trattazione per il 10.1.2012, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo ai sensi della L. n. 183 del 2011, art. 26 vigente all’epoca per mancata presentazione dell’istanza di prelievo, All’udienza pubblica del 13.3.2012 si costituivano gli eredi della C..

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, nonchè degli artt. 1362 e 1363 c.c. (erroneamente citati gli artt. 1262 e 1263) (interpretazione del contratto), oltre agli artt. 1667 e 1669 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non avere la corte di merito fatto applicazione alla fattispecie in esame specifica normativa in tema di vendita, di cui all’art. 1495 c.c..

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, nonchè degli artt. 1362 e 1363 c.c., oltre agli artt. 1453, 1454, 1460, 1490, 1492, 1495 e 1497 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere la corte distrettuale erroneamente applicato al contratto preliminare di compravendita la normativa prevista esclusivamente per il contratto di appalto, contratto preliminare cui non è applicabile neanche quella prevista per il contratto di vendita ed in specie quella sulle norme decadenziali.

Le due censure, strettamente connesse – in quanto pongono lo stesso problema della decadenza dai vizi nel caso de quo – per cui vanno esaminate congiuntamente, meritano accoglimento.

Pur vero, infatti, che il giudice di appello può dare al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado prospettata dalle parti, avendo egli i potere dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti ed i fatti che formano oggetto della controversia, anche in assenza di una specifica impugnazione, ed indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, con conseguente diversa motivazione.

Tali criteri, più volte affermati da questa corte (cfr. Cass. 25.9.1998, n. 9597), sono soggetti a una duplice condizione: a) che la definizione giuridica data al rapporto dai primi giudici non risolva una specifica disputa tra le parti sul punto, dovendosi in tal caso ritenere che la questione sia coperta dal giudicato (art. 327 c.p.c., u.c.); 2) che il nuovo inquadramento giuridico sia avvenuto nell’ambito delle questioni oggetto del gravame e rimanendo inalterati il "petitum" e la "causa petendi".

Ora, nella specie, ha formato oggetto di specifica domanda da parte della C. il trasferimento dell’immobile ex art. 2932 c.c., in primo grado, per cui l’applicabilità delle norme di garanzia della compravendita (piuttosto che dell’art. 1669 c.c.) aveva formato oggetto dell’accertamento del giudice di prime cure proprio in relazione at petitum ed alla causa petendi prospettate, seppure in via riconvenzionale, dalla promissaria acquirente. Inoltre l’eccezione di prescrizione e decadenza dall’azione ex art. 1669 c.c. sollevata dagli eredi del M. solo in appello, appare introdurre nel tema controverso nuove questioni di fatto.

Ne consegue che la questione posta dell’applicabilità alla vicenda de qua della disciplina dell’art. 1669 c.c. anzichè dell’art. 1495 c.c. per la denuncia dei vizi della cosa venduta è questione non correttamente risolta dalla Corte di merito, che in quella disciplina – appunto – ha inquadrato la fattispecie in oggetto, pur ritenuta costituita – e sul punto non v’è censura – da un contratto preliminare di vendita.

E’ pur vero che sia l’azione ex art. 1490 c.c. (garanzia per vizi della cosa venduta) sia quella di cui all’art. 1669 c.c. (rovina e difetti di cose immobili) presuppongono che l’attore sia proprietario del bene che si assume viziato o in pencolo di rovina. Tuttavia, se il promissario acquirente di un edificio ne consegua il possesso e, convenuto in giudizio per la risoluzione del contratto, stante l’esistenza dei vizi non considerati al momento della stipula del preliminare, formuli eccezione di inadempimento, optando per l’adempimento in forma specifica del preliminare ex art. 2932 c.c., agendo contemporaneamente con l’azione quanti minoris per la diminuzione del corrispettivo, a detta facoltà non può essere opposta la decadenza o la prescrizione (in termini: Cass. 17 agosto 2005 n. 16969; Cass. 31 luglio 2006 n. 17304; Cass. 14 gennaio 2010 n. 477).

Con il terzo mezzo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1454 c.c., art. 1362 c.c., comma 2, e art. 1460 c.c., nonchè degli artt. 112 e 115 c.p.c., per illegittima pronuncia di risoluzione del contratto, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per mancata pronuncia su precisa eccezione ritualmente proposta. Prosegue la ricorrente che in effetti la diffida ad adempiere notificata alla C. non poteva sortire efficacia alcuna, tanto meno efficacia risolutoria, mancando nella specie il principale requisito e presupposto e cioè che l’intimante fosse a sua volta adempiente.

Con il quarto mezzo lamenta la violazione dell’art. 2932 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte distrettuale illegittimamente riformato la sentenza di primo grado che aveva disposto l’esecuzione in forma specifica del contratto non concluso, con conseguente violazione della norma invocata dalla C..

Con il quinto mezzo, in via assolutamente subordinata, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1493 c.c. correlato agli artt. 1453 e 1385 c.c., oltre all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere omesso il giudice del gravame di condannare i promittenti venditori alla restituzione delle somme incassate a titolo di acconto sul prezzo o, quanto meno, di subordinare l’esecutorietà della condanna al rilascio dell’appartamento alla preventiva restituzione degli acconti.

Prosegue la ricorrente nel ritenere l’erroneità della decisione di assegnare ai promittenti venditori l’importo versato a titolo di caparra confirmatoria dalla promissaria acquirente nonostante gli stessi avessero esercitato azione di risoluzione del contratto.

Con il sesto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per essere illegittima la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.

Dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso consegue l’assorbimento delle ulteriori censure denunciate dal medesimo ricorso, che pongono questioni dipendenti.

In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti ed il giudice di rinvio, che si indica in altra sezione della Corte d’appello di Catania, spetterà provvedere a nuovo esame del merito, facendo applicazione del principio innanzi enunciato, ed avrà cura di regolare anche le spese del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso, assorbiti i restanti motivi;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese processuali del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Catania.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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