Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 06-12-2011, n. 45392

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza deliberata il 15 ottobre 2010 in camera di consiglio, riformando parzialmente quella emessa dal GIP del Tribunale di Rimini e non già dal Tribunale di Ravenna come pure si legge nel provvedimento impugnato – ha condannato alla pena di giustizia R.M., ritenendolo colpevole, in concorso con S.E., giudicato separatamente, dei reati, unificati sotto il vincolo della continuazione, di tentato omicidio in danno di B.P., commesso in (OMISSIS); di resistenza e lesioni personali in danno del Maresciallo dei Carabinieri di (OMISSIS), G.M., commesso in (OMISSIS); di porto senza giustificato motivo di un coltello dalla lunghezza complessiva di 22 cm. e con lama di 10 cm., pure commesso in (OMISSIS).

1.1. Secondo la coincidente ricostruzione del fatto compiuta dai giudici di merito, il B., cittadino di nazionalità azzera, il 23 aprile 2006 – il giorno della Pasqua ortodossa – era stato aggredito da due suoi connazionali, il genero S. e l’odierno ricorrente R., ed aveva riportato una ferita da taglio della lunghezza di 10 cm, in sede toracica laterale sinistra, con interessamento del piano cutaneo e muscolare, ed altra ferita da taglio al lobo auricolare sinistro.

1.2. Nella sentenza impugnata e per quanto ancora rileva nel presente giudizio si precisa che i Carabinieri, intervenuti sul posto quando la vittima era stata già trasportata al Pronto Soccorso, in base alle indicazioni sugli aggressori fornite dalla cognata della vittima N.A. – con la quale il B., unitamente ai rispettivi coniugi, stava festeggiando la Pasqua – avevano raggiunto un casolare in località (OMISSIS), dove avevano individuato due uomini – identificati con certezza dalla donna come gli aggressori del cognato – i quali stavano completando la sostituzione di due pneumatici su di una macchina di colore rosso corrispondente alle caratteristiche del veicolo che secondo le indicazioni della teste era stato utilizzato dai due aggressori per scappare. Tale circostanza era ritenuta rilevante ai fini dell’identificazione degli aggressori, in quanto, sempre in base a quanto riferito dalla N. nell’immediatezza, il B., benchè ferito, aveva tagliato una o due ruote del veicolo, per impedirne senza esito la fuga.

Alla vista dei militari, uno dei due uomini, identificato nel R., si scagliava contro il Maresciallo G., con un "crik" che teneva in mano, ed avendo questi schivato il colpo, lo colpiva con calci e ginocchiate, opponendo resistenza all’arresto al pari del S., che colpiva l’appuntato L. con calci e pugni.

1.3. Con specifico riferimento alla dinamica dell’aggressione la teste N. riferiva come il S., genero del B., si era presentato a casa sua in compagnia di una persona che non conosceva, il R., il quale da subito aveva assunto un atteggiamento provocatorio, insultando la moglie della persona offesa X. ed invitandolo ad uscire in strada, per regolare i conti. Non avendo il B. reagito alle ripetute provocazioni, limitandosi a mettere alla porta i due, il R., giungeva finanche a schiaffeggiare la moglie del B., il quale, a quel punto, non poteva esimersi dall’intervenire in difesa del coniuge, venendo però subito aggredito con pugni e calci.

L’aggressione, proseguita da prima per le scale condominiali si spostava, poi, all’esterno dell’edificio, ed alla stessa assisteva, casualmente, anche il teste oculare Ga.Vi..

Quest’ultimo, in particolare, pur ammettendo, al pari della N., di non aver visto chi avesse sferrato materialmente il fendente, a causa della concitazione del momento, riferiva, però, di aver effettivamente notato due uomini in prossimità della porta d’ingresso della palazzina, colpire con calci e pugni un terzo, che stava per essere sopraffatto; di aver cercato di intervenire nel tentativo di liberare il soccombente, ma senza riuscirci; di aver notato che i due aggressori avevano entrambi le mani sporche di sangue come del resto i vestiti; che quando i due si erano allontanati, il B., rimasto a terra sanguinava per una ferita sul lato sinistro del fianco e che all’ingresso del palazzo vi era a terra un coltello sporco di sangue.

1.4 La Corte territoriale con riferimento alle Questioni sottoposte ai suo esame con i motivi di appello, riteneva:

– che l’azione di ferimento del B. era senz’altro idonea e diretta in modo non equivoco a cagionarne la morte, deponendo In tal senso vari elementi oggettivi, quali: l’idoneità dell’arma utilizzata a tale scopo (un coltello a serramanico con lama acuminata di 10 cm.); la profondità e lunghezza (cm. 7,5) della ferita al torace, per altro non l’unica riportata dal B., che in base alla consulenza medico-legale disposta dal PM, la rendevano compatibile con un colpo di tipo tangenziale sferrato con arma da taglio portato dall’alto in basso da persona destrimane posta davanti alla vittima, con forza tale da oltrepassare i tessuti muscolari e produrre un’ernia come postumo penalmente rilevante;

– che la tesi difensiva di un ferimento accidentale, seppure prospettata anche nella perizia in via alternativa a quella di un ferimento volontario, andava senz’altro disattesa, basandosi la stessa sull’assunto che la vittima sarebbe stata immobilizzata dal S., sicchè la volontà dell’Imputato era nel senso di colpirlo solo superficialmente e con poca forza; circostanza questa ritenuta in contrasto con la dinamica dell’aggressione quale riferita dai testimoni presenti al fatto e dalla stessa persona offesa, che hanno riferito di una "proficua reazione del B., che aveva cercato di sottrarsi ai colpi, giungendo finanche a tagliare uno o due del pneumatici dell’auto utilizzata per la fuga;

– che la dinamica riferita dai testi doveva ritenersi attendibile, tenuto conto che le ferite infette erano sintomatiche di una colluttazione e che vi era stato anche "il fattore d’interferenza- rappresentato dall’Intervento del Ga.";

– che le dichiarazioni della N., seppure ritenute inverosimili dal primo giudice nella parte in cui riferivano che il B. si era sfilato il coltello dal fianco – particolare ritenuto per altro secondario e non determinante ai fini della formulazione di un giudizio di complessiva attendibilità della teste – dovevano valutarsi come genuine nella parte in cui avevano riferito del taglio di un pneumatico da parte del B., avendo tale circostanza trovato significativa conferma, oltre che nella deposizione del Ga. che aveva riferito di aver notato un coltello a terra posizionato nelle vicinanze del luogo ove sostava l’auto utilizzata dagli aggressori per la fuga, anche in quanto riferito dai Carabinieri circa l’attività svolta dagli imputati In occasione dell’accesso al casolare in località (OMISSIS);

– che il racconto dell’aggressione aveva trovato riscontri, altresì, anche negli esiti del sopralluogo effettuato presso il casolare dai Carabinieri, i quali oltre a riferire del ritrovamento di abiti sporchi di sangue, avevano dato atto, nel verbale d’arresto, che entrambi gli imputati avevano le mani "sporche di sangue rappreso-, laddove la circostanza che in un momento successivo tali tracce non fossero più presenti sulle mani del R. ma del solo S., correttamente era stata ritenuta una circostanza non decisiva, potendo la stessa giustificarsi con un’azione di "ripulitura" eseguita dall’Imputato durante il trasporto in caserma.

2. Avverso la predetta sentenza ricorre per cassazione il R. per il tramite del suo difensore, deducendone l’illegittimità per vizio di motivazione, con riferimento all’affermazione di penale responsabilità per il reato di tentato omicidio, decisione che si assume sia frutto di una erronea lettura degli atti processuali.

In particolare da parte del ricorrente si denunzia che i giudici di appello si sono limitati a rinviare alla sentenza di primo grado, senza valutare gli specifici motivi di appello nel quali si evidenziava come il giudice di prime cure non aveva tenuto conto di atti fondamentali da cui emergeva l’insussistenza del tentato omicidio, integrando la condotta ascritta all’imputato, semmai, gli estremi del reato di lesioni personali.

Sul punto si evidenzia, in primo luogo, come sfa la perizia medico legale disposta dal Gup ad escludere la sussistenza del reato di tentato omicidio, anche in considerazione del breve ricovero ospedaliero (tre giorni) e della durata massima della malattia (20 giorni).

Si evidenzia altresì In ricorso, che il coltellino a serramanico con il quale il B. era stato ferito solo In astratto poteva considerarsi arma idonea a provocare lesioni anche mortali, ove utilizzata come arma da punta; laddove, in concreto, essa era stata utilizzata come arma da taglio, facendo scorrere la lama in lunghezza lungo la sede attinta, con ciò provocando solo lesioni superficiali, esprimendosi sia il consulente d’ufficio che quello di parte nel senso che i colpi non erano diretti in modo inequivoco a determinare lesioni mortali.

Al riguardo in ricorso si censura la circostanza che i giudici di appello non hanno in alcun modo menzionato le conclusioni del CTU, limitandosi a confutarne il contenuto sulla base di generiche deposizioni dei familiari della persona offesa, smentite per altro dalla deposizione del teste Ga., unico teste neutro, e della stessa persona offesa.

In proposito in ricorso si sottolinea come il CTU Bu., allorquando era stata sentita in merito al proprio elaborato, aveva riferito quanto appreso direttamente dal B. in merito alla dinamica dell’aggressione, e cioè che la vittima era stata colpita dal R. mentre il S. lo bloccava e lo immobilizzava da dietro.

Tali precise risultanze processuali erano state totalmente ignorate dalla Corte territoriale che aveva incongruamente fondato la propria decisione sulla sola consulenza disposta dal PM. In realtà essendo il B. immobilizzato se il ricorrente avesse voluto effettivamente ucciderlo, assai facilmente ne avrebbe potuto cagionare la morte.

E del resto il teste Ga., intervenuto in un secondo momento, allorquando il B. era stato già disarmato, non ha neppure visto il coltello, riferendo semplicemente di due uomini che stavano picchiando una terza persona.

Tale deposizione, quindi, secondo il ricorrente, avvalora la tesi difensiva secondo cui il B. era stato ferito nel corso della colluttazione ingaggiata dall’imputato per disarmarlo, deponendo in tal senso, dei resto, anche l’ubicazione della ferita in una zona del corpo, la parte intercostale laterale, nella quale gli organi vitali sono protetti dalla gabbia toracica, che non poteva venire facilmente trapassata con un coltellino che aveva una lama tagliente solo da un lato e che era stato utilizzato come arma da taglio e non da punta.

Tale arma, si sostiene, avrebbe potuto provocare l’evento morte, solo se utilizzata per colpire zone non protette come la gota.

Anche la moglie della persona offesa, ha fornito una ricostruzione non veritiera dell’episodio, essendo stata smentita dal teste Ga., che non ha visto il B. togliersi il coltello dal costato nè tanto meno colpire con il coltello le ruote dell’auto con la quale gli imputati si sono allontanati.

Del tutto incongrua risulta, in particolare, ad avviso del ricorrente, la motivazione fornita dai giudici di appello per spiegare l’assenza di tracce ematiche sul pneumatico, secondo cui le stesse erano andate perdute a causa del percorso compiuto dal veicolo prima di venire raggiunto dai Carabinieri, risultando tale spiegazione incompatibile con la circostanza, emergente dal verbale di sopralluogo dei Carabinieri, che il taglio aveva riguardato la spalla esterna del pneumatico.

Motivi della decisione

1. Tutte le censure mosse dalla difesa del R. sentenza impugnata, volte a confutare la qualificazione giuridica del fatto contestato come tentativo di omicidio, lungi dal denunziare lacune ed incongruenze effettivamente sussistenti nel percorso argomentativo sviluppato dai giudici di appello, si limitano infatti a riproporre, in sede di legittimità, senza prospettare alcun rilevante elemento di novità delle questioni già esaminate e decise dai giudici di merito, con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici.

Ed invero i giudici di merito, con due decisioni sintoniche ed integrate, hanno analiticamente Indicato le loro fonti di convincimento, valutandole con uno sviluppo argomentativo che si sottrae a critiche di sorta, per la linearità logica e giuridica che le contraddistingue e che pertanto impedisce il sindacato della Corte di legittimità, evidenziando, sul punto, che ogni valutazione relativa alla idoneità e direzione della condotta dell’imputato andava compiuta ex ante e non expost, e che deponevano per la configurabilità del tentato omicidio, la tipologia di arma utilizzata (un coltello a serramanico); il numero di colpi infetti;

la direzione degli stessi e le zone del corpo attinte (capo e torace), sedi di organi vitali; che la valutazione peritale circa una volontà dell’imputato di ledere la vittima in maniera superficiale costituiva solo un’ipotesi, la quale non valutava adeguatamente la circostanza che (a vittima – le cui dichiarazioni nel loro nucleo centrale avevano trovato significativi riscontri nelle deposizioni dei testi presenti al fatto, aveva opposto resistenza e cercato di schivare i colpi. Orbene, l’art. 606 c.p.p. non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali (Cass., sez. 6, 30 novembre 1994, Baldi, m. 200842; Cass., sez. 1, 27 luglio 1995, Ghiado, m. 202228), o una diversa interpretazione delle prove (Cass., sez. 1, 5 novembre 1993, Meline, m. 196353, Cass., sez. un., 27 settembre 1995, Mannino, m. 202903), perchè è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori; e l’art. 606 c.p.p., lett. e), quando esige che il vizio della motivazione risulti dal testo del provvedimento impugnato, si limita a fornire solo una corretta definizione dei controllo di legittimità sul vizio di motivazione (cfr. in termini: Cass. Pen. sez. 5, sent.39843 dei 9-30 novembre 2007, pres. Foscarini, est. Nappi, In ric. Gatti Cass., sez. 5, 30 novembre 1999, Moro, m. 215745, Cass., sez. 2, 21 dicembre 1993, Modesto, m. 196955).

Infatti, pur dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. n. 46 del 2006, con la previsione del riferimento del vizio di motivazione anche agli "altri atti del processo specificamente indicati nel motivi di gravame", per consolidata e prevalente giurisprudenza, resta immutata la natura del giudizio di legittimità, che non può dare luogo ad una diversa lettura dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove, perchè gli è estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali e rimane suo unico oggetto la contrarietà di un provvedimento a norme di legge (Cass. pen. sez. 5, Ordinanza 12634/2006 Rv. 233780 Cagliari; precedenti conformi: N. 13648 del 2006 Rv. 233381).

In conclusione, anche nel presente giudizio va esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (cfr. in termini:

Cass. pen. sez. 2, 7380/2007 rv. 235716, imp. Messina).

Il che vale anche per il tentativo della difesa di contestare il coinvolgimento del ricorrente nell’atto (Ndr.: testo originale non comprensibile) per il fatto che su di lui sarebbero state rilevate tacce di sangue che la Corte di merito ha (Ndr.: testo originale non comprensibile) evidenziato essere state notate dai Carabinieri e dal teste Ga..

2. Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p., in ordine alle spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il risorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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