Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-11-2011) 06-12-2011, n. 45327

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. V.G., N.G., V.R., B. P. e M.B. vennero rinviati a giudizio, i primi tre, per avere, in violazione dell’art. 643 c.p., indotto S. A. (deceduto il (OMISSIS)) a compiere atti patrimoniali consistiti nella smobilizzazione dell’intero patrimonio e, quindi, di essersi appropriati, ex art. 646 c.p., dell’intera somma provento di tale attività (Euro 2.030.720,00) di cui avevano la disponibilità in virtù dell’esclusivo e fiduciario rapporto artatamente creato, gli ultimi due ( B. e M.) per avere, in violazione dell’art. 648 bis c.p., acquistato immobili mediante denaro, ricevuto da V.G., ma proveniente dai delitti di cui agli artt. 643-646 c.p. ed avere compiuto, quindi, operazioni tali da ostacolarne l’identificazione. p. 2. Con sentenza in data 9/7/2009, il Tribunale di Padova, dichiarava V.G., N.G., V.R., B.P. e M.B. responsabili dei reati di cui agli artt. 643 – 646 c.p. ( V.G., N.G., V. R.) e art. 648 bis c.p. ( B. e M.) ai danni di S.A., e, per l’effetto, li condannava alle pene ritenute di giustizia oltre al risarcimento dei danni a favore delle costituite parti civili. p. 3. Proposto appello da parte di tutti gli imputati, con sentenza in data 25/11/2010, la Corte di Appello di Venezia, in totale riforma dell’impugnata sentenza, assolveva tutti gli imputati dai reati loro ascritti, assorbito il reato di cui all’art. 646 c.p. in quello di cui all’art. 643 c.p., perchè il fatto non sussiste e, per l’effetto, revocava le statuizioni civili.

La Corte territoriale riteneva che lo S. non si trovasse affatto nelle condizioni per essere circonvenuto dagli imputati e, confutando gli argomenti addotti dal Tribunale, perveniva alla suddetta conclusione sulla base delle considerazioni di seguito indicate.

Tutti e sette i ricoveri ai quali lo S., dal 28/2/2001 al 3/09/2002, era stato sottoposto, erano fondamentalmente legati a disturbi di competenza internistica e a concomitanti disturbi di natura circolatoria che, quindi, non avevano nulla a che vedere con patologie di natura neurologica o psichiatrica.

Gli stessi ct del P.M. e delle parti civili (proff. T. e P.) avevano escluso una patologia costituente infermità di mente, avendo, invece, sostenuto la presenza di una deficienza psichica – derivante da un grave quadro vasculopatico cerebrale di cui era portatore dal almeno dal 2000 e da altre limitazioni funzionali fisiche (ipoacusia grave, fibrillazione atriale, difficoltà di deambulazione) – che aveva reso lo S. persona circonvenibile, essendo diventato suggestionabile sicchè gli faceva difetto la capacità di criticare le operazioni finanziarie. Sul punto, la Corte, però, obiettava che le suddette conclusioni non erano affatto convincenti perchè, una volta ritenuto che la nozione di deficienza psichica non apparteneva alla scienza psichiatrica ma rimaneva nell’ambito giuridico, era contraddittorio volerla desumere dalla documentazione medica, tanto più in assenza di descrizioni accurate e complete delle condizioni mentali dello S..

Infatti, le alterazioni anatomiche (atrofia cerebrale) rilevate da Tac effettuate in occasione di alcuni ricoveri ed il disorientamento temporaneo, non potevano essere considerati indici sicuri della deficienza psichica, tant’è che i sanitari avevano provveduto alla immediata dismissione dello S. non appena aveva manifestato segni di miglioramento, senza sottoporlo ad ulteriori indagini ed accertamenti di interesse psichiatrico. In realtà, rilevava la Corte, l’unico medico esperto di nEuropsichiatria che aveva esaminato lo S. nel periodo di interesse per il presente procedimento, era stato il prof. M. che aveva rilasciato tre certificati medici in data 22/12/2000, 21/2/2002, e 19/01/2002 che ne attestavano la conservata capacità di intendere e volere, la capacità di attenzione, la percezione, la memoria recente e una capacità logica deduttiva nella norma. La Corte, sul punto, confutava il giudizio svalutativo espresso dal tribunale ritenendolo destituito di ogni fondamento logico e privo di alcuna plausibile ragione nel carteggio processuale.

Numerose ed univoche, poi, rilevava la Corte, erano le testimonianze che contrastavano le conclusioni alle quali era giunto il Tribunale:

tutti i testi, infatti, avevano descritto lo S. come una persona capace, lucida e attenta agli affari.

Infine, la Corte, spiegava il comportamento dello S. nei seguenti termini: "la sparizione dell’intero suo patrimonio, operazione nella quale egli è stato protagonista di rimo piano sia pure col costante intervento di V., può trovare la sua ragione d’essere, alternativa a quella prospettata dall’accusa, nella volontà di estromettere dalla sua successione non solo B. F. ndr: costei, verso la quale lo S. manifestava un’aperta avversione, era stata la convivente dalla quale aveva avuto la prima figlia S.L., gravemente handicappata che già nel testamento del 1999 non era stata indicata come beneficiaria di alcunchè, ma soprattutto la figlia non voluta S.D., la cui paternità sentiva imposta solo da un atto giudiziale. Tutto questo a costo di privare anche la figlia L., già nominata usufruttuaria di ogni diritto. Lo stesso S. può avere destinato nei modi più diversi il denaro ricavato dalla vendita del suo patrimonio (ad es. lasciandolo alla Chiesa, già erede universale nel suo primo testamento). Questa destinazione, tuttavia, non è stata certamente chiarita dal presente giudizio". p. 4. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale, e, con separati ricorsi, le parti civili S.L., S.D. e F.B.. p. 4.1. Il PROCURATORE GENERALE, che ha impugnato la sentenza unicamente per i reati di cui agli artt. 643 – 646 c.p., contestati a V.G., V.R. e N.G., ha dedotto i seguenti motivi:

1. violazione dell’art. 643 c.p., per avere la Corte territoriale omesso di considerare tutte le anomalie e i disagi relazionali che, pur non costituendo espressione di psico-patologie, determinano un abbassamento intellettuale, una riduzione del potere di critica, l’indebolimento della funzione volitiva. La motivazione era, poi, contraddittoria, perchè la stessa Corte, pur avendo riconosciuto l’evidente antieconomicità e la frettolosità delle operazioni di smobilizzo dell’intero patrimonio e pur avendo ritenuto tali elementi idonei a suscitare "profonda perplessità" e con "valenza certamente indiziaria di una possibile suggestionabilità di S. da parte di V.", tuttavia non ne aveva, poi, tratto le logiche conseguenze sul piano giuridico. La Corte, poi, relativamente alla valutazione della testimonianza del dott. M., aveva ritenuto la medesima l’unica attendibile pur a fronte delle circostanziate valutazioni dei ct di parte e della dott.ssa L., medico dello S. per circa quindici anni, tutte confluenti nel ritenere lo stato di deficienza psichica di S..

2. VIOLAZIONE dell’art. 646 c.p. per avere la Corte ritenuto erroneamente assorbito il suddetto reato in quello di cui all’art. 643 c.p. pur a fronte di una puntuale formulazione dell’imputazione sulla base della quale doveva ritenersi che la contestata appropriazione costituiva esecuzione infedele del mandato dando luogo ad autonomo e concorrente reato di appropriazione indebita. p. 4.2. F.B. ha dedotto i seguenti motivi:

1. ILLOGICITA’ DELLA MOTIVAZIONE per non avere la Corte territoriale spiegato le ragioni per le quali dovrebbero avere maggior pregio le dichiarazioni del dott. M. invece che quelle degli altri professionisti, tanto più che la testimonianza del dott. M. era stata fortemente messa in dubbio dal tribunale. La Corte, poi, non avrebbe considerato che tutte le evidenze probatorie erano state concordi nell’affermare che lo S. fosse affetto da una poli- patologia inquadratole nella deficienza psichica come desumibile dal fatto che era una persona di novanta anni, solo, in una casa nuova, in balia di persone estranee, ma certamente determinate.

2. VIOLAZIONE dell’art. 648 bis c.p. per avere la Corte assolto gli imputati B. e M. dal reato di riciclaggio in modo insoddisfacente e carente rispetto agli evidenziati elementi fattuali dai quali si poteva desumere la consapevolezza e la volontà della condotta diretta a sostituire il denaro e, quindi, una condotta del tutto autonoma da quelle contestate agli altri imputati. p. 4.3. S.L. ha dedotto i seguenti motivi:

1. VIOLAZIONE dell’art. 643 c.p. per non avere la Corte territoriale considerato che, nella fattispecie, non si trattava "di ricercare una causa di infermità di natura clinica (anomalie mentali patologiche), ma una forma di abbassamento intellettuale, di menomazione del potere di critica, di indebolimento della funzione volitiva che possa aver reso facile la suggestionabilità e diminuito i poteri di difesa contro le insinuazioni e le insidie dell’agente". La ricorrente, poi, (pag. 6 ss del ricorso), confuta la sentenza nella parte in cui: a) ha ritenuto probante la testimonianza del dott. M. a scapito delle dichiarazioni dei C.t.p. proff. T. e P.; b) ha sostenuto che la capacità piena dello S. potesse desumersi dalle testimonianze di persone prive di esperienza in campo psichiatrico. La ricorrente, poi, ritiene che la sentenza sia contraddittoria nella parte i cui aveva riconosciuto che le operazioni compiute dallo S. erano antieconomiche e frettolose e che suscitavano "profonda perplessità e assumono valenza certamente indiziaria di una possibile suggestionabilità": la Corte, infatti, pur avendo essa stessa individuato precisi elementi dai quali poter desumere lo stato di deficienza psichica dello S., non aveva poi spiegato il motivo per cui dovevano essere disattesi.

In particolare, la Corte, quanto al destinatario finale del denaro, si era limitata a fornire ipotesi alternative per nulla motivate rispetto a quella offerta dal tribunale sulla base delle risultanze processuali.

2. violazione art. 648 bis c.p. per essersi la Corte limitata ad escluderne la sussistenza come conseguenza dell’assoluzione dal reato di circonvenzione. p. 4.4. S.D. ha dedotto con un unico motivo, la manifesta illogicità della motivazione. La ricorrente, in pratica, ripropone le stesse doglianze delle altre parti civili in quanto sostiene che la Corte territoriale: a) avrebbe male interpretato le risultanze delle cartelle cliniche redatte in occasione dei ricoveri ospedalieri dai quali si desumeva, com’era stato argomentato dai Ctp del P.M. e delle p.c., non uno stato di incapacità psichica pregiudizievole della capacità dell’intendere e volere ma uno stato di deficienza psichica favorevole ad uno stato di suggestionabilità;

b) avrebbe erroneamente dato credito alla testimonianza del dott. M., contrariamente a quanto correttamente rilevato dal Tribunale, travisando il contenuto della documentazione prodotta e della testimonianza resa; c) avrebbe valorizzato in modo improprio le testimonianze dei notai, non avvedendosi che lo S. non era affetto da incapacità ma compiva gli atti pregiudizievoli perchè suggestionato dal V. e dagli imputati; d) avrebbe illogicamente ritenuto che gli imputati potessero essere in grado di riconoscere uno stato di indebolimento volitivo da parte dello S.. Sul punto la Corte non aveva considerato che, negli ultimi mesi, lo S. aveva frequentato solo il V. e il N. e che non c’era stato movimento che non avesse fatto senza la presenza di costoro i quali, quindi, necessariamente erano stati in grado di apprezzarne compiutamente la debolezza e così trame profitto.

Infatti, essendo lo S. ridotto all’immobilità, tant’è che poteva muoversi solo sulla sedia a rotelle e alla presenza degli imputati che lo accompagnavano, la Corte non aveva considerato che non era in alcun modo possibile collocare l’enorme massa di contante che i era trovato a maneggiare, sicchè la sparizione del denaro era certamente avvenuta per il tramite e alla presenza del V. il quale, ove fosse stato estraneo, "avrebbe avuto buon gioco nel dimostrare la propria estraneità indicando i fortunati destinatari della generosità dello S., non essendo in tal senso legato ad alcun segreto". p. 5. Gli imputati hanno presentato memorie difensive. p. 5.1. V.R. e N.G., hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso del P.G. per difetto di interesse e, nel merito, hanno chiesto il rigetto o l’inammissibilità di tutti i ricorsi. p. 5.2. V.G., in via preliminare, ha eccepito: a) l’inammissibilità – per tardività – dei ricorsi proposti dalle parti civili S.D. e S.L.; b) l’inammissibilità del ricorso del P.G. per carenza d’interesse. Nel merito ha chiesto il rigetto o l’inammissibilità di tutti i ricorsi.

Motivi della decisione

p. 1. QUESTIONI PRELIMINARI. p. 1.1. INAMMISSIBILITA’ DEI RICORSI DELLE P.C. S.:

l’eccezione sollevata dall’imputato V.G. è infondata.

Infatti, i ricorsi proposti da S.D. e S.L. furono rispettivamente depositati il 10/03/2011 (ossia l’ultimo giorno utile come rileva lo stesso imputato: cfr pag. 23 memoria difensiva) ed il 09/03/2011 (presso il Tribunale di Padova) come risulta dall’attestazione, in data 16/03/2011, apposta dal cancelliere in calce alla sentenza della Corte di Appello impugnata. p. 1.2. inammissibilità del ricorso del P.G.: il P.G. ricorrente, nel proprio ricorso, aveva premesso che, nel giudizio avanti la Corte di Appello, aveva concluso chiedendo che la Corte dichiarasse estinti per prescrizione (maturata il 14/11/2010) i reati contestati ai V. ed al N. (artt. 643 – 646 c.p.). Tuttavia, proseguiva il P.G. ricorrente, egli aveva ugualmente interesse ad impugnare la sentenza di assoluzione della Corte di Appello "ai fini della corretta applicazione della legge ed ai fini dell’esigenza di tutelare sotto il profilo morale e materiale i congiunti di S. A. …". Gli imputati V. e N. contestano che il P.G. abbia interesse perchè, a loro avviso, il P.G. non ha alcun interesse a tutelare le ragioni delle parti civili e, comunque, la prescrizione non poteva essere più dichiarata essendo estranea "al thema decidendum in quanto non rilevata in alcuno dei motivi addotti a sostegno delle proposte impugnazioni".

La questione dell’interesse ad impugnare da parte del P.G. una sentenza di proscioglimento sebbene, nel giudizio di merito, fosse già maturata la prescrizione, è stata affrontata e risolta da questa Corte che, con la sentenza n 23627/2011 riv 250255, anche alla stregua della sentenza n 35490/2009 delle SSUU (che aveva risolto il contrasto insorto in ordine ai rapporti fra il proscioglimento nel merito e l’art. 129 c.p.p. ossia la questione se il proscioglimento nel merito prevalga rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità nel caso di contraddittorietà o insufficienza della prova), ha, sostanzialmente, affermato i seguenti principi:

1) nel caso di prova non evidente per essere la medesima contraddittoria o insufficiente, il giudice deve pronunciare sentenza con la quale dichiara la causa di estinzione del reato. Tuttavia, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova, nel caso in cui, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., il giudice di appello – intervenuta una causa estintiva del reato – è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili.

1) il P.m. ha interesse all’affermazione della corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale in caso di condanna in primo grado con causa di estinzione sopravvenuta nel grado successivo, ed in mancanza di rinuncia alla prescrizione da parte dell’imputato, il giudice di appello deve pronunciare sentenza con la quale dichiara la causa di estinzione del reato, atteso che la sentenza di condanna, di per sè (tranne casi di sentenza ed suicida o di evidenti errori di diritto) evidenzia un quadro probatorio di non evidenza della prova dell’innocenza. Il suddetto interesse deve ritenersi concreto perchè l’affermazione del principio di diritto in sede nomofilattica, ha indubbie ripercussioni generali sulla corretta applicazione dell’art. 129 c.p.p. da parte dei giudici di merito:

infatti, l’interesse del P.M. discende dal fatto che alla formula più favorevole la sentenza impugnata è pervenuta disapplicando il suddetto principio di diritto, sicchè deve ravvisarsi la legittimazione ad impugnare indipendentemente dalle conseguenze favorevoli o sfavorevoli per l’imputato, purchè il provvedimento tenda all’esatta applicazione della legge (in terminis Cass. 45330/2009 riv 245475, in motivazione). Ma, il P.m. ha interesse ad impugnare anche sotto un ulteriore e più concreto aspetto che riguarda proprio la posizione del singolo imputato, perchè una cosa è il proscioglimento con formula piena, altra è la mera declaratoria di estinzione del reato, come dimostrato dal fatto che, a parte invertite, nessuno dubita che l’imputato possa impugnare la sentenza con la quale è stata dichiarata la prescrizione del reato al fine di ottenere il proscioglimento nel merito e ciò senza che debba dimostrare o allegare alcun interesse ad agire. Ciò significa, quindi, che, per l’ordinamento processuale, la pronuncia di declaratoria di estinzione del reato ( art. 531 c.p.p.) o di assoluzione ( art. 530 c.p.p.) non è un fatto a valenza neutra: dal che consegue che l’interesse ad agire, per entrambe le parti processuali, deve ritenersi in re ipsa ove, con l’impugnazione, venga chiesta la riforma della sentenza con una formula a sè più favorevole. In altri conclusivi termini, siccome il P.M. è una parte processuale, portatore di un interesse pubblico che, in ipotesi, può essere opposto e configgente con quello dell’imputato (nel che ben può essere individuato l’interesse ad agire), non vi è alcuna ragione nè logica nè giuridica per gravare la parte pubblica di un onere processuale (allegazione dell’interesse ad agire) che non è richiesto alla parte privata.

Questa Corte ritiene di dover qui ribadire entrambi i suddetti principi, (pur nella consapevolezza che la questione dell’interesse ad impugnare del P.G. è controversa all’interno di questa stessa Corte) sicchè l’eccezione va disattesa.

Infatti, la decisione della Corte territoriale di entrare nel merito della vicenda (e, quindi, di non arrestarsi davanti all’intervenuta prescrizione) deve ritenersi corretta in quanto, essendovi le parti civili costituite, occorreva valutare funditus il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili.

Di conseguenza, avendo la Corte territoriale deciso in maniera difforme alle conclusioni del P.G. (che aveva chiesto la declaratoria di prescrizione), costui ha interesse ad impugnare per vedersi accolte quelle conclusioni respinte dalla Corte, adducendo motivi che evidenzino l’erroneità della decisione nel senso che il compendio probatorio era tale da non consentire l’assoluzione. Sul punto, va peraltro rilevato che, avendo impugnato anche le parti civili, questa Corte è investita della valutazione della sentenza impugnata come se la prescrizione non fosse maturata. In altri termini, il giudizio non può limitarsi alla mera valutazione della sussistenza o meno dell’evidenza della prova dell’innocenza in grado di appello (come si sarebbe dovuto fare se non vi fosse stata la costituzione delle parti civili e, quindi, la necessità di decidere sulle relative statuizioni) ma occorre entrare nella valutazione di tutte le questioni dedotte con la conseguenza che, all’esito del giudizio, le soluzioni possono essere le seguenti:

– ove si riconosca la fondatezza dei ricorsi, dev’essere pronunciata sentenza di estinzione del reato per prescrizione con rinvio al giudice civile competente nel grado;

– ove i ricorsi vengano ritenuti infondati (o manifestamente infondati), i medesimi devono essere respinti (o dichiarati inammissibili) con conseguente conferma della decisione impugnata anche in ordine alle statuizioni civili. Alla stregua di quanto appena detto, pertanto, anche l’eccezione di carenza di interesse del P.G. dev’essere respinta. p. 2. CIRCONVENZIONE DI INCAPACI. p. 2.1. La censura, nei termini in cui è stata variamente dedotta da tutti i ricorrenti, è infondata. p. 2.2. Innanzitutto, occorre dare atto che la Corte territoriale si è attenuta al consolidato principio di diritto secondo il quale "in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato": SSUU 33748/2005 Rv. 231679. Sul punto, infatti, è sufficiente leggere entrambe le sentenze per avvedersi che la Corte ha puntualmente preso in esame tutti gli argomenti addotti dal Tribunale in chiave accusatoria, li ha nuovamente valutati e li ha confutati punto per punto. p. 2.3. Come sì è detto, il nucleo controverso della vicenda processuale consiste nella valutazione dello stato mentale della pretesa parte lesa S.A..

La decisione impone una breve ma necessaria digressione sul reato di cui all’art. 643 c.p..

L’art. 643 c.p., inserito fra i delitti contro il patrimonio mediante frode, tutela il patrimonio del minorato ossia di colui che, non necessariamente interdetto o inabilitato, si trovi in una minorata condizione di autodeterminazione in ordine ai suoi interessi patrimoniali.

La legge individua tre categorie di soggetti passivi: 1) i minori; 2) l’infermo psichico; 3) il deficiente psichico.

Il fatto che la legge distingua fra infermo psichico e deficiente psichico e non consideri necessario che il soggetto passivo si trovi nella condizione per essere interdetto o inabilitato, induce a ritenere che:

– per infermità psichica deve intendersi ogni alterazione psichica derivante sia da un vero e proprio processo morboso (quindi catalogabile fra le malattie psichiatriche) sia da una condizione che, sebbene non patologica, menomi le facoltà intellettive o volitive;

– la deficienza psichica, invece, è un’alterazione dello stato psichico che, sebbene meno grave della infermità, tuttavia, è comunque idonea a porre il soggetto passivo in uno stato di minorata capacità in quanto le sue capacità intellettive, volitive o affettive, fanno scemare o diminuire il pensiero critico.

Rientrano in tale categoria, fra l’altro, ad es., la fragilità e la debolezza di carattere (Cass. 9/10/1973, Ced 126922).

Peraltro, il minimo comun denominatore che si può rinvenire nelle due predette situazioni, consiste nel fatto che, in tanto il reato può essere configurato in quanto si dimostri l’instaurazione di un rapporto squilibrato fra vittima ed agente nel senso che deve trattarsi di un rapporto in cui l’agente abbia la possibilità di manipolare la volontà della vittima a causa del fatto che costei si trova, per determinate situazioni da verificare caso per caso, in una minorata situazione e, quindi, incapace di opporre alcuna resistenza a causa della mancanza o diminuita capacità critica. Tale situazione di minorata capacità dev’essere oggettiva e riconoscibile da parte di tutti in modo che, chiunque possa abusarne per raggiungere il suoi fini illeciti (Cass. 15/10/1987, Rv 175682).

L’art. 643 c.p., infine, al fine di ritenere integrata la fattispecie criminosa, prevede (in aggiunta alla minorata capacità di cui si è detto) altri due elementi oggettivi:

– l’induzione a compiere un atto che importi, per il soggetto passivo e/o per altri, qualsiasi effetto giuridico dannoso. Per induzione deve intendersi un’apprezzabile attività di pressione morale e di persuasione Cass. 13.12.1993, Di Falco, CED 196331 che si ponga, in relazione all’atto dispositivo compiuto, in un rapporto di causa ed effetto;

– L’abuso dello stato di vulnerabilità. L’abuso si verifica quando l’agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine ossia quello di procurare a sè o ad altri un profitto. p. 2.4. Ora, il caso di specie, si caratterizza non tanto come un caso di infermità psichica quanto come un’ipotesi di deficienza psichica. Infatti, a ben vedere, nessuno dei ricorrenti ha insistito più di tanto nel sostenere che lo S. fosse affetto da alcuna forma di infermità psichica, ma tutti, ognuno facendo leva su peculiari aspetti emersi dalla svolta istruttoria, hanno sostenuto che fosse affetto da una forma di deficienza psichica derivante sia dall’avanzata età, sia dalle malferme condizioni di salute, sia dallo stato di isolamento nel quale si trovava e del quale gli imputati ne avevano approfittato.

Come risulta, infatti, da quanto illustrato nella presente parte narrativa, le doglianze di tutti i ricorrenti ruotano, sostanzialmente, intorno ad un solo argomento e cioè che la Corte territoriale avrebbe fatto mal governo delle risultanze istruttorie le quali, invece, ove bene interpretate e valutate, avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a confermare il giudizio di colpevolezza del tribunale e, quindi, stante il tempo trascorso, a pronunciare la prescrizione.

Sennonchè la Corte territoriale, ha assolto gli imputati evidenziando i seguenti elementi:

– nessun documento medico attestava alcuna patologia neurologica o psichiatrica: sul punto la Corte ha molto indugiato e, all’esito di una serrata analisi dell’intero compendio probatorio, ha escluso che lo S. fosse affetto sia da qualsiasi forma di infermità mentale (cfr pag. 55) sia da deficienza psichica (cfr pag. 57);

– tutti i testi assunti avevano affermato che lo S. era sempre stato, fino alla fine, una persona lucida e determinata (cfr. pag. 61 ss.). La Corte, in particolare, ha preso in esame la testimonianza del dott. M. e ne ha ritenuto l’attendibilità;

– contrariamente alla conclusione alla quale era pervenuto il Tribunale – con motivazione logica e congrua alla stregua di una puntuale ricostruzione dei fatti (cfr pag. 58 ss.). La Corte, poi, ha preso in esame anche le testimonianze favorevoli alla tesi accusatoria, ma le ha confutate in modo accurato: cfr pag. 60 ss.

– infine, la Corte, dopo avere escluso che gli imputati "potessero riconoscere uno stato di indebolimento volitivo dello S. sì da poterlo suggestionare", ha concluso, sulla base di puntuali riscontri fattuali, affermando che l’apparente anomalo comportamento dello S. di smobilizzare il suo intero patrimonio, doveva rinvenirsi nella volontà di estromettere dalla sua successione non solo F.B. che già nel testamento del 1999 non era stata indicata come beneficiaria di alcunchè, ma soprattutto la figlia non voluta S.D., la cui paternità sentiva imposta solo da un atto giudiziale. Tutto questo a costo di privare anche la figlia L., già nominata usufruttuaria di ogni diritto.

In questa sede, come si è detto, tutti i ricorrenti hanno cercato di confutare le suddette argomentazioni della Corte territoriale.

Sennonchè, va replicato che le censure proposte con tutti i ricorsi, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

Pertanto, non avendo nessuno dei ricorrenti evidenziato incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali, le censure, essendo tutte incentrate su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, vanno respinte.

In altri termini, le censure devono ritenersi infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune: Cass. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999 rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.

Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze:

ex plurimis SSUU 24/1999. p. 3. APPROPRIAZIONE INDEBITA. In ordine al suddetto reato, occorre rilevare quanto segue. V. G., V.R. e N.G., furono rinviati a giudizio e condannati dal Tribunale di Padova, oltre che per il reato di di cui all’art. 643 c.p. anche per il reato di cui agli "art. 110, art. 81 cpv., art. 646, art. 61, n. 7 e art. 11 c.p., perchè, in concorso tra loro, in molteplici occasioni, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, a fine di profitto, dopo avere carpito il V. e il N. la fiducia di S.A., presentandosi quali persone che ne avrebbero curato ogni bisogno e dopo aver estromesso ed impedito ogni contatto del medesimo con altre persone, anche familiari, nell’occuparsi della gestione, con l’assistenza di V.R., degli affari patrimoniali dello S. a seguito del rapporto fiduciario creato e quanto ai beni mobili anche in virtù di una procura speciale rilasciata da quest’ultimo in favore del V.G., dopo aver determinato lo S. a compiere molteplici atti patrimoniali di vendita di beni immobili (per un valore approssimativo non inferiore a 1.467.000 Euro), titoli e prelievi da conti correnti (per un valore approssimativo non inferiore a 923.192,43 Euro), si appropriavano del danaro, provento di tali attività, di cui avevano la disponibilità in virtù dell’esclusivo e fiduciario rapporto artatamente creato. Con l’aggravante di aver procurato alla persona offesa un danno di rilevante entità e con abuso di autorità, relazioni domestiche e prestazioni di opera. In Padova fino al 3.9.02 (data di intervenuto decesso di S.A.)".

Il Tribunale era pervenuto a ritenere la colpevolezza dei suddetti imputati, sulla base di un’articolata motivazione che si basava oltre che su numerosi e convergenti indizi di natura fattuale anche su considerazioni di natura logica (cfr pag. 18 ss sentenza di primo grado).

La Corte territoriale ha ritenuto la non configurabilità del suddetto reato in quanto sarebbe rimasto assorbito nella circonvenzione di incapaci sicchè ne doveva seguire la sorte.

Sennonchè la decisione deve ritenersi errata dovendosi condividere le censure dedotte sia dal P.G. che dalle parti civili (cfr pag. penultima pagina ricorso S.D.; pag. 10 ricorso S. L.; pag. 7 ricorso F.).

Innanzitutto, s’impone una breve premessa in punto di diritto.

I capi d’imputazione relativi alla circonvenzione e all’appropriazione indebita, risultano essere stati formulati in modo palesemente alternativo: il che deve ritenersi legittimo in quanto, come ha reiteratamente ritenuto questa Corte "in presenza di una condotta dell’imputato tale da richiedere un approfondimento dell’attività dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati, è legittima la contestazione, nel decreto che dispone il giudizio, di imputazioni alternative, sia nel senso di più reati, sia di fatti alternativi, in quanto tale metodo risponde a un’esigenza della difesa, posto che l’imputato è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici sulle quali si svilupperà il dibattito processuale": ex plurimis Cass. 2112/2007 Rv. 238636.

Come si è detto, il tribunale aveva ritenuto che gli imputati si fossero resi responsabili di entrambi i reati contestati. Ora, indubbiamente, la Corte ben avrebbe potuto ritenere l’assorbimento dell’appropriazione indebita nella circonvenzione di incapaci, ma, a tale conclusione sarebbe potuta pervenire solo se avesse ritenuto di confermare il giudizio di responsabilità penale degli imputati in ordine al delitto di circonvenzione. Sennonchè, una volta assolti gli imputati dal delitto di cui all’art. 643 c.p., la Corte territoriale si era trovata di fronte pur sempre ad un’altra imputazione per la quale il tribunale aveva ritenuto la colpevolezza degli imputati e l’aveva ampiamente motivata. Di conseguenza, la Corte, non avrebbe potuto, sic et simpliciter, dichiarare l’assorbimento dell’un reato nell’altro, ma avrebbe dovuto entrare nel merito della vicenda e valutare se, in ipotesi, gli imputati, sebbene non colpevoli del reato di circonvenzione, si fossero però resi responsabili dell’alternativo reato di appropriazione indebita per il quale avevano riportato una condanna e, in relazione al quale avevano avuto ampiamente modo di difendersi.

Ci si trova, quindi, di fronte ad una motivazione omessa, sicchè, essendo stata la sentenza impugnata, sul punto, sia dal P.G. che dalle parti civili, s’impone l’annullamento della medesima sotto un duplice profilo ed effetto:

– declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (in virtù dell’impugnazione del P.G.);

– rinvio al giudice civile competente in grado di appello per le statuizione civili ex art. 622 c.p.p. (in virtù delle impugnazioni delle parti civili). p. 4. RICICLAGGIO. In ordine al suddetto reato, occorre rilevare quanto segue.

B.P. fu ritenuta responsabile dal tribunale di Padova "del reato di cui all’art. 648 bis c.p. perchè fuori dei casi di concorso nei reati di cui al capo a e b, nell’acquistare l’immobile sito in (OMISSIS) (vendita e condizioni economiche determinate nei modi di cui al capo a) e nel pagare il corrispettivo di Euro 125.000 mediante denaro ricevuto da V.G., denaro proveniente dai delitti di cui ai precedenti capi, sostituiva detto danaro o comunque compiva in relazione ad esso e all’immobile operazioni tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza dai delitti di cui ai capi a) e h).

In Padova, il 18.4.02".

A sua volta, anche M.B. fu ritenuto responsabile dal Tribunale di Padova "del reato di cui all’art. 648 bis c.p. perchè fuori dei casi di concorso nei reati di cui al capo a e b, nell’acquistare l’immobile sito in (OMISSIS) e via (OMISSIS) (vendita e condizioni economiche determinate nei modi di cui al capo a) e nel pagare il corrispettivo di Euro 101.140 mediante denaro ricevuto da V.G., denaro proveniente dai delitti di cui ai precedenti capi, sostituiva detto danaro o comunque compiva in relazione ad esso e all’immobile operazioni tali da ostacolare l’identificazione della loro provenienza dai delitti di cui ai capi a) e h). In Padova, il 22.3.02".

Il Tribunale ha motivato ampiamente sulla responsabilità dei due prevenuti a pag. 34-35 della sentenza.

La Corte territoriale ha assolto i due imputati in quanto "la pronuncia assolutoria relativa alla circonvenzione d’incapace, in essa assorbito il reato di appropriazione indebita, impone l’assoluzione anche da queste ipotesi delittuose … perchè il fatto non sussiste".

Questo capo della sentenza è stato impugnato dalle sole parti civili e non dal P.G..

La sentenza della Corte è errata per gli stessi motivi, mutatis mutandis, per i quali si è ritenuto errata la pronuncia assolutoria in ordine al reato di appropriazione.

Di conseguenza, essendo stato annullato il capo della sentenza relativo al reato presupposto (appropriazione indebita), anche il capo relativo al contestato reato di riciclaggio non può che seguirne la sorte.

Peraltro, poichè il capo della sentenza di appello è stato impugnato dalle sole parti civili, la sentenza, ferma restando l’assoluzione sotto il profilo penalistico, va annullata ai soli fini civili con rinvio al giudice civile competente in grado di appello. p. 5. L’accoglimento dei ricorsi comporta la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle costituite parti civili.

P.Q.M.

ANNULLA senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al delitto di cui all’art. 646 c.p. ascritto a V.G., N.G. e V.R., perchè estinto per prescrizione e rinvia al giudice civile competente in grado di appello;

ANNULLA ai soli fini civili la sentenza impugnata in ordine al delitto di cui all’art. 648 bis c.p. ascritto a B.P. e M.B. e rinvia al giudice civile competente in grado di appello;

CONFERMA nel resto l’impugnata sentenza CONDANNA gli imputati al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle costituite parti civili, S.L., S.D. e F.B. che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre spese generali, Iva e Cpa a favore di ciascuna di esse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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