Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 28-06-2012, n. 10929 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 3 giugno 2008 presso la Corte d’appello di Venezia, S.G. ha chiesto il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto il 4 agosto 1997 dinnanzi alla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Veneto, deciso con sentenza n. 565 del 2007, depositata il 7 giugno 2007.

L’adita Corte d’appello ha accolto parzialmente la domanda.

Determinata in tre anni la durata ragionevole del processo presupposto, di per sè privo di particolare complessità, e disattesa l’eccezione di prescrizione formulata dall’amministrazione convenuta, la Corte d’appello ha ritenuto che al ricorrente dovesse essere riconosciuto un indennizzo per il periodo di irragionevole durata del giudizio presupposto, pari a 6 anni e 10 mesi, di Euro 3.415,00, adottando, tenuto conto della natura collettiva del ricorso, il criterio di liquidazione rapportato a 500,00 Euro per ogni anno di eccessiva durata.

Per la cassazione di questo decreto S.G. ha proposto ricorso sulla base di un motivo, illustrato da memoria; l’intimata Amministrazione ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione delle motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l’unico motivo di ricorso (rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, e art. 41 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 3 Cost.), il ricorrente si duole della esigua entità dell’indennizzo riconosciuto per anno di ritardo, sostenendo che le ragioni addotte dalla Corte d’appello, e segnatamente quella relativa alla natura collettiva del ricorso, sarebbero del tutto inidonee a giustificare lo scostamento del criterio di liquidazione per anno di ritardo da quelli propri della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e di questa Corte, consistenti in una cifra compresa tra Euro 1.000,00 e Euro 1.500,00 per ciascuno degli anni di durata irragionevole, e comunque non inferiore a 1.000,00 Euro.

Il ricorso è fondato.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidata al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, sicchè è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili (Cass., S.U., n. 1340 del 2004).

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

Con riferimento alle ragioni che possono essere addotte per ridurre l’indicato parametro di liquidazione, si deve rilevare che questa Corte ha già avuto modo di precisare che la presunzione di danno non patrimoniale notoriamente connessa a situazioni soggettive provocate da un giudizio durato troppo a lungo, la cui connotazione in termini di irragionevolezza è, potrebbe dirsi, ancor più marcata in presenza di domande palesemente infondate e, come tali, suscettibili di immediata risoluzione, non può essere superata, tra l’altro, dalla circostanza che il ricorso amministrativo, inerente a rivendicazioni di categoria, sia stato proposto da una pluralità di attori, considerato che la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (v. , da ultimo, Cass. n. 30160 del 2011 cit.).

Nella specie, la Corte d’appello di Venezia ha motivato il considerevole scostamento dagli indicati parametri facendo riferimento, appunto, alla natura collettiva del ricorso e al resumibile affievolimento della partecipazione emotiva della parte.

Alla stregua di tali considerazioni il ricorso deve quindi essere accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2. In particolare, non essendo contestata la durata ragionevole del giudizio presupposto, accertata dalla Corte d’appello in 3 anni, e dovendosi ritenere che la durata complessiva di tale giudizio sia stata di 9 anni e 10 mesi, la durata irragionevole deve essere determinata in anni 6 e mesi 10, sicchè, nel caso di specie, in applicazione del criterio quantitativo prima affermato, si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente l’indennizzo di Euro 6.100,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito, in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda (la richiesta del ricorrente era di 19.666,66 Euro), possono essere compensate per metà, mentre quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno interamente poste, come liquidate in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011), a carico dell’Amministrazione resistente.

Le spese del giudizio di merito vanno distratte in favore del difensore della parte, Avvocato Gabriele De Paola, dichiaratosene antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.100,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle metà delle spese del giudizio di merito, che si liquidano per l’intero in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; dispone la distrazione delle spese del giudizio di merito in favore del difensore antistatario, Avvocato Gabriele De Paola.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012

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