Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-10-2011) 06-12-2011, n. 45378

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza 9.2.2010 il Tribunale di Catania condannava A. P.F. per il reato di cui alla L. 13 settembre 1982, n. 646, artt. 30 e 31, in relazione ad omesse comunicazioni di variazioni patrimoniali afferenti gli anni 2001 e 2003.

Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Catania dichiarava estinto per prescrizione il reato commesso nell’anno (OMISSIS), confermava nel resto la sentenza impugnata e riduceva la pena a due anni di reclusione e Euro 12.000,00 di multa.

L’imputazione oggetto di condanna in appello concerneva il fatto che l’ A. – al quale era stata applicata, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., la pena per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. con sentenza del 21.6.1995, irrevocabile il 22.9.1995 – aveva omesso di comunicare entro i termini di legge al Nucleo di Polizia Tributaria la vendita di un immobile perfezionata con atto notarile rogato il 28.7.2003.

A ragione della decisione la Corte di merito osservava: che non era rilevante agli effetti della configurabilità del reato la circostanza che ai sensi dell’art. 445 c.p.p. fossero estinti la pena e gli effetti penali della sentenza di applicazione della pena (richiamando tra l’altro Sez. U, n. 7 del 20.4.1994, Volpe e Sez. 1, n. 5233 del 15/12/2005, Aiello); che la variazione patrimoniale doveva farsi coincidere con la stipulazione del rogito; che non poteva escludersi l’elemento soggettivo del reato solo perchè la vendita era stata effettuata con atto pubblico, essendo l’imputato ben consapevole della condanna per associazione mafiosa e degli oneri da questa discendenti, anche per le sue qualità personali (laurea in giurisprudenza ed abilitazione alla professione forense).

2. L’ A. ha proposto ricorso a mezzo del difensore, avvocato Michele Alfano, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata:

2.1. Con il primo motivo denunzia violazione della L. n. 646 del 1982, artt. 30 e 31, art. 445 c.p.p., comma 2 e art. 178 c.p..

Osserva che l’obbligo di comunicazione sorgeva dallo status di condannato, ed esso costituiva effetto penale della condanna, da ritenersi venuto meno a seguito della "riabilitazione" ex art. 445 c.p.p., comma 2, analogamente a quanto rilevato da C. cost. n. 225 del 2008 a proposito dell’incidenza della riabilitazione sulla configurabilità del reato di cui all’art. 707 c.p..

Sotto altro aspetto rimarca che, sempre la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 442 del 2001, aveva rilevato come l’elemento soggettivo del reato andasse senz’altro escluso nell’ipotesi di trasferimento" per atto pubblico; nè valeva a giustificare, nel caso in esame, la sussistenza del dolo il riferimento fatto in sentenza alla qualifica professionale dell’agente, che, al contrario, proprio per le sue conoscenze, aveva ragionevolmente fatto affidamento su detta sentenza e sulla giurisprudenza di legittimità all’epoca conforme (sez. 1, 30.1.2002, n. 10024, per altro confermata da sez. 1 11.5.2007, n. 21736), oltre che sulla intervenuta estinzione del reato, da cui scaturiva l’obbligo in tesi violato, e degli effetti penali della relativa condanna.

2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione della legge processuale e vizi di motivazione con riferimento all’affermato superamento della soglia di punibilità. Alla ritenuta genericità di quanto aveva dichiarato, a tale proposito e in conformità alla tesi difensiva, il teste D.C. in primo grado, la difesa aveva tentato di supplire acquisendo sue dichiarazioni ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., e chiedendo quindi con l’atto d’appello la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per appurare gli aspetti asseritamente non chiariti. Irragionevolmente, dunque, la Corte aveva da un lato affermato che non vi era certezza in ordine alla dedotta già avvenuta corresponsione rateale del prezzo di vendita, aveva dall’altro omesso di pronunziarsi in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’esame.

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che appaiono fondate e assorbenti le deduzioni sviluppate nella prima parte del primo motivo di ricorso.

2. Va ricordato che il ricorrente è stato condannato per il reato di cui alla L. 13 settembre 1982, n. 646, artt. 30 e 31, per non avere comunicato al Nucleo di Polizia tributaria le variazioni del suo patrimonio intervenute nel 2003.

L’obbligo di comunicazione era scaturito nei suoi confronti da sentenza di patteggiamento per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., pronunziata il 21.6.1995 e divenuta irrevocabile il 22.9.1995, equiparabile a sentenza di condanna ai fini delle prescrizioni recate dalla L. n. 646 del 1982, art. 30.

Nel 2003 era tuttavia già intervenuta, in relazione a detta sentenza, l’estinzione del reato e di ogni altro effetto penale a norma dell’art. 445 c.p.p., e tale dato non è contestato dai giudici del merito, anzi è assunto come pacifico.

I giudici del merito hanno ciò nonostante ritenuto che l’obbligo di comunicazione non poteva ritenersi caducato.

3. Il quesito posto dal ricorso, e che occorre in via preliminare risolvere, è se, al contrario, l’obbligo imposto dalla L. n. 646 del 1982, art. 30, conseguente alla condanna, sia da considerare un effetto penale di questa, e venga perciò meno ogni qual volta all’estinzione del reato o della condanna consegua, per disposto normativo, l’estinzione altresì di ogni effetto penale.

4. Il Collegio è ben consapevole dell’orientamento apparentemente contrario espresso, in tema di estinzione degli effetti penali ex art. 445 c.p.p., da Sez. 1, n. 5233 del 15/12/2005, Aiello, Rv.

233104, cui ha fatto riferimento la sentenza impugnata, e che riguarda un incidente cautelare reale relativo a questa stessa vicenda processuale, cui ha aderito Sez. 1, n. 21233 del 30/05/2006, Musumeci, non massimata, e di quello, sostanzialmente analogo ma riferito alla riabilitazione, espresso Sez. 2, n. 14332 del 05/04/2006, D’Aiello, Rv. 234247. Ritiene però, alla luce delle articolate e condivisibili puntualizzazioni difensive e della più recente evoluzione giurisprudenziale, di legittimità e costituzionale, che da tale soluzione sia necessario ora discostarsi.

5. E’ anzitutto da rimarcare, con riguardo alla sentenza n. 5233 del 2005, Aiello, che la situazione di fatto allora considerata, in relazione a misura cautelare reale, era significativamente differente da quella che è ora, all’esito dei giudizi di merito, residualmente rilevante. La contestazione cautelare era riferita all’omessa comunicazioni di variazioni patrimoniali realizzate tra il 28/06/1998 e il 28/08/2003. Oggetto dell’imputazione provvisoria da considerare in quella sede era dunque una condotta realizzata, quantomeno in parte, prima della maturazione e dichiarazione (cui aveva provveduto, come si sottolineava, la Corte di Assise di Catania, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza in data 10/04/2001) degli effetti estintivi dell’art. 445 c.p.p.. Ben si comprende, di conseguenza, perchè la Corte avesse stigmatizzato che la realizzazione delle condotte omissive incriminate è impermeabile al verificarsi di successive vicende estintive del reato per cui vi era stata condanna, evocando altresì il principio generale dell’autonomia di ciascun reato a cui tradizionalmente s’ispira l’art. 170 c.p. (cfr. Lavori preparatori al codice penale, R.G., p. 1, p. 229).

L’imputazione in relazione alla quale è stata confermata la condanna dell’ A. con la sentenza oggetto dell’attuale ricorso, concerne invece esclusivamente fatti del (OMISSIS). Le variazioni patrimoniali di cui ora si discute, l’obbligo di loro comunicazione, la violazione di tale obbligo, sono tutti successivi all’estinzione ex art. 445 c.p.p. del reato e degli altri effetti della sentenza di patteggiamento da cui l’obbligo conseguiva.

Diviene per l’effetto rilevante verificare se, presupponendo il precetto la qualità di "persone condannate con sentenza definitiva" dei soggetti obbligati, tale qualità può ritenersi sussistente nonostante l’intervenuta estinzione, non tanto del reato, che qui in verità non interessa, quanto di ogni effetto penale della condanna.

6. Ebbene, in relazione alla fattispecie dell’art. 707 c.p., che ha a presupposto, come quella in esame, la particolare qualità di persona già condannata in via definitiva per determinati delitti, del soggetto attivo, la sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2008, fonda una parte consistente del proprio argomentare sull’assunto che il condannato cessa di rientrare tra i possibili autori della contravvenzione ove abbia ottenuto la riabilitazione, che estingue gli effetti penali della condanna. Con ciò espressamente uniformandosi all’indicazione offerta nella sua relazione d’accompagnamento agli artt. 178 e 180 c.p., dal Guardasigilli: "la condanna seguita da riabilitazione non potrà inoltre più formare recidiva o tenersi a calcolo agli effetti della dichiarazione di abitualità o professionalità del reato (…), nè essere d’ostacolo all’applicazione dell’amnistia o dell’indulto condizionati alla mancanza di precedenti condanne, nè fare attribuire la qualità di condannato per determinati delitti o contravvenzioni, agli effetti degli artt. (707 e 708)". 7. Se deve ritenersi pacifico che tra gli effetti penali della condanna (che vengono meno in conseguenza della riabilitazione) è da annoverare, la qualità di condannato rilevante ai fini dell’incriminazione per la violazione di obblighi di non facere, direttamente e immediatamente discendenti dalla condanna, non vi è ragione alcuna per giungere a diversa conclusione allorchè dalla condanna discenda, altrettanto direttamente e immediatamente (ovverosia senza alcun intervento discrezionale della pubblica amministrazione), un obbligo di facere, la cui violazione è parimenti penalmente sanzionata.

Non può realisticamente dubitarsi, d’altro canto, della natura in senso lato "sanzionatoria", ovvero "pregiudizievole" (Sez. U, n. 7 del 20/04/1994, Volpe), o ancora configurabile alla stregua di una "conseguenza giuridica negativa" (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, Sormani), dell’imposizione di comunicare ogni variazione patrimoniale che consegue di diritto alla condanna per il delitto di associazione mafiosa, nè che essa risponde ad esigenze di tutela e ad interessi del tutto analoghi a quelli posti a base dell’incriminazione cui è riferita la condanna a tale fine rilevante.

E neppure può annettersi significato dirimente, in senso opposto, al dato che identico obbligo è imposto, a norma della L. n. 646 del 1982, art. 30, oltre che al condannato, anche al sottoposto a misura di prevenzione.

Anche gli artt. 707 e 708 c.p. analogamente prevedevano l’insorgere dell’obbligo di astenersi da determinati comportamenti in conseguenza, oltre che di una sentenza di condanna definitiva per determinati reati, anche della sottoposizione ad ammonizione e quindi (per effetto della L. n. 1423 del 1956, art. 13) a misure di prevenzione. Ma ciò non era comunque d’ostacolo (come attesta la relazione del Guardasigilli citata) a considerare che la qualità di condannato ai fini della configurabilità del reato, per la parte riferibile a tali soggetti, costituiva effetto penale della condanna da cui detto status discendeva, e che per tale parte la riabilitazione impediva la configurabilità del reato. Nè la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 708 c.p. prima (sent. n. 110 del 1968) e dell’art. 707 c.p. poi (sent. m. 14 del 1971), laddove si riferiva a soggetti sottoposti a misure di sicurezza o di prevenzione, è stata determinata dalla loro equiparazione al condannato, bensì – e si potrebbe dire all’inverso -dal rilievo che misure di sicurezza e di prevenzione potevano in ipotesi riferirsi anche a fatti del tutto incoerenti rispetto all’interesse, di tutela del patrimonio, oggetto di tutela. Sicchè è appena il caso di aggiungere che alla diversità di trattamento tra il condannato che poteva ottenere la riabilitazione e il sottoposto a misure di prevenzione per il quale analogo istituto non era previsto, per quanto uscita indenne dai dubbi di legittimità costituzionale in relazione ad essa sollevati (ord. n. 675 del 1988), ha in ogni caso poi posto rimedio la previsione della speciale riabilitazione introdotta con la L. n. 327 del 1988, art. 15, comportante, analogamente alla riabilitazione dell’art. 178 c.p., la cessazione di tutti "gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona sottoposta a misure di prevenzione". 8. La estinzione degli effetti penali della condanna prodotta dalla riabilitazione non può, dunque, non determinare il venire meno della qualità di condannato e la configurabilità dei reati che tale qualità presuppongano: a prescindere dalla circostanza che il precetto cui è collegata la sanzione si riferisca ad un obbligo di fare o di non fare, purchè tale obbligo sia posto per legge, e in via automatica, in capo al condannato per effetto della sola condanna.

E alla stessa conclusione deve giungersi anche per l’ipotesi, che è quella che qui interessa, dell’estinzione di "ogni effetto penale" prevista dalla seconda parte dell’art. 445 c.p.p., comma 2.

Tale previsione normativa, come rilevava già Sez. U. Sormani cit., ripete "pressochè alla lettera" l’art. 178 c.p..

L’annuncio di decisione, in data odierna, di Sez. U. Marciano (nel senso che l’estinzione di ogni effetto penale prevista dall’art. 47, comma 12, Ord. Pen., in conseguenza dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale comporta che della relativa condanna non possa tenersi conto agli effetti della recidiva), rende inoltre palese che le Sezioni Unite hanno inteso accogliere una nozione unitaria dell’espressione "ogni effetto penale" – utilizzata dal legislatore, nell’ambito dei più svariati istituti, per annettere conseguenze estintive premiali a comportamenti ritenuti meritevoli di considerazione alla stregua di manifestazioni d’emenda -, respingendo la tesi della limitazione per via interpretativa degli effetti estinguibili, in assenza di espresse indicazioni legislative in tal senso.

9. Nel caso in esame deve per conseguenza affermarsi che la dichiarazione di estinzione, ai sensi dell’art. 445 c.p.p., comma 2, di ogni effetto penale della sentenza di patteggiamento ha determinato il venire meno della qualità di condannato del ricorrente ai fini della sua soggezione all’obbligo di comunicare, ai sensi della L. n. 646 del 1982, art. 30, le variazioni del proprio patrimonio al Nucleo di Polizia tributaria. In relazione alle variazioni patrimoniali successive alla dichiarazione di estinzione degli effetti penali della condanna generatrice di detto obbligo, non è dunque configurabile, a carico del ricorrente, la violazione sanzionata dall’art. 31 della medesima legge.

La sentenza impugnata deve per tali ragioni essere annullata senza rinvio perchè il fatto in relazione al quale l’ A. è stato condannato non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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