T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 10-01-2012, n. 200

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.G.G. ha iniziato a collaborare con la giustizia rendendo dichiarazioni riconosciute attendibili, tanto da essere sottoposto a speciale programma di protezione.

Tuttavia, con delibera della Commissione Centrale ex art. 10 della L.15 marzo 1991, n. 82, è stata disposta la revoca del programma speciale di protezione nei confronti del suddetto e dei suoi familiari, in quanto lo stesso era stato tratto in arresto in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 371 ter c.p..

La Commissione centrale, infatti, ritenendo che la commissione del reato indicato costituisse violazione dell’art. 12, lett. b), del D.L. n. 8 del 1991, ha disposto la revoca obbligatoria del programma di protezione.

Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni assunte dalla Commissione centrale, l’interessato le ha impugnate dinanzi al TAR del Lazio, avanzando le domande indicate in epigrafe.

Con memoria recante motivi aggiunti in data 29.11.2010, ritualmente notificata, la parte ricorrente ha impugnato anche la delibera della Commissione Centrale ex art. 10 della L.15 marzo 1991, n. 82, del 15 settembre 2010, con la quale è stata disposta la revoca del cambiamento delle generalità nei confronti dell’odierno ricorrente e dei suoi familiari, deducendo censure sia sotto il profilo della violazione di legge che sotto quello dell’eccesso di potere.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.

Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente le rispettive difese.

All’udienza del 23 giugno 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Motivi della decisione

1. Con il ricorso introduttivo del giudizio e con memoria recante motivi aggiunti del 29.11.2010, il ricorrente ha avanzato le censure di seguito esposte avverso il provvedimento impugnato:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 13 quater, commi 1 e 2, del D.L. n. 8 del 1991, per avere disposto la revoca dello speciale programma di protezione in mancanza dei presupposti previsti dalla legge: – la Commissione ha erroneamente ritenuto di dover revocare lo speciale programma di protezione disposto in favore del ricorrente e dei propri familiari a causa dell’adozione nei confronti del ricorrente di una ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 371 ter c.p., omettendo di considerare che il delitto in questione non giustifica un provvedimento di revoca obbligatoria del programma di protezione; – peraltro, l’ordinanza che dispone la custodia in carcere, di per sé, non costituisce un provvedimento che certifica in modo definitivo la colpevolezza dell’imputato; – inoltre, va considerato che, nel caso de quo, ricorreva la causa di giustificazione dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., perché il ricorrente ha tenuto la condotta contestata perché costretto dalla necessità di salvaguardare l’incolumità fisica della madre e delle sorelle residenti nella città natale e non sottoposte a programma di protezione; – infine, il provvedimento contestato va considerato contraddittorio ed illegittimo, in quanto non congruamente motivato, essendosi limitata la Commissione centrale a fare riferimento ai pareri non vincolanti espressi dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria l’8 giugno 2010 e dalla Direzione Nazionale Antimafia il 30 giugno 2010;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 15 L. n. 82 del 1991, dell’art. 2, co. 2, D.Lgs. n. 119 del 1993 e degli artt. artt. 14 e 15, del D.M. n. 161 del 2004, per avere disposto la revoca del cambiamento delle generalità in mancanza dei presupposti previsti dalla legge; eccesso di potere per manifesta illogicità, contraddittorietà della motivazione rispetto al tenore letterale della normativa vigente in materia; carenza di motivazione: – la Commissione centrale, con Delib. del 15 settembre 2010, ha disposto la revoca del cambiamento delle generalità nei confronti dell’odierno ricorrente e dei suoi familiari, sulla base dell’erronea valutazione in base alla quale ricorrevano i presupposti per adottare un provvedimento di revoca vincolata dello speciale programma di protezione precedentemente adottato; – peraltro, anche in relazione alla revoca del cambio di generalità, va considerato che l’adozione di una ordinanza che dispone la custodia in carcere, di per sé, non costituisce un provvedimento che consente di affermare con certezza la colpevolezza dell’incolpato e, comunque, va considerato che, nel caso de quo, ricorreva la causa di giustificazione dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., perché il ricorrente ha tenuto la condotta contestata perché costretto dalla necessità di salvaguardare l’incolumità fisica della madre e delle sorelle residenti nella città natale e non sottoposte a programma di protezione; – infine, il provvedimento contestato va considerato contraddittorio ed illegittimo, in quanto non congruamente motivato.

2. L’Amministrazione resistente si è difesa in giudizio depositando note e documenti relativi alla vicenda, contestando le censure avanzate dalla parte ricorrente, affermando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

3. E’ opportuno, prima di valutare le censure avanzate dalla parte ricorrente, esaminare il quadro normativo dettato in materia di protezione dei collaboratori e testimoni di giustizia.

La materia trova la sua disciplina primaria nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8 (recante Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 gennaio 1991, n. 12 e convertito in legge, con modificazioni, con L. 15 marzo 1991, n. 82 (in G.U. 16 marzo 1991, n. 64), come modificato dalla L. 13 febbraio 2001, n. 45.

La disciplina dettata in materia, è completata dalla normativa di rango secondario contenuta nel D.M. 23 aprile 2004, n. 161 (recante il Regolamento ministeriale concernente le speciali misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia e i testimoni, ai sensi dell’articolo 17-bis del D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, introdotto dall’articolo 19 della L. 13 febbraio 2001, n. 45), emanato dal Ministero dell’Interno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 2004, n. 147).

Per quanto concerne la protezione dei Collaboratori di giustizia, il Capo II, del D.L. n. 8 del 1991, all’articolo 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione) stabilisce che alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 9, possono essere applicate speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l’incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.

Le speciali misure di protezione sono applicate: 1) quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza; 2) se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia – Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 del medesimo articolo 9 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, e 600-quinquies del codice penale.

Ai fini dell’applicazione delle speciali misure di protezione, il terzo comma dell’articolo 9 precisa che assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale, le quali devono avere carattere di intrinseca attendibilità; devono, altresì, avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristico-eversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi (art. 9, comma 6).

I contenuti delle speciali misure di protezione sono stabiliti dall’articolo 13 del D.L. n. 8 del 1991 e dall’art. 7 del D.M. n. 161 del 2004, mentre l’articolo 9, comma 4 del medesimo decreto legge prevede che se le speciali misure di protezione indicate nell’articolo 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell’articolo 13, comma 5 del medesimo decreto legge e nell’art. 8 del D.M. n. 161 del 2004, comprendendo, tra le altre, misure di assistenza personale ed economica (cfr. art. 13, commi 6 e ss., D.L. n. 8 del 1991).

Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 dell’articolo 9 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 del citato articolo 13 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.

L’ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono deliberati dalla Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del D.L. n. 8 del 1991, su proposta formulata dalla competente Autorità giudiziaria inquirente o dal Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza (cfr. artt. 2 e ss., D.M. n. 161 del 2004), ai sensi dell’articolo 11 del citato decreto legge, il quale prevede i casi in cui è possibile chiedere un parere, rispettivamente, al Procuratore Nazionale Antimafia ed ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello interessati, o al competente Procuratore della Repubblica.

L’ammissione alle speciali misure di protezione avviene all’esito dell’istruttoria del caso concreto e previa assunzione da parte delle persone protette degli impegni di cui all’art. 12 del D.L. n. 8 del 1991, specificati nell’art. 9, del D.M. n. 161 del 2004.

L’art. 10, del D.M. n. 161 del 2004, disciplina la modifica e la verifica periodica delle speciali misure di protezione, precisando, in particolare, che: – la Commissione centrale può modificare le speciali misure di protezione ed il programma speciale di protezione attraverso l’introduzione, la modificazione, l’integrazione, l’abrogazione o la sospensione delle misure tutorie, di quelle assistenziali, nonché di quelle relative agli impegni previsti a carico degli interessati (comma 1); – le speciali misure di protezione e il programma speciale di protezione sono a termine (comma 7) ed il termine delle misure e dei programmi speciali di protezione – non inferiore a sei mesi e non superiore ai cinque anni – è fissato dalla Commissione centrale con lo stesso provvedimento con cui vengono adottati; in caso di mancata indicazione il termine è di un anno dalla data del provvedimento (comma 8).

Le speciali misure di protezione, oltre ad essere a termine, anche se di tipo urgente o provvisorio a norma dell’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 8 del 1991, possono essere revocate o modificate, ai sensi dell’art. 13 quater del D.L. n. 8 del 1991, in relazione ai seguenti fatti o circostanze: – attualità del pericolo; – gravità del pericolo e idoneità delle misure adottate; – condotta delle persone interessate; – osservanza degli impegni assunti a norma di legge.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8 del 1991, prevede ipotesi di revoca vincolata e ipotesi di revoca facoltativa.

In particolare, costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b) ed e); 2) la commissione di delitti indicativi del reinserimento del soggetto nel circuito criminale.

Costituiscono, invece, fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione: 1) l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12; 2) la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione; 3) la rinuncia espressa alle misure; 4) il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa; 5) il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti; 6) ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.

L’art. 13 quater, comma 2, del D.L. n. 8 del 1991, prevede che nella valutazione da eseguire ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si deve tenere particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9 del medesimo decreto legge.

Riguardo alla cessazione delle misure di protezione, l’articolo 11 del D.M. n. 161 del 2004, precisa che le speciali misure di protezione, anche se di tipo urgente o provvisorio ai sensi dell’articolo 13, comma 1, della L. 15 marzo 1991, n. 82, sono revocate o non sono prorogate nei casi espressamente previsti dalla legge ovvero quando vengono meno l’attualità e la gravità del pericolo o appaiono idonee altre misure adottate. Le misure speciali di protezione possono altresì essere revocate o non prorogate in caso di inosservanza degli impegni assunti da parte dei soggetti ad esse sottoposti in relazione a quanto disposto all’articolo 13-quater, commi 1 e 2, della L. 15 marzo 1991, n. 82 e negli altri casi in cui la legge non prevede espressamente l’obbligatorietà della revoca.

A tal fine, il Prefetto e il Servizio centrale di protezione informano la Commissione centrale, l’Autorità proponente e il Procuratore nazionale antimafia o il Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di ogni comportamento o circostanza che possono integrare i presupposti per la revoca delle misure speciali di protezione.

La Commissione centrale, una volta ricevuta dal Servizio centrale di protezione o dal Prefetto la nota informativa di cui al comma 2 del citato articolo 11 del Regolamento, chiede all’Autorità proponente, al Procuratore nazionale antimafia o al Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato di esprimere un parere in ordine alla modifica o alla revoca delle speciali misure di protezione, in conseguenza dei fatti segnalati. Qualora le predette Autorità non abbiano emesso il parere entro trenta giorni dalla richiesta della Commissione centrale, quest’ultima decide nel merito, ove non ritenga di prorogare ulteriormente il termine. In ogni caso, il comma 4 del medesimo articolo 11 precisa che il parere reso dall’Autorità proponente non è vincolante.

Con motivata richiesta l’Autorità proponente può indurre la Commissione a verificare la permanenza delle condizioni che hanno determinato l’applicazione delle speciali misure di protezione, provvedendo, se necessario, alla modifica o alla revoca delle medesime (cfr. art. 11, comma 5, D.M. n. 161 del 2004).

Le misure speciali di protezione possono essere modificate o revocate prima della scadenza, d’ufficio o su richiesta degli interessati, anche per avviare il reinserimento sociale e lavorativo delle persone protette, tenuto conto degli impegni processuali, della esposizione a pericolo, della compatibilità delle iniziative proposte con le esigenze di sicurezza, del tempo trascorso dall’adozione delle misure speciali di protezione (cfr. art. 11, comma 6, D.M. n. 161 del 2004). Anche in tal caso è richiesto il parere dell’Autorità proponente e di quelle preposte all’attuazione delle misure speciali di protezione, nonché quello del Procuratore nazionale antimafia o del Procuratore generale presso la Corte d’appello interessato.

4. Ciò posto, le censure avanzate dalla parte ricorrente vanno considerate fondate per le ragioni di seguito indicate.

Nel caso di specie, dall’esito dell’istruttoria condotta – per come emerge e risulta dal tenore dei provvedimenti impugnati, dagli stralci dei verbali delle riunioni della Commissione centrale e dagli atti posti a base degli atti contestati – risulta che la Commissione centrale è stata indotta ad adottare il provvedimento di revoca sulla base del parere espresso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, con nota del 8 giugno 2010, la quale ha chiesto la revoca del programma di protezione nei confronti del collaboratore della giustizia, in quanto lo stesso è stato tratto in arresto in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 25 maggio 2010 dal GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria per il delitto di cui agli artt. 371 ter c.p. e art. 7, D.L. n. 152 del 1991 (dichiarazioni false rese al difensore degli imputati), commesso in concorso con altro. Secondo la DDA di Reggio Calabria, si erano integrate le violazioni di cui all’art. 12, lett. b), della L. n. 82 del 1991, che per effetto di quanto previsto dall’art. 13 quater, comma 2, della D.L. n. 8 del 1991, determina la ‘revoca automatica’ del programma di protezione.

Anche la Direzione Nazionale Antimalia, interpellata al riguardo, con nota del 30 giugno 2010, preso atto di quanto emerso dalle indagini, ha espresso parere favorevole alla revoca del programma di protezione.

Ciò posto, la Commissione centrale ha ritenuto che si fossero "integrati i presupposti di cui all’articolo 13-quater, commi 1 e 2, per la revoca cd. obbligatoria del programma, essendosi configurata l’inosservanza degli impegni da parte del collaboratore, assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettera b), come specificatamente ravvisato dalla stessa Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria".

In sostanza, la Commissione centrale ha disposto il ritiro dello speciale programma di protezione, ritenendo che ricorressero i presupposti per adottare un provvedimento di revoca vincolata.

A parere del Collegio – considerato quanto sopra evidenziato al punto sub 3) circa la distinzione tra revoca vincolata e revoca discrezionale, in relazione alla diversità delle condizioni e dei presupposti che devono ricorrere per adottare un provvedimento vincolato o operare una scelta discrezionale – il provvedimento impugnato deve ritenersi illegittimo.

Infatti, la Commissione ha erroneamente ritenuto di dover revocare lo speciale programma di protezione disposto in favore del ricorrente e dei propri familiari a causa dell’adozione nei confronti del S. ricorrente di una ordinanza di custodia cautelare in carcere per il delitto di cui all’art. 371 ter c.p..

Confrontando quanto stabilito dalla normativa applicata dalla Commissione centrale con il delitto in questione, si giunge alla conclusione che la condotta del ricorrente avrebbe potuto, in astratto, giustificare un provvedimento di revoca discrezionale, ma non necessariamente una revoca vincolata del programma speciale di protezione, perché l’art. 13 quater, comma 2, prima parte, del D.L. n. 8 del 1991 prevede la revoca vincolata in caso di violazione degli obblighi di cui all’art. 12, comma 2, lett. b), del D.L. n. 8 del 1991 (norma applicata nella fattispecie) e, cioè, nelle ipotesi in cui l’interessato abbia violato l’obbligo di "sottoporsi a interrogatori, a esame o ad altro atto di indagine ivi compreso quello che prevede la redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione".

A parere del Collegio, le condotte descritte dalla norma indicata sono diverse e distinte da quella di cui all’art. 371 ter c.p. (false dichiarazioni al difensore).

In considerazione delle finalità delle disposizioni contenute nel D.L. n. 8 del 1991, è chiaro che le ipotesi di revoca obbligatoria vanno considerate tassative, con la conseguenza che non possono rientrare nell’ambito della loro applicazione condotte non espressamente contemplate quale, appunto, quella assunta nel caso di specie dal Santatiti, avente ad oggetto l’aver reso false dichiarazioni al difensore (art. 371 ter c.p.).

Pertanto, nella fattispecie la revoca si rivela illegittima in quanto la Commissione centrale, anziché eseguire valutazioni discrezionali della condotta del ricorrente (ai sensi dell’art. 13 quater, comma 2, seconda parte, del D.L. n. 8 del 1991), ha erroneamente ritenuto di poter disporre la revoca automatica dello speciale programma di protezione (applicando, erroneamente, l’art. 13 quater, comma 2, prima parte, del D.L. n. 8 del 1991, in relazione all’art. 12, comma 2, lett. b), del D.L. n. 8 del 1991).

5. L’illegittimità della delibera della Commissione Centrale del 28 luglio 2010, con la quale è stata disposta la revoca del programma speciale di protezione nei confronti di S.G.G. e dei suoi familiari, comporta, in via derivata, anche l’invalidità del provv. in data 15 settembre 2010, con il quale è stata disposta la revoca del cambiamento delle generalità nei confronti dell’odierno ricorrente e dei suoi familiari.

6. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto ai fini del riesame della posizione del ricorrente.

7. Sussistono validi motivi – legati alla particolarità delle vicenda e delle questioni trattate – per disporre la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo accoglie, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati;

– dispone la integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti in causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Linda Sandulli, Presidente

Pietro Morabito, Consigliere

Roberto Proietti, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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