Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-10-2011) 06-12-2011, n. 45337

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Gup del Tribunale di Foggia, con sentenza emessa il 24/11/010, dichiarava P.E., P.V. e M. F., colpevoli del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, (come contestato in atti) e li condannava alla pena di Euro 6.000,00 di ammenda ciascuno.

Gli interessati proponevano ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

In particolare i ricorrenti esponevano:

1. che P.V. era estraneo ai fatti in esame;

2. che nella fattispecie non ricorrevano gli elementi costitutivi del reato contestato, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, trattandosi di residui di materiali di scavo, da utilizzare come reimpiego, che non costituivano rifiuti, ma sottoprodotti.

Tanto dedotto, i ricorrenti chiedevano l’annullamento della sentenza impugnata.

Il P.G. della Cassazione, nella pubblica udienza del 19/10/011, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il Gup del Tribunale di Foggia, mediante un esame analitico e puntuale delle risultanze processuali, ha accertato che P. E. e P.V. – nelle condizioni di tempo e di luogo come individuate in atti – avevano provveduto a depositare a tempo indeterminato su un’area (ubicata come in atti, di proprietà di M.F.) rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da terreno, pietre e pezzi di asfalto. Detto deposito era realizzato da P.V., quale rappresentante legale dell’impresa Pizzulo Costruzioni srl, nonchè da P.E. (fratello del primo), incaricato specificamente dal fratello per l’organizzazione del deposito.

M.F., a sua volta, era consapevole dell’attività di deposito incontrollato nell’area di sua proprietà, in ordine alla quale (attività) aveva dato pieno consenso.

I materiali sopraindicati non erano destinati ad essere riammessi nel ciclo produttivo della predetta impresa, "Pizzulo Costruzioni srl".

Ricorrevano, pertanto, nella fattispecie gli elementi costitutivi, soggettivo ed oggettivo, del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, come contestato in atti.

Per contro le censure dedotte nel ricorso sono infondate.

In primo luogo va disattesa l’eccezione processuale relativa all’asserito annullamento del decreto penale di condanna. Il Tribunale di Foggia con provvedimento del 21/10/2010 aveva dichiarato la nullità del decreto con il quale era stato disposto il giudizio immediato, il tutto poichè non era stata valutata la richiesta di rito abbreviato presentata dagli attuali ricorrenti in sede di opposizione al decreto penale. Il Tribunale, tuttavia, per mero errore materiale aveva fatto riferimento – anzichè al decreto di disposizione del giudizio immediato – al decreto penale di condanna.

Trattandosi di mero errore materiale, consegue la piena legittimità del successivo rito abbreviato (come richiesto dagli imputati in sede di opposizione) con cui è stato definito il processo.

Parimenti vanno disattese le ulteriori censure attinenti al merito.

Dette doglianze sono infondate perchè in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dal giudice del merito.

Le stesse costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto, poichè non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perchè in violazione della disciplina di cui all’art. 606 c.p.p..

Giurisprudenza consolidata: Cass. Sez. Unite Sent. n. 6402 del 02/07/97, rv 207944; Cass. Sez. Unite Sent. n. 930 del 29/01/96, rv 203428; Cass. Sez. 1^ Sent. n. 5285 del 06/05/98, rv 210543; Cass. Sez. 5^ Sent. n. 1004 del 31/01/2000, rv 215745; Cass. Sez. 5^ Ord. N. 13648 del 14/04/2006, rv 233381.

In particolare l’assunto difensivo principale – secondo cui si trattava non di rifiuti, ma di terreno da scavo da reimpiegare nel ciclo produttivo dell’azienda gestita da P.V. – non risulta provato in modo certo ed esaustivo.

Va respinto, pertanto, il ricorso proposto da P.E., P.V. e M.F. con condanna degli stessi al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *