Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2011) 06-12-2011, n. 45425 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 14 dicembre 2010 il Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta,, con la quale T.F. ha chiesto in fase esecutiva, ex artt. 666 e 671 c.p.p., l’applicazione della continuazione fra i fatti giudicati con tre gruppi di sentenze, di cui il primo concernente tre sentenze aventi ad oggetto reati di false generalità fornite agli organi di polizia cui agli artt. 495, 496 cod. pen.; il secondo concernente due sentenze, di cui la prima avente ad oggetto il reato di cui all’art. 495 cod. pen. e la seconda avente ad oggetto il reato di ricettazione; il terzo concernente due sentenze aventi entrambe ad oggetto il delitto di ricettazione di veicoli rubati.

2. Il Tribunale di Roma ha ritenuto carente la prova del programma criminoso unico, requisito questo che non poteva essere confuso con l’inclinazione a commettere reati della stessa indole, non essendo emerso dagli atti alcun elemento dal quale poter desumere che, per ciascuno dei tre gruppi di sentenze esaminate, si fosse trattato di reati tutti pianificati e preventivamente deliberati ad iniziare dal primo; in particolare dei due reati, di cui al secondo gruppo innanzi descritto, quello concernente le false indicazioni delle proprie generalità era da collegare ad un preciso stile di vita dell’istante, diretto ad evitare che, in venti anni di accertata sua presenza in Italia, si venissero a conoscere le sue generalità, il che non aveva alcun collegamento col delitto di ricettazione, per il quale era stato condannato con la seconda sentenza di quel gruppo; ed anche con riferimento ai reati giudicati con il terzo gruppo di sentenze era da ritenere che essi, seppur commessi in un arco di tempo ravvicinato, fossero da collegare allo stile di vita delinquenziale scelto dal richiedente.

3. Avverso detto provvedimento del Tribunale di Roma propone ricorso per cassazione T.F. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto motivazione carente e manifestamente illogica, per avere il Tribunale omesso di acquisire i tre gruppi di sentenze, cui si riferivano i reati, in ordine ai quali era stata chiesta la continuazione e per non avere il Tribunale preso in considerazione gli indici rivelatori della continuazione, indicati dalla giurisprudenza di legittimità come indicativi dell’unicità del disegno criminoso e tali da comportare l’unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione. Il Tribunale aveva in particolare omesso di considerare che già con la prima delle due sentenze di cui al primo gruppo era stata riconosciuta la continuazione fra numerosi identici episodi di violazione art. 496 cod. pen. commessi da esso ricorrente fra il 1989 ed il 1997; che con riferimento ai reati di cui al secondo gruppo di sentenze, era da ritenere che egli avesse fornito false generalità all’autorità di polizia in occasione della commissione del delitto di ricettazione; che, con riferimento ai reati di cui al terzo gruppo di sentenze, era da ritenere carente la motivazione, siccome riferita unicamente al suo stile di vita delinquenziale.

Motivi della decisione

1. il ricorso proposto da T.F. è inammissibile siccome manifestamente infondato.

2. Con esso il ricorrente lamenta la mancata concessione, in suo favore, del beneficio della continuazione fra i reati, giudicati con i tre gruppi di sentenze indicati nel provvedimento impugnato, di cui il primo gruppo concernenti il delitto di false generalità agli organi di polizia; il secondo concernente il delitto di false generalità agli organi di polizia e di ricettazione; il terzo concernente due episodi di ricettazione di autoveicoli.

2. Secondo il Tribunale di Roma non sussisteva nella specie l’unicità del disegno criminoso, necessaria per la configurabilità del reato continuato e per l’applicazione della continuazione nella fase esecutiva, non avendo ritenuto che si trattasse di violazioni costituenti parte integrante di un unico programma deliberato, almeno nelle sue linee essenziali, fin dalla commissione della prima, per conseguire un determinato fine.

3. Non è innanzitutto condivisibile la censura addotta dal ricorrente, concernente il mancato esame, da parte del Tribunale, dei tre gruppi di sentenze, di cui sopra, essendo al contrario desumibile dal contesto del provvedimento impugnato che trattasi di sentenze adeguatamente esaminate; nè è necessario che dette sentenze siano state in concreto acquisite dail’a.g. procedente, essendo al contrario sufficiente che il contenuto delle stesse sia stato acquisito anche aliunde.

4.Si ritiene inoltre che la motivazione addotta dal Tribunale di Roma per negare la concessione della chiesta continuazione sia incensurabile nella presente sede di legittimità, avendo essa adeguatamente valutato tutti i principali indici che, in aggiunta all’oggetto dei reati, sono stati ritenuti dalla giurisprudenza di questa Corte rilevanti al fine di accertare se, nel caso singolo, le plurime violazioni, ovvero solo alcune di esse, possano essere state commesse nell’esecuzione di un medesimo disegno criminoso, quali le singole modalità di condotta e la natura dei beni tutelati, avendo escluso che, nella specie in esame, nonostante la contiguità temporale fra i reati giudicati con i tre gruppi di sentenze, di cui sopra, fosse ravvisabile l’unicità del disegno criminoso, trattandosi di plurimi comportamenti maturati in situazioni diverse, idonee a far luogo a distinti impulsi a delinquere (cfr., in termini, Cass. Sez. 5 n. 49476 del 25/09/2009 dep. 23/1272009, imp. Notaro, Rv. 245833).

5. Non ha poi alcun rilievo nella presente fase esecutiva che, con riferimento al primo gruppo di sentenze, sia il Tribunale di Roma, sia il Pretore di Roma, abbiano ritenuto la continuazione fra vari episodi criminosi contestati al T.F..

Diverso è invero l’ambito di applicazione della continuazione nella fase cognitiva rispetto all’applicazione del medesimo istituto nella fase esecutiva ex art. 671 c.p.p., atteso che il giudice della cognizione ha a sua disposizione strumenti valutativi dei fatti, dei quali non dispone invece il giudice dell’esecuzione, il quale può solo tener conto dei fatti, così come cristallizzati nelle sentenze passate in giudicato e sottoposte al suo esame.

6. Da quanto sopra consegue la declaratoria d’inammissibilità del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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