Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-10-2011) 06-12-2011, n. 45344

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 5 Aprile 2011, Tribunale di Brescia ha dichiarato inammissibili gli appelli proposti dal Difensore del ricorrente avverso le ordinanze del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brescia in data 7 e 15 marzo 2011: con la prima, poi oggetto di decisione modificativa ad opera del tribunale del riesame, è stata respinta l’istanza di modifica del regime di custodia in atto; con la seconda è stata respinta l’istanza volta ad ottenere il permesso di uscire dal territorio comunale per svolgere attività lavorativa.

La originaria misura cautelare del 22 Febbraio 2001 aveva disposto la custodia in carcere dell’indagato e di altri cittadini marocchini perchè responsabili di partecipazione ad un’associazione occulta dedita ad attività di proselitismo e di incitamento alla discriminazione, all’odio e alla violenza, rivestendo il ricorrente il ruolo di promotore e organizzatore.

Con ordinanza dell’8 Marzo 2011 il Tribunale di Brescia, quale giudice del riesame, ha valutato la sussistenza di grave quadro indiziario e disposto la modifica della misura cautelare in quella dell’obbligo di dimora nel comune di residenza.

Con due distinti atti di appello il ricorrente ha censurato le ordinanze del 7 e del 15 marzo 2011 con le quali il Giudice delle indagini preliminari ha respinto le istanze di modica del regime cautelare in atto.

All’udienza camerale avanti il Tribunale il Sg. J. ha rinunciato alla prima impugnazione, perchè superata dal provvedimento del Tribunale del riesame aveva che mutatolo stato di custodia, ed ha insistito per l’accoglimento dell’impugnazione avverso l’ordinanza del 15 marzo.

Il Tribunale di Brescia, ritenuta inammissibile per rinuncia l’impugnazione avverso l’ordinanza del 7 marzo, ha dichiarato inammissibile anche l’appello proposto contro l’ordinanza del 15 marzo 2011. Secondo il Tribunale le decisioni attinenti il regime della concessa autorizzazione a svolgere attività lavorativa (art. 283 c.p.p., comma 2) non sono riconducibile alla "materia delle misure cautelari personali" e non sono suscettibili di appello, così come stabilito dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione con la sentenza n. 3 del 1996.

Avverso tale decisione propone ricorso il Sig. J. tramite il Difensore.

Il ricorrente lamenta in primo luogo l’errata applicazione dell’art. 310 c.p.p. e la piena riconducibilità alla materia delle misure cautelari personali anche le decisioni concernenti le prescrizioni e le modalità di esecuzione della misura. Il Tribunale avrebbe fatto cattiva lettura dei principi fissati con la sentenza n. 24 del 1996 delle Sezioni Unite Penali; secondo tale decisione, infatti, sono esclusi dal novero dei provvedimenti appellabili solo quelli che dispongono misure temporanee e contingenti, rientrando, invece, nella sfera dell’impugnazione anche le decisioni in tema di autorizzazione a svolgere attività di lavoro, che incidono in modo diretto sulla libertà della persona.

Lamenta, poi, un vizio motivazionale dell’ordinanza nella parte in cui qualifica come rilevante la distinzione fra il regime dell’art. 283, comma 2, e quello previsto dall’art. 284, comma 3, e art. 283 c.p.p., comma 4. Risulta errata, a parere del ricorrente, ritenere che il mancato richiamo per l’obbligo di dimora della disciplina prevista per gli arresti presso il domicilio comporti la non applicabilità al primo del regime sull’appello, soluzione che contrasta con l’art. 277 c.p.p. e con l’art. 3 Cost.. Del resto, in materia di disciplina dell’obbligo di dimora la Corte di Cassazione (Sezione Sesta, sentenza n. 40395 del 2007) ha ritenuto ammissibile l’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’autorizzazione per l’indagato di recarsi al lavoro in comune diverso da quello ove era obbligato a dimorare.

Motivi della decisione

La Corte ritiene che il ricorso meriti accoglimento con riferimento all’appello proposto contro l’ordinanza emessa in data 15 marzo 2011.

Non può, infatti, essere condivisa l’interpretazione adottata dal Tribunale che considera le modalità esecutive dell’obbligo di dimora come materia estranea al regime della libertà personale e non soggette a controllo mediante la procedura dell’appello.

La Corte di Cassazione si è più volte espressa in ordine all’incidenza che hanno sulla libertà della persona e sull’afflittività della misura cautelare i provvedimenti che disciplinano le modalità di esecuzione della misura stessa. Con sentenza n. 21296 del 2009 in procedimento Pozzi (rv 243678) della Sesta Sezione Penale e con sentenza n. 13271 del 2010 della Quinta Sezione Penale (rv 249505), la Corte ha ritenuto che l’applicazione del divieto di comunicare con terze persone sia misura che incide sulla libertà della persona in stato di custodia domiciliare e come tale suscettibile di controllo mediante atto di appello, così come, per la Terza Sezione Penale (sentenza n. 13119 del 2011, Basile, rv 249946) rivestono il medesimo rilievo i provvedimenti in tema di modifica del luogo di esecuzione degli arresti domiciliari.

Ritiene la Corte che le decisioni adesso ricordate contengano il principio di ordine generale secondo cui le concrete modalità di applicazione della misura cautelare e le modifiche delle stesse incidono sull’afflittività della misura e, di conseguenza, sulla limitazione della libertà personale e debbono essere soggette al controllo giudiziale ex art. 310 c.p.p., a meno che non siano in concreto prive di rilevanza oppure presentino carattere temporaneo e meramente contingente tale da non determinare apprezzabile e duratura modificazione dello "status libertatis", ed è questo il caso della decisione delle Sezioni Unite Penali, n. 24 del 1996, citata. Di conseguenza, anche le limitazioni dell’ambito territoriale entro il quale la persona indagata può svolgere la, autorizzata, attività lavorativa sono elemento che incidono sulle concrete modalità di applicazione della misura e sullo stato di libertà.

Sulla base di quanto precede può affermarsi il principio che le decisioni del giudice in tema di autorizzazione a recarsi per ragioni di lavoro al di fuori del territorio ove l’indagato ha l’obbligo di dimora incidono sullo stato di libertà e qualificano l’esecuzione della misura cautelare, con la conseguenza che dette decisioni sono soggette ad appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p..

L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio al Tribunale di Brescia perchè proceda all’esame dell’appello proposto dall’odierno ricorrente.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brescia per l’esame dell’appello.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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